Archiviato. Il caso Manca è chiuso. Non è bastato che pochi giorni fa il principale accusatore dell’urologo di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina) fosse definito “bugiardo” da un altro Tribunale. Non è bastata una perizia medico legale che ha posto seri dubbi sull’”inoculazione volontaria” per overdose di eroina da parte della vittima. Non è bastata la richiesta di riesumazione del cadavere presentata recentemente dai legali della famiglia Manca (gli avvocati Antonio Ingroia e Fabio Repici). Non sono bastati quattro pentiti che hanno parlato chiaramente di omicidio camuffato da suicidio da mettere in correlazione con l’operazione alla prostata del boss Bernardo Provenzano alla quale Attilio Manca avrebbe partecipato. Non è bastata un’autopsia piena di omissioni e di contraddizioni. Non sono bastate le menzogne che emergono in modo copioso dal fascicolo. Non è bastato niente di tutto questo per portare il Gip del Tribunale di Roma Elvira Tamburelli ad avere coraggio, e a respingere la richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura della Repubblica capitolina diretta da Giuseppe Pignatone.

Ci chiediamo cosa ci voglia per comprendere che non sempre la verità è quella che si vede, ma quella che si nasconde fra le pieghe dell’apparenza. E in questo caso l’apparenza ci ha mostrato cinque elementi fin troppo semplici per essere veri: 1) un giovane medico mancino trovato morto con due buchi nel braccio sbagliato, quello sinistro; 2) due siringhe a pochi metri dal cadavere; 3) un esame tossicologico che ha accertato la presenza di eroina nell’organismo della vittima; 4) un esame tricologico (anch’esso pieno di contraddizioni) secondo il quale Attilio Manca era un drogato capace di controllare gli impulsi dell’eroina malgrado le migliaia di operazioni chirurgiche effettuate negli ultimi anni; 5) le testimonianze di quattro amici di Barcellona – fra cui quello condannato pochi giorni fa per aver detto il falso nel processo per l’assassinio del giornalista Beppe Alfano – vicini a determinati ambienti, che hanno confermato la tossicodipendenza del medico siciliano.

Siamo certi che sia questa “la” verità? Un caso del genere o lo approfondisci nel suo contesto – che è quello delle relazioni micidiali fra mafia, politica, massoneria e servizi segreti deviati, e quello delle grandi latitanze “di Stato” trascorse a Barcellona Pozzo di Gotto da boss del calibro di Bernardo Provenzano e di Nitto Santapaola – oppure non lo capirai mai.

E dobbiamo confessare che le motivazioni con le quali Viterbo e Roma (ma anche la maggioranza della Commissione parlamentare antimafia della scorsa legislatura) hanno liquidato la vicenda, muovono al sorriso per lo sforzo immane e grottesco di ricostruire certe dinamiche senza il supporto di una prova . Circoscrivere il caso “solo” nella stanza da letto nella quale Attilio Manca è stato trovato morto, senza allargare il raggio investigativo di un solo millimetro, mostra un dilettantismo davvero preoccupante. Ma forse il dilettantismo in questo triste gioco delle parti non c’entra nulla. C’entra l’apparenza.

Immagine d’apertura: Attilio Manca

Luciano Mirone