Da circa due mesi sto collaborando con Antonio Ingroia alla realizzazione del suo ultimo libro “Le Trattative” edito da Imprimatur editore. Ci siamo sentiti e confrontati praticamente tutti i giorni, e circa un mese fa, durante una telefonata, mi ha detto semplicemente: “Da questa mattina non ho più la scorta”. Sospeso tutto, ogni tipo di protezione o di forma di tutela. Dopo 27 anni.
Spesso in queste settimane ci abbiamo scherzato sopra per sdrammatizzare, anche perché traspariva nel racconto della sua quotidianità lo stupore di alcune piccole e grandi libertà che per una persona da decenni sotto protezione rappresentano una novità assoluta. Ma il sotto testo, il non detto, era esplicito: “E ora che può accadere?”.
Lavorava a Marsala con Paolo Borsellino quando gli venne assegnata la prima scorta. Sia lui che il suo capo avevano ricevuto segnalazioni di un possibile attentato. “Ero la seconda scelta”, ha liquidato con una battuta il fatto che a trent’anni fosse già considerato da parte della mafia un obiettivo da abbattere. “Paolo diceva che ero precoce, visto che a lui la scorta era stata data quando aveva quarant’anni”. Da allora quasi 27 anni di tutela, per le minacce ricevute, per il pericolo reale di un attentato. Ventisette anni. A causa della propria attività contro la mafia e non solo nella sua lunga carriera di magistrato, ma, come oggi, a causa anche della sua attività di avvocato, come ad esempio in questi ultimi mesi di rappresentante di parte civile nel delicatissimo processo in corso a Reggio Calabria “Ndrangheta stragista” o della famiglia di Attilio Manca. Se da un lato questa revoca della scorta gli ha fatto riconquistare spazi di libertà che ha del tutto rimosso dalla sua vita per 26 anni, dall’altro il segnale lanciato dalle istituzioni nei suoi confronti è raggelante. Perché la mafia non dimentica, perché nonostante in molti se lo augurassero, Antonio non si è ritirato a vita privata e di mafia e di lotta alla criminalità organizzata continua a occuparsene.
Che sia chiaro, Antonio è stato e continua ad essere uno dei protagonisti della lotta al sistema criminale. Si è occupato dei fascicoli più importanti e delicati, dal processo Andreotti a quello dell’Utri, da quello contro Contrada ai primi procedimenti che sfioravano la trattativa, dall’inchiesta sui Sistemi Criminali fino a tutta la parte di indagini del processo Trattativa andato a sentenza il 20 aprile scorso. La sentenza emessa dalla mafia nei suoi confronti è nel suo lavoro per la collettività e lo Stato.
Scrivo nella nota conclusiva al libro “Le Trattative”: “Il suo progressivo riconquistare spazi di vita e di libertà dopo aver trascorso quasi trent’anni sotto scorta ha trovato, in parte, sintesi nella stesura di questo libro, sia nella capacità di racconto che nel porsi domande anche su quello che è stato il suo lavoro di pm. Per un uomo libero che ha rinunciato a un pezzo enorme della sua libertà per fare il suo lavoro di magistrato in prima linea, l’esperienza di essere oggi un “uomo qualunque” nell’accezione più positiva del termine, si è trasferita anche in queste pagine. A dimostrazione che non è il ruolo a fare l’uomo, ma l’uomo a dare senso al ruolo. E Antonio, oggi, come lo è stato quando era magistrato, è un uomo libero”.
E come uomo libero “non tirerà indietro la gamba”, non si ritirerà a vita privata, non diventerà muto, non si nasconderà. Anche se lo Stato ha deciso di lasciarlo esposto e a rischio di vita.
Pietro Orsatti
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