Valter Rizzo, giornalista Rai e scrittore. In questi giorni, all’età di 59 anni, è morto Pino Pelosi detto “la Rana”, colui che ufficialmente, nella notte fra l’1 e il 2 novembre 1975, assassinò  Pier Paolo Pasolini. Dalle carte processuali emerge fra l’altro che Pelosi – all’epoca diciassettenne – fu utilizzato da entità che avevano interesse a fare scomparire un intellettuale scomodo come Pasolini. Nel 2011 hai scritto un libro su questa vicenda (“Nessuna pietà per Pasolini”) assieme all’avvocato Stefano Maccioni e alla criminologa Simona Ruffini. Che idea ti sei fatto di questa storia?

“Pelosi è una persona che si è rivelata un complice formidabile degli assassini (quelli veri) di Pier Paolo Pasolini. Si è portato nella tomba una verità che conosceva: neppure in punto di morte ha sentito il bisogno di fare un atto di liberazione, di verità, di giustizia o di pietà per Pasolini, continuando a proteggere i suoi assassini, che lui conosceva benissimo e soprattutto i mandanti. Chi lo ha gestito per anni, chi lo ha minacciato, chi lo ha pagato e chi gli ha imposto il ruolo dell’utile capro espiatorio? Credo che Pelosi abbia fatto anche di più, perché per anni ha mischiato verità e menzogna rendendosi poco credibile, e questa probabilmente è stata per lui un’assicurazione sulla vita”.

Pino Pelosi. Sopra: Pier Paolo Pasolini

Nel libro parli anche di una “pista catanese”.

“Sì, una ipotesi che potrebbe riguardare gli esecutori materiali del delitto: la strategia che ha portato alla morte di Pasolini è stata decisa da menti raffinatissime che sicuramente non sono catanesi. L’ipotesi di Catania nasce dalla frequentazione di Pasolini con questa città e con personaggi dell’estrema destra, documentata da testimonianze molto autorevoli che parlano di questi soggetti del sottoproletariato che facevano la spola fra Catania e Roma non certamente per fare shopping. Probabilmente andavano nella Capitale per compiere delle azioni per le quali servivano delle facce poco conosciute. Parliamo di picchiatori professionisti dell’estrema destra catanese. Questo comunque è un dettaglio”.

Perché viene ucciso Pasolini?

“Per una convergenza di interessi. Per capire chi lo ha ammazzato, bisogna sapere quello che è successo prima, ma soprattutto quello che è successo dopo. In questo ‘dopo’ è molto importante la gestione di Pelosi”.

Eppure in Italia sono ancora in tanti a pensare che Pelosi sia stato l’unico assassino di Pasolini.

“Questo è stato sancito da una sentenza passata in giudicato. Tale sentenza ha stabilito che Pelosi è stato l’unico autore (e sottolineo ‘l’unico’) del delitto. Però la dinamica processuale bisogna raccontarla tutta e presenta aspetti abbastanza singolari. Il Tribunale dei minori di Roma, coordinato dal giudice Moro (fratello di Aldo Moro), emette la sentenza che condanna Pelosi con ignoti. Dunque ci sono magistrati che accertano un concorso di più persone nell’omicidio Pasolini. Sarà la Procura presso il Tribunale dei minori a presentare appello, non per inasprire la pena, ma per far cassare il ‘concorso con ignoti’. Da quel momento viene sancita ‘solo’ questa verità processuale”.

Eugenio Cefis

Qual è allora la verità?

“È chiaro che la verità è un’altra. La ricostruzione della dinamica del delitto ci dice che Pelosi non può essere l’autore (o l’unico autore) dell’omicidio. Lui probabilmente è arrivato a cose fatte o magari assieme agli assassini. È servito come capro espiatorio affinché Pasolini venisse ucciso due volte: la prima volta fisicamente, la seconda moralmente. L’omicidio compiuto da un ragazzo di borgata che si difende dalla violenza del ‘frocio’ o del ‘debosciato’ Pasolini, è la pietra tombale sull’autorevolezza dello scrittore, su tutto quello che aveva scritto e che avrebbe potuto scrivere”.

Quali sono gli scritti che avrebbero potuto portarlo alla morte?

“Un anno prima aveva destato scandalo con l’articolo ‘Il romanzo delle stragi’, in cui il poeta accusa il potere politico ed economico di essere la causa principale della strategia della tensione che allora attraversa l’intero Paese. Pasolini era un uomo armato di aggettivi e di penna, non era armato di altro, e poteva essere ucciso in mille modi: sotto casa con un colpo di pistola, come era successo a Pecorelli e ad altre personalità uccise dal terrorismo. Perché ucciderlo in quel modo? Perché costruire una sceneggiatura che sembrava tirata fuori da uno dei suoi film?”

Perché?

“Perché doveva essere delegittimata la sua figura. Doveva diventare un personaggio a cui non bisognava dare alcuna credibilità per quello che aveva scritto. Dovevano distruggere l’intellettuale. Una strategia costruita a tavolino dalle menti raffinatissime cui alludevo in precedenza”.

Quali entità ci sono dietro?

“Pasolini in quei mesi stava lavorando al romanzo ‘Petrolio’, rimasto incompleto ed uscito molti anni dopo. ‘Petrolio’ si occupa in maniera specifica della vicenda dell’Eni, di un personaggio come Eugenio Cefis e della morte di Enrico Mattei. Se sommiamo questo col fatto che le relazioni dei servizi segreti italiani dicono che a fondare la loggia massonica P2 non è stato Licio Gelli, ma Eugenio Cefis, forse cominciamo a inquadrare l’ambiente che ha voluto il delitto Pasolini”.

Enrico Mattei

Perché dici che per capire questo assassinio, bisogna riportarsi al ‘dopo’?

“In una intervista che riuscii a ‘rubare’ a Pino Pelosi per il programma ‘Chi l’ha visto’ (una delle pochissime non pagate, ‘la Rana’ si faceva pagare per rilasciare dichiarazioni), lui stesso ammette per la prima volta che l’avvocato Rocco Mangia (il suo legale di fiducia) non lo scelse lui, ma gli fu consigliato dal giornalista Salomone del quotidiano ‘Il Tempo’ di Roma, iscritto alla loggia P2. Rocco Mangia, quando assume la difesa di Pelosi, cambia radicalmente linea rispetto agli altri avvocati che mirano a dimostrare l’innocenza della ‘Rana’: gli fa ammettere il delitto e crea un collegio di difesa dove troviamo Aldo Semerari, famigerato criminologo collegato agli ambienti della camorra, della massoneria, dei servizi deviati e del neo fascismo; la compagna di Semerari ; e il professor Franco Ferracuti, altro iscritto alla P2 e componente del super comitato istituito dal ministro Cossiga nei giorni del sequestro Moro”.

Perché si muovono tutti questi personaggi attorno a Pelosi?

“Attenzione: non si muovono per difenderlo, ma per farlo condannare e per gestirlo, certi che Pelosi non smentirà mai la tesi costruita in quel processo. Quarant’anni dopo, ‘la Repubblica’ fa un’intervista a Graziella Chiercossi, cugina di Pasolini che all’epoca dell’omicidio viveva assieme al poeta e alla madre di questo. La Chiercossi, dopo anni, ammette una vicenda che alcune persone vicine all’ambiente di Pasolini conoscevano, ma che lei aveva sempre negato. La donna dice che la notte dell’omicidio, intorno alle due del mattino, dei poliziotti si presentano a casa Pasolini cercando il poeta e dicendo che era stata trovata la sua vettura nella zona del Tiburtino, quartiere molto lontano da Ostia (dove fu ritrovato il cadavere)”.

Quindi?

“All’una di notte, secondo il rapporto dei carabinieri, Pelosi sarebbe stato fermato casualmente per un controllo stradale (andava fuori mano) sul lungomare di Ostia sulla vettura di Pasolini. Ora, o la vettura di Pasolini era a Ostia oppure al Tiburtino: però tutte le fonti ufficiali dicono che la macchina dello scrittore viene sequestrata dai carabinieri che arrestano Pelosi. Questo fa pensare ancor di più che dietro l’omicidio ci sia una regia ben congegnata, nella quale potrebbero avere un ruolo anche certi ambienti delle Forze dell’ordine”.

In che senso?

“L’interrogatorio che Pelosi rilascia il giorno del delitto a Ferdinando Masone (poi promosso a capo della  Polizia) è interessantissimo: si tratta di un elenco di accadimenti indicati da Masone ai quali Pelosi si limita a ripetere, ‘sì, è andata così’, secondo un copione prestabilito. E poi c’è l’altro giallo del giovane che quella sera, poco prima del delitto, era con Pasolini alla trattoria ‘Biondo Tevere’ a Roma. Secondo la descrizione del gestore era un tizio biondo e coi capelli lunghi, l’opposto di Pelosi, che era scuro e riccio. Quindi quella sera ad accompagnare Pasolini all’idroscalo di Ostia (dove fu ucciso) non c’era Pelosi, ma qualcun altro”.

Luciano Mirone