“Era alta, magra, aveva soltanto un seno fermo e vigoroso da bruna – e pure non era più giovane; era pallida come se avesse sempre addosso la malaria, e su quel pallore due occhi grandi così, e delle labbra fresche e rosse, che vi mangiavano”.

Ebbene: questa donna – così descritta nel 1880 da Giovanni Verga – che “al villaggio chiamavano la lupa”, nelle fattezze somatiche e fisiche corrisponde perfettamente a quella che la Brigata d’Arte Sicilia Teatro propone – con la regia di Mario Sangani – stasera, sabato 13 e domani domenica 14 aprile, al Teatro Nino Martoglio di Belpasso.

La lupa di cui parliamo è Rosa Miranda, che con la sua esuberanza, il suo incedere, la sua sensualità riempie il palcoscenico e dà davvero la sensazione di essere quella donna “mai sazia” e “con quell’andare randagio e sospettoso della lupa affamata”, di cui parlava lo scrittore catanese nella raccolta di racconti Vita dei campi.

È lei il filo conduttore da cui si dipana la storia, è lei che collega tutti i personaggi del dramma, è lei che associa – come scrive efficacemente Filippo Rapisarda – eros e tanatos, amore e morte, come nelle tragedie greche. È lei la vittima di questa vicenda, che, pur ambientata nella Sicilia maschilista dell’Ottocento, è attualissima per i casi di femminicidio di cui le cronache giornalistiche di oggi sono zeppe.

Solo che la ‘gna Pina (detta, appunto, la lupa) rivoluziona i canoni maschilisti, perché, oltre ad essere vittima, è anche carnefice, addirittura dei sentimenti della figlia Mara (Claudia Sangani), che lei, con uno stratagemma (“Se non lo pigli, t’ammazzo”), dà in sposa al giovane Nanni Lasca (Giuseppe Ferlito) – di cui è follemente innamorata, al punto da “sentirsene ardere le carni sotto al fustagno del corpetto” – pur di tenerlo vicino, in questo irrazionale paradosso amoroso che crea scandalo, incredulità, sgomento nel villaggio siciliano in cui si svolge la storia.

La compagnia della Brigata d’Arte Sicilia Teatro a fine spettacolo. Sopra: Rosa Miranda, Claudia Sangani e Giuseppe Ferlito in una scena

È la Sicilia contadina di due secoli fa, con i suoi pregiudizi, la sua arretratezza, ma anche la sua saggezza (vedi il personaggio di Compare Jano), le sue superstizioni, i suoi riti religiosi, in questa storia rappresentati nel Venerdì Santo.  Una Sicilia gioiosa all’inizio, che poco a poco si trasforma nella Sicilia tragica delle opere verghiane legate al verismo.

Basta vedere l’espressione dei personaggi, man mano che si dispiega la trama. Solo lei, la lupa, è cupa, triste, lacerata fin dall’inizio da due amori – quello per il genero e quello per la figlia – che la struggono, la distruggono e l’annientano in questo cupio dissolvi che la porterà alla fine.

Una storia con un triangolo amoroso in cui i protagonisti – intensi anche Claudia Sangani e Giuseppe Ferlito – tengono viva l’attenzione dello spettatore per il ritmo impresso dal regista, particolarmente meticoloso e attento, come sempre, nel curare la coralità della scena (trenta elementi sul palcoscenico), senza snaturare l’estro degli attori che la rappresentano.

E diciamo che le lodi intessute da Rosa Miranda alla fine delle prove generali di ieri sera ci stanno tutte, per la sagacia con la quale Mario Sangani ha amalgamato i tre protagonisti con gli altri attori che vanno citati uno per uno per la padronanza che hanno dimostrato nel tenere la scena, da Nuccio Vassallo (Compare Jano) a Valentina Ferrante (Zia Filomena), da Santo Santonocito (Malerba) a Federico Fiorenza (Cardillo), con Antonio Marino (Bruno), Alessia Gurrieri (Grazia) e Eleonora Auteri (Lia) a completare il cast.

Solo che l’operazione che stavolta la compagnia più antica d’Italia – la Brigata d’Arte ha settant’anni – ha portato avanti, non si presentava facile, dato che il regista ha voluto creare una maggiore coralità alla sua opera, immettendo il “cantore”, l’aedo (Giuseppe Magrì), e il “musico” (Domenico Longo), cui ha fatto da cornice, come in una tragedia greca, il Coro canticum vitae diretto dal Maestro Salvatore Signorello.

Una menzione meritano anche Martina Ciresi e Stefano Privitera per la suggestiva scenografia, e le sorelle Rinaldi per i costumi, per avere ricalcato fedelmente i canoni e i colori della Sicilia contadina.

Da sottolineare la denuncia pubblica fatta dal presidente della Brigata d’Arte, Ottavio Sangani: “La politica ci ha abbandonati e noi dobbiamo fare immensi sacrifici per portare avanti la Compagnia. Questa sera siamo al freddo, perché in teatro non hanno acceso i riscaldamenti”. Eppure, malgrado le condizioni atmosferiche, questo spettacolo ci ha riscaldato il cuore.

Luciano Mirone