Per definire un buon attore non bastano talento, tecnica ed esperienza. E’ necessaria qualcosa in più: la capacità di emozionarsi e di emozionare il pubblico. Questo è ciò che rende unico un artista. Rosario Petix possiede questi elementi. Attore, regista e sceneggiatore, Rosario è da anni volto noto in televisione, al cinema e al teatro. Come non ricordare le fiction e i film cui ha partecipato, Distretto di Polizia, Il Commissario Rex, Felicia Impastato, Un Natale coi fiocchi, L’Attesa…
Sul palcoscenico ha interpretato diversi ruoli, passando dalla grande tradizione siciliana (Il Berretto a sonagli, La Lupa, A Notti non fa Friddu) alla grande letteratura europea, Macbeth e Riccardo III, con esperienze significative perfino nella fiaba. Insomma un attore a tutto tondo.
Un sogno inseguito da bambino, quando viveva con la famiglia a Serradifalco, profonda Sicilia, nel nisseno: “Mio padre – racconta – mi portava sempre delle videocassette da Caltanissetta, ed io, di ogni film, imparavo tutte le battute a memoria. Ancora oggi ricordo ogni frase: li vedevo e rivedevo per ore. Per ogni film dicevo: voglio fare il poliziotto, l’avvocato, insomma l’eroe. Alla fine ho detto: forse devo fare l’attore, cosi riesco a rappresentarli tutti”.
L’arte e la cultura hanno da sempre contribuito al suo percorso di vita. “Mia madre è una pittrice, una scultrice e una docente di storia dell’arte, e tiene dei corsi di ceramica, mentre mio padre, appassionato di politica, era un radicale: ha sempre tenuto alla cultura, non solo a quella nozionistica, ma soprattutto a quella intesa come esperienza di vita. Diceva sempre: ‘Meglio una macchina o un motorino in meno, ma un libro in meno mai”.
Rosario fa una breve pausa. È completamente immedesimato nel ricordo: “A casa non navigavamo nell’oro, però i libri non dovevano mancare. Anche la musica aveva la sua importanza: il pianoforte, le chitarre, i dischi in vinile, insomma cose fondamentali per la nostra crescita umana e artistica”.
Una scuola di vita che gli ha permesso di riconoscere il suo talento e di diventare un professionista eclettico, libero da quei compromessi che a volte sono tipici del suo contesto lavorativo. “Sono stato educato ad osservare la realtà ragionando con la mia testa. Mio padre diceva sempre: i miei ragazzi non studiano, ma sono delle belle persone: questa cosa lo rendeva fiero, anche se gli sarebbe piaciuto che noi avessimo studiato di più: è morto troppo presto. Avevo diciassette anni, mio fratello venti.”
Poi la scuola di recitazione, la Scuola d’Arte Drammatica “Umberto Spadaro” del Teatro Stabile di Catania. Quindi Roma. Immancabilmente per chi vuole affermarsi.
Riassumere la sua carriera non è semplice. Tanti anni di formazione teatrale, riconoscimenti, partecipazioni a serie televisive, cortometraggi, ruoli nel cinema e in palcoscenico hanno fatto di lui un artista poliedrico nonostante i suoi quarant’anni. Per questa ragione, durante la nostra chiacchierata ci siamo soffermati solo su alcuni dei suoi lavori che hanno in comune una forte connotazione sociale.
Rosario, nel film “Franchitto-Io non ho paura”, girato quest’anno, la giustizia è il filo conduttore.
“E’ un valore fondamentale. La scelta è stata quella di raccontare la vita vera dei poliziotti. Abbiamo tentato di rappresentare quella parte di polizia che ogni giorno si trova a fare i conti con la criminalità, mettendo in luce il senso del dovere di chi rischia la propria esistenza mettendola a disposizione della società. E’ la storia di quest’uomo, Franchitto, che mentre è in servizio a Verona, arresta uno dei grandi boss della mafia del Brenta. Per questo riceve minacce di morte. Viene trasferito nella sua città, Barcellona Pozzo di Gotto, in Sicilia: al suo rientro la trova cambiata, ma si rende conto che ciò dipende da tante cose che la polizia dovrebbe combattere: non lo fa perché probabilmente si trova coinvolta. Questo personaggio è un grande esempio di legalità”.
A questo si aggiunge una lettura del testo di Michele Albano in memoria della strage di Capaci.
“Qualche tempo fa, durante una conferenza stampa, Michele Albano mi ha chiesto di leggere un suo testo sulla strage di Capaci, nel giorno della commemorazione. Confesso che sull’argomento nutro una certa disillusione pasoliniana. Giovanni Falcone aveva capito tante cose. La storia ci insegna che chi cerca di dire la verità viene fatto secco”.
Poi c’è “Oltre la Bufera”, un film nel quale si racconta la storia di Don Minzoni. Tu interpretati il ruolo di Natale Gaiba.
“Natale Gaiba era un sindacalista socialista e assessore al Comune di Argenta. Don Minzoni, la cui vicenda è stata insabbiata, era un prete che aveva combattuto la Prima guerra mondiale: al suo ritorno aveva trovato il paese, Argenta, diviso: da una parte i socialisti, dall’altra i fascisti. Gli stessi che, uniti, poco prima, avevano condiviso la trincea da italiani. Don Minzoni, dall’indole rivoluzionaria, uno dei primi antifascisti, stava dalla parte della povera gente e aveva creato una cooperativa di donne che lavoravano la canapa. Era un prete semplice, andava in bicicletta, volle mai aderire al fascismo. Il suo messaggio era quello di rispondere agli attacchi con la non violenza: nella sua operazione di evangelizzazione coinvolse anche Natale Gaiba che venne ucciso prima di lui. Il grande merito del regista è stato quello di dotarsi di una valida consulenza storica per essere quanto più attinente ai fatti. Interpretare questo personaggio è stato straordinario, bellissimo stesso gruppo di colleghi con cui ho realizzato un altro film “La Notte non fa più paura”, sul terremoto in Emilia Romagna. Abbiamo girato in soli dieci giorni, spendendo pochissimo, ed abbiamo aderito al progetto gratuitamente. Il film è stato venduto a SKY, ha vinto tanti festival, tra cui il Bobbio Film Festival di Marco Bellocchio. Abbiamo raggiunto, quindi, un risultato soddisfacente nonostante tutti i problemi legati a una produzione indipendente”.
Ancora un ruolo da antifascita, Calogero Marrone, nello spettacolo teatrale “Carte False”.
“Ho commissionato la ricerca della storia e la scrittura del testo al giornalista Salvo Toscano, il quale ha riportato alla luce la vita di Calogero Marrone, di cui io e il regista, Aldo Rapè, abbiamo curato l’adattamento del monologo al teatro. E’ la storia di un uomo di Favara che, oppostosi al fascismo, fu arrestato e dopo la prigionia lasciò Favara, in Sicilia, per trasferirsi a Varese nel cui comune divenne Capo ufficio del Servizio Anagrafe. E’ un racconto di grande umanità perché Calogero Marrone iniziò a fare ‘carte false’, cioè a produrre documenti d’identità falsi per coloro che partecipavano alla resistenza. Abbiamo scelto di raccontare questo personaggio partendo dalle lettere che spediva alla moglie dal campo di concentramento di Dachau, dove era stato recluso a causa di una denuncia. Lo spettacolo ha debuttato al Teatro Regina Margherita di Caltanissetta: il nostro scopo è quello di farlo conoscere in tutte le città d’Italia ed in particolare a Varese. È un lavoro dalla forte valenza sociale: viviamo in un periodo storico in cui si sta regredendo nella tutela dei diritti dell’essere umano. Questo progetto è nato dalla spinta di raccontare una storia che, seppur datata, ci può far riflettere sulla nostra condizione esistenziale odierna”.
E’ stato appena presentato a Roma il tuo primo cortometraggio: “Il cioccolatino”.
“Nasce da una storia vera. Ho conosciuto una persona bellissima e dolcissima che ha avuto a che fare con l’Alzheimer. Nella mia idea di scrittura e di regia ho voluto dare una visione poetica di questa malattia, cercando di conferirle umanità. Ho pensato di rappresentarla, non solo dal punto di vista del malato ma anche da quello di chi sceglie di non abbandonare i propri cari malati nonostante vada incontro alla sofferenza di non essere più riconosciuto dalla persona amata. ‘Il Cioccolatino’ è la storia di due donne che s’incontrano su una panchina di un parco, accidentalmente: da qui si sviluppa la vicenda. Da ricerche scientifiche è emerso che tra le cose che aiutano un malato di Alzheimer c’è pure il cioccolato, dà immediatamente energia, un senso di benessere che la malattia non distrugge: il ricordo di quella sensazione resta impresso nella memoria. In questa storia il cioccolatino è il collante tra le due donne. Ho cercato di evidenziare che la cura immediata e gratuita per un malato consiste nell’avere la sensibilità di capire che se ci si trovasse al suo posto, basterebbe essere trattati con un po’ di amore e di umanità. Il rispetto dell’essere umano è ciò che manca oggi nella politica e nei rapporti tra le persone.”
Se dovessi pensare istintivamente a dove ti vedi tra qualche anno, cosa dici?
“Mi vedo in un percorso di miglioramento. Per il tempo che ancora avrò in questa vita cercherò di andare sempre oltre”.
Alessandra Vasta
Complimenti ad Alessandra Vasta per l’intervista fatta al collega Rosario petix, ottimo attore poliedrico. Domande e risposte col massimo della professionalità, senza sfuggire alle emozioni… Complimenti
…sono …madre…ma posso spogliarmi dall’indiscutibile emozione di esserlo per esprimere poche righe sull’Attore Rosario che riconosco in questo sentito e professionale excursus artistico della giornalista…Rosario Petix, figlio di ToTò, scomparso prematuramente, ne ha incarnato il carattere forte, deciso, leale, incorruttibile, concentrando le sue talentuose capacità attoriali (a costo di tutto e di tutti) su quello che oggi è il suo lavoro concreto e portato avanti con estrema determinazione…AD MAIORA LOVE
Cara signora M. Gina, non conoscevo suo figlio ma l’istinto mi ha suggerito di scrivere di lui quando l’ho visto per la prima volta in TV. La ringrazio per aver apprezzato il mio lavoro, e soprattutto sono felice che lei riconosca suo figlio, l’artista, nel mio ritratto. Scrivere di Rosario è stato arduo, perché è un professionista dalle mille sfaccettature e il rischio era quello di tralasciare qualche aspetto di lui interessante. Ho cercato di farlo emergere come persona attraverso il racconto dell’artista:). Spero di aver centrato :). Le auguro buone feste.
Ad Maiora A. Vasta