Se ne è andata in punta di piedi, dolcemente, il giorno dopo la tragedia di Genova, come se con i morti del capoluogo ligure volesse condividere il momento estremo della solidarietà e del dolore. Perché Rita Borsellino – deceduta oggi dopo una lunga malattia – si può riassumere in queste tre parole: dolcezza, condivisione, solidarietà.

Fu infatti con dolcezza e con spirito di condivisione e di solidarietà che dal giorno successivo alla strage di via D’Amelio – in cui fu fatto a pezzi suo fratello Paolo – Rita decise che era giunto il momento di uscire dalla farmacia (presso la quale svolgeva da decenni la sua professione)  e di andare in giro per l’Italia per testimoniare  – soprattutto nelle scuole – l’impegno di Paolo e le verità inconfessabili che stavano dietro a quel tremendo attentato in cui erano state spezzate anche le giovani vite degli agenti della scorta, Emanuela Loi, Walter Cosina, Claudio Traina, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli (citati sempre per nome e cognome).

Non c’era città o paese sperduto del nostro Paese in cui non partecipasse. E lo faceva sempre con l’entusiasmo di chi credeva nel cambiamento. Si porgeva con voce pacata, col sorriso sulle labbra, mai con una parola, con un gesto o con un tono fuori luogo. Dietro a quel sorriso e a quella pacatezza c’era sempre la voglia di rivoluzionare tutto, come era successo a Paolo.

Paolo Borsellino. Sopra: Rita Borsellino (immagine corriere.it)

Da quel momento la vita di Rita – come quella del resto dei familiari – non è stata più la stessa. Persa per tutta l’Italia (e non solo) nelle migliaia di conferenze alle quali veniva invitata, la “signora” o la “dottoressa” Borsellino (come veniva definita da chi timidamente non aveva il coraggio di chiamarla Rita) non si sottraeva mai, convinta che – per dirla con Tertulliano – il sangue dei martiri genera altri cristiani. Il sangue che diventa seme che germoglia attraverso la terra (in questo caso la parola) che dà frutti anche in un luogo accidentato e difficile come la Sicilia.

Quella stessa Sicilia dove – dopo anni di straordinario impegno civile con la gente comune, con l’Arci, con il movimento L’altra storia, fondato da lei, come massima espressione della Società civile – Rita fu candidata alla carica di governatore,  perdendo – udite udite! – contro uno dei personaggi più incredibili che la storia di quest’isola abbia prodotto: quel Totò Cuffaro condannato, diverso tempo dopo, a sette anni per favoreggiamento a Cosa nostra. Doveva essere una passeggiata per lei, e invece non lo fu: da tempo la Sicilia (come l’Italia intera) era attraversata da quella “mutazione antropologica” che comprende l’amnesia, oltre al premio a chi sta dalla parte della mafia e non a chi la combatte e viso aperto.

Salvatore Borsellino

Alcuni anni dopo – quando la sinistra palermitana organizzò le primarie per la candidatura a sindaco del capoluogo siciliano – fu anche peggio: anche in quel caso doveva essere una passeggiata, e invece Rita fu colpita dal “fuoco amico”. A quelle primarie – secondo la coraggiosa denuncia di Leoluca Orlando – parteciparono anche gli elettori legati a certi ambienti della città. Alla Regione siciliana era in corso uno degli inciuci più vergognosi della storia: quello fra il Pd e il neo presidente Raffaele Lombardo. Un inciucio collaudato anni prima con Cuffaro e confermato anni dopo con Crocetta, ex comunista, ma non scevro da questo tipo di compromessi. Dopo le primarie, Rita continuò le sue battaglie nella Società civile, Orlando ruppe gli indugi e divenne sindaco con il suo sostegno.

Nel frattempo a fiancheggiare Rita nell’impegno di testimone e di denuncia, fino a sostituirla soprattutto negli anni della malattia, era stato il fratello Salvatore, che da Milano, dove da molti anni fa l’ingegnere, si catapulta in tutto il Paese con la veemenza del ventenne che vuole verità e giustizia. Due bellissime figure, Rita e Salvatore: compassata l’una, irruente l’altro, da annoverare fra le personalità italiane che negli ultimi decenni hanno dato il contributo più alto nel far prendere coscienza della forza devastante di Cosa nostra e del sistema di potere con cui essa è alleata (una parte della politica, della massoneria, dei servizi segreti deviati).

Chi scrive ha avuto l’onore di lavorare con Rita (oltre che con Salvatore) in diversi tempi: nel 1999 e nel 2008, in occasione della prima e della seconda edizione de “Gli insabbiati”, il libro sui giornalisti siciliani uccisi dalla mafia, di cui la “dottoressa” scrisse una bellissima prefazione, che contribuì a presentare in diverse città italiane; e nel 2013, quando il sottoscritto fu candidato a sindaco di Belpasso come espressione della Società civile e dei progressisti. In quel turno delle amministrative si votava in centinaia di comuni della Sicilia. Rita portò il suo sostegno al candidato di Calascibetta e a quello di Belpasso, come esempi – bontà sua – di impegno civile e di discontinuità con le pratiche del passato. Uno dei più grandi riconoscimenti della mia vita che non dimenticherò. Grazie davvero.

Luciano Mirone