Mario Cavallaro, imprenditore di Belpasso del settore edile, dichiara di avere subito nel corso del tempo dei danneggiamenti e dei furti anche gravi collegabili alle denunce che ha fatto contro la criminalità organizzata, che prima ha cercato di infiltrarsi nella sua azienda, poi lo ha sequestrato per ben tre volte e quindi lo ha riempito di botte. L’ultimo atto dimostrativo, in questi giorni, quando nella sua impresa di Piano Tavola, secondo quanto denuncia lui stesso, sono stati rubati diversi mezzi meccanici “del valore di 350-400mila Euro”. Sarà una coincidenza, ma proprio tre giorni fa l’imprenditore ha deposto in un processo contro Cosa nostra scaturito dalle sue denunce che riportiamo in questa intervista in due puntate. Cavallaro, quando inizia questa storia?

“Da quando ho fatto la prima denuncia, anno 2005. La mia ditta si trova presso la zona industriale di Piano Tavola (frazione di Belpasso), dove posseggo un capannone. Inizio a denunciare sia le richieste estorsive, sia una serie di tentativi di mediazione per cercare di far lavorare persone di un determinato ambiente. Da lì in poi inizia una escalation di furti, di danneggiamenti, di incendi ed altro. Da quando sono iniziati i processi che mi vedono testimone di giustizia e parte offesa, la situazione si è intensificata”.

L’imprenditore Mario Cavallaro

Quando sono iniziati i processi?

“Si tratta di due procedimenti, suffragati dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia. Il primo è cominciato nel 2014, il secondo nel 2017. Entrambi sono in corso di dibattimento. Ogni volta che deve esserci un’udienza, ricevo puntualmente un avvertimento: l’uccisione dei cani, le ruote della macchina tagliate, le minacce nei confronti di mia madre, l’irruzione in azienda dove entrano negli uffici e calpestano la foto di mio padre, e adesso, in questi giorni (dal 12 al 24 marzo), sono entrati per tre volte e mi hanno privato di tutta l’attrezzatura utile per poter continuare la mia attività: camion con gru, escavatori, bob cart, macchina taglia asfalto, martelli pneumatici, insomma tutti mezzi che ho acquistato da quando, il 31 gennaio 1992, all’età di 21 anni, ho iniziato questa attività. Naturalmente ho denunciato tutto ai carabinieri”.

Quante denunce ha fatto?

“Trentasei. Alla Procura della Repubblica di Catania, ai Carabinieri di Paternò e ai Carabinieri di Belpasso. Il Nucleo operativo di Paternò mi ha sempre seguito. I due processi sono a carico del clan Aparo-Trigilio di Siracusa, di cui ho fatto arrestare (29 agosto 2014) il reggente Angelo Monaco, assieme al genero Paolo Mirmina Spatalucente, altro elemento di spicco catturato mentre, sotto il controllo delle Forze dell’ordine, versavo la tangente che mi aveva richiesto per dei lavori che avevo svolto a Ispica per la costruzione del Centro di protezione civile della Regione”.

L’azienda di Mario Cavallaro nella zona industriale di Piano Tavola. In primo piano le telecamere del Comune che, a dire di Cavallaro, non hanno ripreso il furto dei mezzi

E l’altro procedimento?

“E’ a carico di esponenti del clan Santapaola-Ercolano di Catania e vedono coinvolti gli Schillaci (detti Mattiddina) di Piano Tavola, e poi Ignazio Barbagallo, responsabile della Famiglia Santapaola nel territorio di Camporotondo Etneo, San Pietro Clarenza e Belpasso; Mirko Casesa che rappresenta il gruppo di Mascalucia, facente capo a Piero Puglisi, elemento storico di Cosa nostra catanese. Fra questi, anche l’imprenditore di Belpasso Santo Tomasello, prestatosi a operazioni fatte con loro e per loro a mio danno”.

Quando iniziano i suoi problemi?  

“Quando mi insedio a Piano Tavola. Durante la mia attività avevo fatto lavori pubblici importanti come l’ospedale di Taormina (2000), la villa principale di Misterbianco, la Quinta chirurgia all’ospedale Ferrarotto di Catania”.

Come avvengono queste richieste?

“Si presentano in forma amichevole, quasi per aiutarti”.

Facciamo un esempio concreto.

“All’inizio di un lavoro comincio a fare lo sbancamento. Si presentano dei soggetti: ‘Siamo degli amici, se ti serve dove posare i mezzi siamo a disposizione, noi qui giriamo sempre, diamo un occhio alla tua azienda, ci fa piacere che stai facendo queste cose, dai lavoro a dei padri di famiglia’. Si presentano così. E ti portano pure il caffè. Ho sempre rifiutato, consapevole che queste ‘amicizie’ vanno a parare sempre in un punto”.

E quando rifiuta che succede?

“Ma perché non vuole essere amico nostro, qua sono tutti amici, e noi che abbiamo la rogna?’. Questo discorso va avanti fino a quando completi le opere. Le richieste a volte vengono fatte anche attraverso un dipendente o un fornitore. A un certo punto inizio ad avere a che fare con Santo Tomasello, l’imprenditore del mio paese che consideravo fuori da certi ambienti. Man mano, quando ho iniziato a dire ‘no’, lui ha cercato di intimidirmi”.

Il portone dell’azienda fotografato da Mario Cavallaro subito dopo il furto dei mezzi che ha denunciato

Eravate soci? 

“Abbiamo fatto una riunione temporanea di impresa (Rti). Lui originariamente faceva il carpentiere, non aveva mai fatto lavori pubblici: l’ho inserito io nel circuito delle opere più importanti, e man mano vedevo che venivano a cercarlo personaggi loschi. Tra l’altro consideriamo che in azienda, in quel periodo, ci stavano mia moglie e i miei figli: ‘Scusa, ma ‘sta gente qui che viene a fare? Questi non li voglio’, gli dicevo. A quel punto, anche per certe spese ingiustificate che doveva corrispondere agli ‘amici’, rompo il sodalizio con Tomasello. Da quel momento iniziano i miei problemi”.

Quali problemi?

“Mi hanno sequestrato. Per tre volte mi hanno pestato in maniera anche brutale”.

Sequestrato?

“I sequestri sono tre. Il primo avviene nel febbraio 2005, quando mi danno l’avvertimento, perché devo immediatamente ritirare le denunce ai carabinieri e agli avvocati ai quali mi sono rivolto”.

In che modo avvengono questi sequestri?

“Le modalità avvengono presso l’azienda, dove prendono me e il capo cantiere. Mi fanno salire in macchina e mi portano fuori”.

Lei in quel momento è cosciente di quello che sta succedendo?

“Assolutamente sì. Con l’aggravante che il fatto si è verificato davanti a mia moglie in gravidanza, alla segretaria e ad altre donne”.

Luciano Mirone

1^ puntata. Continua