“Invito le associazioni antimafia e antiracket a denunciare non solo i mafiosi e gli estortori ma anche chi, facendosi scudo dell’antimafia, pratica gli stessi comportamenti della mafia”. Va giù pesante Salvatore Fiore, presidente dell’Associazione Antimafia e Legalità di Belpasso. E il motivo c’è. L’arresto del presidente dell’Associazione siciliana antiestorsione (Asia), Salvatore Campo, per “estorsione continuata” nei confronti di alcune vittime del racket che avevano richiesto accesso allo specifico fondo di solidarietà statale, scaturisce da una denuncia presentata circa un anno fa alla Procura della Repubblica di Catania proprio dall’associazione di Fiore, che reca la firma del presidente e del vice presidente di Antimafia e Legalità, l’avvocato Enzo Guarnera, “su una serie di comportamenti illeciti posti in essere da soggetti diversi, non solo di Catania e provincia, ma anche di altre regioni italiane”.

Salvatore Campo, presidente dell’Associazione siciliana contro l’usura e le estorsioni. Sopra, Salvo Fiore, presidente dell’Associazione Antimafia e Legalità di Belpasso, insieme all’avvocato Enzo Guarnera, ha denunciato alla Procura della Repubblica le pratiche poco ortodosse portate avanti da campo

L’esposto “è frutto – dicono i componenti dell’Associazione di Belpasso – delle segnalazioni e delle lamentele pervenuteci da persone che hanno subito richieste di percentuali, le quali hanno prodotto prove documentali di quanto affermato”. Secondo quanto si apprende, ulteriori indagini sono in corso presso altre Procure.

Salvatore Fiore spiega le dinamiche che hanno portato all’arresto del presidente dell’Asia: “Anch’io – dice – sono stato vittima di estorsione e di usura e capisco il dramma di chi subisce fenomeni del genere. Il presidente di un’associazione che opera contro il racket non può chiedere percentuali sui risarcimenti ottenuti dallo Stato. Non può e non deve, sennò crea un danno peggiore di quello che fa la mafia: il presidente di un’associazione che predica legalità, gode della fiducia della gente, e quindi non può tradire le aspettative e le speranze di tante persone oneste. Se crediamo in certi valori, non possiamo allontanarci da questi”.

Presidente, l’associazione che lei rappresenta come porta avanti la sua attività?

“Il tempo che potremmo dedicare alla famiglia, agli amici e ai nostri hobby, lo riserviamo alle vittime che si rivolgono all’associazione. Il resto della giornata (e a volte anche della nottata) lo impieghiamo per lavorare. In certi casi, purtroppo, c’è gente che, pur rappresentando delle associazioni antiracket, non lavora, poiché fa solo questo. Cosa sbagliatissima per ovvi motivi”.

Le risulta che nell’associazionismo antiracket e antimafia esistano casi analoghi a quello scoperto ieri?

“Sì, certo. Ovviamente non intendo generalizzare: la maggior parte delle associazioni è composta da gente perbene. Però succede che certi sodalizi che operano in questo settore siano coinvolti in pratiche poco ortodosse. Prendiamo il caso Montante, quello più eclatante, quello che per diverso tempo ha visto l’ex presidente di Confindustria Sicilia impegnato come paladino della legalità, alla fine arrestato per una serie di reati antitetici ai principi che lui stesso predicava”.

Il caso Montante è la punta dell’iceberg?

“Secondo me sì. Le associazioni serie hanno il dovere di smascherare il marcio che esiste all’interno di questo settore. Il sodalizio che presiedo non riceve finanziamenti da alcun ente: ogni socio versa un contributo volontario. Le iniziative contro la mafia e contro il racket sono auto finanziate. Lo spirito deve essere questo, non quello del denaro. Sennò tutto diventa businnes e si finisce col dare ragione a chi, a volte impropriamente, accusa tutti di fare del professionismo dell’antimafia”.

Luciano Mirone