Maria parla soltanto sei volte nei Vangeli: due volte all’angelo nell’annunciazione (Lc 1,34.38), una volta ad Elisabetta (Lc 1,46-55), una volta a Gesù dodicenne ritrovato nel tempio (Lc 2,48), alle nozze di Cana rivolgendosi a Gesù (Gv 2,3) e poi ai servi (2,5).

Non è lei la protagonista delle quattro narrazioni evangeliche. Eppure, nelle preghiere che facevo da bambino, veniva sempre prima del Padre nostro. Sulla copertina del libro del catechismo era bellissima. Colorata di blu, con le mani giunte e i bambini attorno.

E poi le statue. Ovunque. Al cimitero, accanto alla foto di nonno. Sul comò della zia, vicino a padre Pio. Sul capezzale d’argento, sopra la testata del mio letto. Nelle processioni, col manto nero e i pugnali nel cuore. E poi, la mia preferita. All’asilo dalle suore. Una Madonna altissima, col velo azzurro, un viso dolce come quello della mamma. E, all’improvviso, quei piedi nudi che schiacciavano un serpente orribile, con la lingua biforcuta fuori dalla bocca. E io non riuscivo a spiegarmi le ragioni di un gesto così spaventoso. Tanto coraggio, ma anche una assurda incoscienza.

E poi i Vangeli. E lei, sullo sfondo. Immaginata. Come un riverbero che arriva da lontano. Una vibrazione. Nelle parole non dette. Nel buio siderale della partitura della storia. Un filo narrativo nascosto attraverso il sentimento che illumina i sacri testi. E fa rumore la sua assenza. Come l’amore che non si vede. Eppure c’è, muove le emozioni, fa scorrere i giorni. E somiglia al tempo. Che non si può fermare. E si incunea fra le attese e le speranze, spargendo attimi che solo per convenzione si possono contare.

Giacomo Pilati

Così è Maria. Un attimo infinito che abbraccia gli eventi della vita di Cristo, offrendo i suoi occhi per mostrarci la meraviglia. Una voce narrante si impossessa, silenziosa, dei pensieri. E racconta ciò che non c’è. L’assenza fragorosa della sua voce.

Ho pensato alla madonna incosciente dell’asilo e a quella tragica delle processioni. Alla sua rabbia, allo scetticismo della speranza, ai suoi piedi sulla pelle viscida della serpe. E in mezzo, come un flusso della coscienza, ho immaginato la sua sofferenza.

Giacomo Pilati