Sonia Alfano, ex presidente della Commissione parlamentare antimafia europea ed ex europarlamentare, lei più volte ha denunciato che il Capitano Ultimo, alias Sergio De Caprio, oggi colonnello dei carabinieri, è coinvolto nel contesto barcellonese nel quale è maturato il delitto di suo padre, il giornalista di Barcellona Pozzo di Gotto, Beppe Alfano. Perché?

“Ultimo è coinvolto in un evento mai chiarito, verificatosi a Terme Vigliatore (centro limitrofo a Barcellona) il 6 aprile 1993, pochissimi mesi dopo l’omicidio di mio padre (verificatosi a Barcellona l’8 gennaio dello stesso anno, ndr.). Una sparatoria, in cui De Caprio spara per uccidere (così dice la perizia) un giovane durante un inseguimento molto singolare”.

Il capitano Ultimo, oggi colonnello Sergio De Caprio al momento della cattura di Totò Riina, Sopra: l’ex presidente della Commissione parlamentare antimafia Sonia Alfano, già parlamentare nazionale ed europea

Singolare?

“Il colonnello De Caprio dichiara di aver partecipato, quella mattina, ad una riunione operativa presso il Raggruppamento operativo speciale dei carabinieri di Messina assieme al maresciallo Scibilia (responsabile della locale sezione del Ros). Dopodiché dice di aver preso, con i suoi uomini, la strada statale per rientrare a Palermo (dove allora presta servizio), situata nell’altro capo della Sicilia. Una cosa alquanto strana: con la vecchia statale, per fare un percorso del genere, ci si impiegano un sacco di ore, basta prendere l’autostrada per accorciare le distanze, ma lui ritiene di fare una strada tortuosa e lunghissima”.

Va be’, mettiamo che ha voluto fare la statale. Qual è il problema?

“A un certo punto il capitano Ultimo passa da Terme Vigliatore, vede uscire una jeep da un’abitazione e la insegue. Non lo fa con una macchina militare, ma con un’auto civile sprovvista di sirene e di dispositivi visibili. Quel che è singolare è che Ultimo comincia a sparare. Il guidatore della jeep si impaurisce, scappa e si rifugia presso la più vicina caserma dei carabinieri. Davanti ai militari, De Caprio dice: questo è Nitto Santapaola, ma poi si corregge: no è Pietro Aglieri (entrambi boss di Cosa nostra, in quel momento latitanti, ndr.). Peccato che la persona alla guida del fuoristrada abbia 19 anni, mentre Santapaola e Aglieri, all’epoca, ne hanno più del doppio. Un’altra singolare coincidenza”.

Chi è il guidatore della jeep?

“Fortunato Imbesi, figlio dell’imprenditore barcellonese Mario Imbesi”.

Sull’auto è solo o accompagnato da qualcuno che magari somiglia a Santapaola o ad Aglieri?

Il boss Nitto Santapaola

“Solo”.

In cosa consiste l’anomalia?

“Facciamo un passo indietro di qualche mese. Dato che mio padre viene ucciso con una pistola calibro 22, alcuni giorni dopo il suo omicidio, il Pubblico ministero Olindo Canali, titolare delle indagini (alcuni anni dopo trasferito da Barcellona per incompatibilità ambientale, ndr.), convoca l’imprenditore Mario Imbesi, padre del giovane Fortunato, in quanto possessore di una pistola calibro 22”.

Come si scopre che Imbesi è possessore di un’arma del genere?

“Attraverso l’elenco di tutte le persone che in quel momento detengono delle calibro 22”.

Ok. Canali convoca Imbesi per approfondire la vicenda. Che succede?

“Il fatto strano è che non lo convoca in una caserma dei carabinieri, in un commissariato di polizia o in Procura, ma in una stazione di servizio dell’autostrada Messina-Palermo. E gli dice di portarsi la pistola. Dopo circa una settimana, Canali convoca nuovamente l’imprenditore, stavolta in un ristorante per parlare ancora di quell’argomento”.

Dunque Canali, per una operazione così delicata, incontra Imbesi in una pompa di benzina e in un ristorante.

“Sì. La seconda volta Imbesi dice a Canali: ‘Dottore, guardi che io non c’entro assolutamente nulla con l’omicidio di Beppe Alfano, anzi tengo a precisare che avevo una calibro 22 identica a questa: l’ho venduta a tale Franco Mariani, collezionista di armi”.

Il magistrato Olindo Canali

Chi è Franco Mariani?

“Un personaggio vicino a certi personaggi, coinvolto nella storia delle tangenti milanesi degli anni Ottanta e Novanta, amico e compagno di cella di Saro Cattafi (quest’ultimo ritenuto dai magistrati il super boss di Barcellona Pozzo di Gotto, collante fra Cosa nostra e i servizi segreti deviati, nonché, secondo il pentito Carmelo D’Amico, mandante del delitto dell’urologo Attilio Manca, ndr.). Dalle indagini emerge che Mariani dichiara di avere smarrito la pistola calibro 22 durante un trasloco effettuato a Milano, pochi giorni prima dell’omicidio di mio padre”.

A quel punto cosa si verifica?

“Si ferma tutto. Non viene fatto alcun accertamento a carico di Mariani. Le indagini su questo soggetto (compresa la vicenda della pistola) le ho dovute fare io”.

Addirittura.

“Ma c’è dell’altro. Nell’agenda del generale del Ros, Mario Mori (diretto comandante del capitano Ultimo), relativamente al mese di febbraio 1993, si legge: ‘Ore 9,30. Riunione presso Ros di Roma con Olindo Canali, Di Maggio (magistrato di punta del Tribunale di Milano e successivamente del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, ritenuto dai magistrati coinvolto nella Trattativa, ndr.) e maresciallo Ros di Messina per parlare dell’omicidio del giornalista di Barcellona’. Durante il processo Mori, vengo a conoscenza di questi appunti e chiedo di sentire lo stesso Mori, Scibilia e Canali (Di Maggio era morto) per chiarire un paio di punti”.

Quali?

“Che cosa si è detto in quella riunione, chi l’ha convocata (dato che non esistono atti ufficiali), chi l’ha autorizzata e dove si trova il verbale della stessa. Nessuno ha mai ritenuto di interrogare queste persone. Eppure si tratta di uno snodo cruciale: in quel vertice si è parlato della pistola calibro 22?”.

E siamo a febbraio.

“Ad aprile, Ultimo spara contro il figlio di Mario Imbesi”.

Un’altra coincidenza, sicuramente.

“Stiamo ai fatti. Cinque anni fa, Mario Imbesi si reca dall’ex procuratore di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, per dire: ‘Temo per la mia vita, temo che vogliano uccidermi per il delitto Alfano, temo che vogliano addossare a me la responsabilità di quell’assassinio, mentre io non c’entro assolutamente nulla”.

La pistola che fine ha fatto?

“Non è stata mai ritrovata, malgrado le sollecitazioni che ho fatto alla Procura della Repubblica di Messina. È da molti anni che a Messina c’è un fascicolo sulla morte di mio padre: da allora chiedo ai magistrati di essere ascoltata attraverso un confronto con l’ex Pm Olindo Canali. Ancora aspetto di essere convocata”.

Luciano Mirone

1^ Puntata. Continua.