“Il Comune di Catania è in bancarotta, lo si apprende definitivamente dalle parole dell’Assessore al bilancio Bonaccorsi al quotidiano Meridionews, dalle interviste rilasciate negli scorsi giorni ad altri giornali. In cassa ci sono poche centinaia di migliaia di euro e non si possono pagare gli stipendi dei dipendenti, non si possono pagare fatture e contributi alle società partecipate, alle cooperative, alle società che lavorano e hanno lavorato per il Comune. Non si potranno pagare i servizi di raccolta dei rifiuti e neanche le fatture per il conferimento dei rifiuti alla discarica e agli impianti di riciclo e compostaggio”.

Comincia così il comunicato del movimento Catania Bene Comune, che così prosegue:

“Le responsabilità del fallimento finanziario e dell’assenza delle risorse per la gestione dell’ordinaria amministrazione sono molteplici e condivise: Catania ha subito negli ultimi vent’anni il taglio del 70% dei contributi di Stato e Regione, l’evasione fiscale dei cittadini è intorno al 50%, non è mai stato attivato un servizio efficiente di recupero dei crediti. Ma esiste, prima di tutto questo, la responsabilità di chi ha amministrato Catania fino ad oggi”.

“Di fronte alla crisi economica e finanziaria l’Amministrazione Stancanelli ha redatto un piano di rientro nell’illusione che tagliare servizi e aumentare le tasse avrebbe risollevato la città. Niente di più sbagliato: nessun grande comune si è mai risanato attraverso piani di rientro che favoriscono solo la speculazione finanziaria sul debito. L’amministrazione Bianco ha invece deciso di gettare la polvere sotto il tappeto, di presentare bilanci inattendibili, di sperperare l’anticipazione di cassa e di assecondare le grandi banche creditrici. Mentre la città sprofondava nella povertà l’Amministrazione Bianco ha continuato a erogare, attraverso le società partecipate, consulenze milionarie e ad alimentare assurdi stipendifici come dimostra la gravissima storia di ‘Investi a Catania’. Le responsabilità penali degli amministratori saranno stabilite dal Tribunale che sta analizzando gli ultimi cinque anni di malagestione. Ma oggi a pagare è l’intera città”.

“Sono già centinaia i lavoratori senza stipendio. Eppure stanno zitte le organizzazioni sindacali confederali che, avendo occupato ruoli di primo piano nelle amministrazioni e avendo avallato da decenni una logica consociativa della gestione del potere, oscillano tra l’ipocrisia, la doppia morale e la complicità nel fallimento. Tace il mondo delle imprese, pronto a raccattare qualche appalto finanziato dalla Regione o dall’Unione Europea, troppo compromesso per accusare chi amministra di averci portato al fallimento”.

“E mentre si sgola l’Assessore al Bilancio, appare muto il Sindaco, che sorride alle telecamere, come i violinisti nel salone allagato del Titanic. Sarà pure stato qualcun altro a colpire l’iceberg ma adesso è lui al timone della città. Sta a lui dire alle persone come salvarsi”.

“Avrebbero dovuto parlare anni fa i Sindaci, gli assessori, i segretari di partito, i sindacalisti. ‘Dobbiamo garantire i servizi essenziali e servono maggiori risorse’, avrebbero dovuto scrivere ai presidenti e ai ministri che venivano in gita a Catania. ‘Non potete gettare sul lastrico la nona città d’Italia’, avrebbero dovuto urlare quando da Roma chiedevano quanto forti erano le liste per le elezioni. Ma nulla”.

“Adesso è troppo tardi. Se non arriverà un regalo di qualche centinaio di milioni di euro dal Governo o dal Parlamento, Catania sarà fallita. Anche se il regalo arriverà, basterà qualche mese per accumulare nuovi debiti e Catania sarà daccapo sull’orlo del precipizio. Con un nuovo piano di rientro l’amministrazione prenderà più tempo, le banche festeggeranno, ma sarà ineluttabile dopo poco la dichiarazione di dissesto. I soldi infatti non bastano per assicurare i servizi minimi, neanche se da un giorno all’altro sparisse il debito. La città è in recessione. L’impoverimento generale della popolazione e il saldo migratorio negativo, con migliaia di giovani che ogni anno abbandonano Catania, non lascia spazio a nuove entrate fiscali”.

“Occorre cambiare tutto. La città è povera e non può far fronte da sola alla crisi economica che sta vivendo. Le leggi finanziarie che regolano i comuni sono incompatibili con la garanzia dei servizi che servono alla popolazione per non fare sprofondare la società nella barbarie. È urgente la necessità di trasferire strutturalmente risorse ai comuni poveri. Servono soldi per politiche di occupazione, di investimenti, per garantire servizi e manutenzioni. Senza ci trasformeremmo in un deserto: cattivo, pericoloso, vuoto di abitanti. L’impoverimento dei ceti medi è clamoroso: solo una piccola nicchia di professionisti, alti funzionari e imprenditori è riuscita a restare a galla, accumulando ricchezza sulla pelle di decine di migliaia di persone che sono rimaste ai margini”.

“La città ricca è sempre più piccola, sempre più autoreferenziale, sempre più chiusa dentro i confini sempre più ristretti dei quartieri bene e delle ville dei paesi pedemontani. I figli di questa Catania ricca hanno già gli appartamenti a Milano: sono già fuggiti. Le migliaia di figlie e di figli della Catania in crisi raggranellano salari insufficienti, con lavori precari, spesso senza alcun contratto di lavoro e si organizzano per scappare anche loro. Il resto è mafia, delinquenza oppure resistenza estrema, senza alcun aiuto, nella speranza che qualcosa finalmente cambi”.

“Le forze politiche e sociali che in solitudine da anni denunciano la situazione hanno (abbiamo) la colpa di essersi abituate alla sconfitta, incapaci di invertire la tendenza, inadeguate a sovvertire la situazione. Inutile avere ragione se poi non si riesce a costruire un’alternativa, relegati alla testimonianza, a una romantica battaglia senza alcuna ambizione di vittoria”.

“Occorre davvero cambiare tutto. Serve una mobilitazione per salvare Catania. Non una consociativa unità tra chi ha determinato il disastro e chi lo subisce da decenni ma una mobilitazione di chi soffre e soffrirà la crisi per rivendicare il diritto della città di Catania ad essere ancora un luogo dove vale la pena vivere, dove essere felici, dove far crescere le proprie figlie e i propri figli. Una mobilitazione per esigere lavoro, finanziamenti, servizi e per sottrarci al ricatto del debito”.

“È una sfida che lanciamo a chi da anni è impegnato nel cambiamento della città, a partire dai suoi quartieri più difficili. Decidiamo insieme come iniziare ma è questo il momento di agire: insieme, per cambiare davvero le cose”.

Matteo Iannitti, Catania Bene Comune