Sonia Alfano, quando il capitano Ultimo, Sergio De Caprio, oggi colonnello, sparò sul giovane Fortunato Imbesi scambiandolo per Santapaola, il Ros aveva contezza che Santapaola si nascondeva proprio lì, a Barcellona Pozzo di Gotto, dove avvenne la sparatoria?  

“Non solo aveva contezza, ma aveva conferma attraverso la voce diretta di Santapaola”.

In che senso?

“Ci sono delle intercettazioni effettuate il 4 e il 5 aprile del 1993, rispettivamente due giorni e un giorno prima della famosa sparatoria di Terme Vigliatore: in quelle occasioni il Ros sente un autotrasportatore barcellonese, tale Orifici, attraverso le microspie che si trovano negli uffici di costui. Lo stesso Ros sa perfettamente che Santapaola, in quel periodo, si nasconde nei pressi della casa di Beppe Alfano, in via Trento, dove allora vivevo con i miei fratelli e i miei genitori. Il Ros sa chi accompagna Santapaola ai caselli autostradali e che a Barcellona il boss catanese viene inteso con l’appellativo di zio Filippo”.

Santapaola quando arriva a Barcellona? E quando va via?

“Arriva nel dicembre del 1992 e va via nell’aprile del ’93. Il 15 maggio dello stesso anno viene arrestato nelle campagne di Mazzarrone, tra Siracusa e Catania”.

Quindi il Ros intercetta questo autotrasportatore di Barcellona. Cosa emerge?

“Il 4 e il 5 aprile, mentre Orifici è con il figlio nel suo ufficio, si presenta un signore dal chiarissimo accento catanese, che tutti a Barcellona conoscono e riveriscono (questo tengo a precisarlo, dato che nelle informative si parla anche di qualche esponente delle forze dell’ordine), e parla a lungo col titolare. Di cosa? Di caccia, di cani, di certi patrimoni che la magistratura sequestra per fare terra bruciata attorno a lui. Quando il distinto signore catanese va via, Orifici chiama il figlio: sai chi è lo zio Filippo? È Nitto Santapaola. Il Ros ascolta e non interviene”.

Sonia Alfano, ex presidente della Commissione antimafia europea. Sopra: la strage di Capaci

Perché?

“E’ una domanda rimasta senza risposta. Così come sono rimaste senza risposta tante altre cose”.

Per esempio?

“Dopo che l’8 gennaio 1993 viene assassinato mio padre, qualche magistrato convoca esponenti del Ros, dello Sco e del Sid presso la Dda di Messina. Durante gli interrogatori emergono due cose: 1) che la notte dell’omicidio di Beppe Alfano, la nostra casa si riempì di un sacco di persone dei servizi segreti che rovistarono in ogni angolo dell’appartamento e sequestrarono di tutto; 2) e che costoro sapevano della presenza di Santapaola a Barcellona, ma c’era l’ordine di non arrestarlo”.

Perché? 

“La versione ufficiale era quella che dovevano fargli mancare il terreno sotto i piedi per spingerlo a lasciare quella zona”.

Quindi Santapaola non doveva essere preso a Barcellona?

“Ognuno faccia le proprie deduzioni”.

Però bisogna dare al capitano Ultimo il grande merito di avere arrestato Totò Riina.

“A parte il fatto che il merito va dato soprattutto ai magistrati per le indagini svolte, resta il grande demerito di non avere effettuato la perquisizione nel covo, di aver permesso che il covo venisse svuotato e reso inutile dal punto di vista investigativo e giudiziario, e di aver taciuto. Perché anche se ci sono ordini dall’alto, non si può tacere davanti a dei morti che hanno servito lo Stato. Vogliamo raccontarla per intero questa verità o solo con le fiction?”.

Il momento della cattura di Bernardo Provenzano

A Barcellona Pozzo di Gotto c’è stata un’altra “latitanza di Stato”: quella di Bernardo Provenzano, protetto per oltre quarant’anni dalla parte deviata delle istituzioni. Perché il rapporto dei Ros sulla presenza del boss corleonese a Barcellona non si trova?

“Per lo stesso motivo per il quale alcune informative del Ros che riguardano le intercettazioni  disposte il giorno dopo dell’omicidio di mio padre non si trovano, sono state distrutte, i nastri sono finiti nell’acqua, si sono smagnetizzati, insomma hanno raccontato di tutto. Ci sono stati esponenti del Ros che hanno denunciato tutto questo, ma poi sono stati intimiditi. Si sa dove si nascondeva Provenzano a Barcellona, chi lo accompagnava e chi lo copriva”.

Chi?

“Le istituzioni deviate. Veramente riusciamo a credere che dopo il trambusto causato dalla presenza di Nitto Santapaola e l’uccisione di Beppe Alfano, nessuno sia a conoscenza del fatto che un boss del calibro di Provenzano si nascondesse a Barcellona?”.

Dunque Barcellona si può considerare una “zona franca” per nascondere e proteggere i boss di Stato?

“E’ il crocevia degli interessi mafiosi negli anni delle stragi. Non dimentichiamo che il telecomando che ha fatto saltare in aria il giudice Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta, fu consegnato dal boss barcellonese Giuseppe Gullotti, ritenuto il mandante dell’assassinio di mio padre, alla commissione mafiosa palermitana. Non dimentichiamo che l’aspetto relativo all’esplosivo fu curato da Pietro Rampulla, boss di Mistretta, in stretto collegamento coi barcellonesi. Non dimentichiamo che nelle prime indagini sulle stragi fu indagato il super boss barcellonese Rosario Cattafi (ne parliamo nella prima puntata di questa inchiesta, ndr.), la cui posizione fu successivamente archiviata, assieme a quella di Berlusconi e di Dell’Utri”.

Rosario Pio Cattafi

Chi si vuole proteggere?

“Certi personaggi che agiscono ai massimi livelli e che fanno da anello di congiunzione fra la mafia, la politica, la massoneria e i servizi segreti deviati”.

Possibile che certi personaggi siano così potenti?

“Assolutamente sì. Parliamo di un contesto politico-istituzionale che in quel periodo ha tanto da nascondere: non dimentichiamo i coinvolgimenti di ministri e di sottosegretari nelle vicende più drammatiche della vita di questo Paese”.

Luciano Mirone

2^ puntata. Continua.