Crolla il Movimento 5 Stelle rispetto alle ultime nazionali di marzo, risale il Centrodestra, in coma il Centrosinistra. Questo il dato parziale che si ricava alle tre del mattino di lunedì 11 giugno, quando a Catania, su oltre trecento sezioni, solo otto hanno concluso le operazioni di spoglio.
Sì, sono le tre del mattino e siamo qui dopo una campagna elettorale durissima, e in un momento in cui il ministro dell’Interno Matteo Salvini non autorizza l’ingresso nei porti italiani della nave Aquarius piena di 629 migranti che chiedono solo il diritto di vivere.
Un dato, quest’ultimo, che va associato alla vittoria del candidato del centrodestra di Catania, Salvo Pogliese, sponsorizzato proprio da lui, Matteo Salvini, oltre che da Berlusconi, Musumeci e Meloni.
Ma cominciamo con la debàcle del M5S. Tranne eccezioni, il Movimento di Di Maio paga l’evidente discrepanza fra le grandi battaglie portate avanti a livello nazionale (con la strada spianata da quella forza della natura che è Beppe Grillo, percorsa in modo brillante dai vari Di Maio, Di Battista, Fico, Taverna, Giulia Grillo, eccetera) e l’assenza di attività che si registra in molte realtà locali. Negli ultimi tempi abbiamo apprezzato la politica fatta dal Movimento sulla questione morale, sull’ambiente, sulla Tav, sulla mafia e su tanti altri temi. Fatichiamo a capire quello che la formazione pentastellata vuol fare nelle città.
L’impressione che si ricava osservando i 5S che operano nei comuni – senza ovviamente voler generalizzare – è quella di un movimento pressoché silenzioso per quattro anni e undici mesi, che pensa di potere conquistare i municipi negli ultimi trenta giorni attraverso il trend delle nazionali. La politica si fa nei territori, parlando con la gente, ascoltando i bisogni, denunciando il marcio che si annida nelle Amministrazioni locali, progettando il futuro. Così facendo si rischia di buttare alle ortiche il patrimonio di consensi guadagnato nelle competizioni precedenti e privare le proprie comunità di una forza fresca che potrebbe dare un contributo importante al futuro. Su questo il Movimento, secondo noi, è chiamato a fare una seria autocritica.
Il Centrodestra in risalita. Dopo la vittoria in Sicilia dello scorso novembre – che ha incoronato Nello Musumeci come presidente della Regione – la coalizione di Salvini e di Berlusconi ha capito che per vincere deve marciare unita. Con il leader della Lega che – assieme a Di Maio – è diventato il vice presidente del Consiglio prendendosi un ministero “sensibile” come l’Interno, l’alleanza vira decisamente a destra. Non quella destra berlusconiana amante degli interessi e delle collusioni che, attraverso certi soggetti (anche in questo caso non bisogna generalizzare), siamo stati abituati a vedere negli ultimi venticinque anni, ma una destra intollerante verso gli strati più deboli della società. È con la chiusura dei porti italiani o con l’eliminazione dei campi Rom che si risolve il problema dell’immigrazione e del nomadismo? Intanto con questa politica la destra vince e Salvini sale nei sondaggi.
È chiaro che bisogna lasciare lavorare il governo in carica e osservare la capacità di deterrenza del M5S e del presidente del Consiglio Giuseppe Conte nel contenere questa tendenza che rischia di diventare deriva. A Catania vince Salvo Pogliese (sotto inchiesta per peculato) sull’uscente Enzo Bianco: l’auspicio è che l’esponente del centrodestra non riporti la città ai livelli delle giunte capeggiate da Umberto Scapagnini e Raffaele Stancanelli, bassi sotto tutti i punti di vista: basti pensare all’immensa voragine finanziaria che non ha consentito al Comune di pagare l’Enel. Risultato: diversi quartieri al buio, mentre le consulenze venivano pagate a peso d’oro. Un esempio fra i tanti per raccontare il degrado in cui era sprofondata la città prima di Bianco.
Il Centrosinistra in coma, dal quale non sappiamo se e quando si sveglierà. Troppi errori e troppi orrori commessi da una classe dirigente malata di narcisismo e affetta da delirio di onnipotenza, a cominciare dall’ex segretario, nonché ex presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Al quale, beninteso, non è giusto scaricare tutte le responsabilità. Se il partito vuole svegliarsi dal coma e diventare la guida della sinistra e dell’Italia ha bisogno di un rinnovamento pressoché totale della sua classe dirigente. Tollerare, e forse incoraggiare, senza battere ciglio, che in certe realtà locali (vedi Belpasso) degli iscritti al Pd si candidino nelle liste del centrodestra, significa voler staccare la spina alla quale il partito ha affidato una flebile speranza di sopravvivenza. Sentire che i responsabili della Federazione provinciale di Catania, Angelo Villari e Concetta Raia, si appropriano della vittoria dell’esponente del centrodestra di Belpasso, Daniele Motta (a proposito: auguri), sol perché un tempo militante della sinistra, vuol dire: 1) che certo gruppo dirigente non ha compreso qual è la strada maestra da imboccare per riavere un ruolo in Italia e in Europa; 2) che Renzi non è l’unico responsabile della disfatta di quel partito. Il problema è molto più profondo e riguarda una cultura, un modo di concepire la politica completamente distorto rispetto ai valori di riferimento della grande tradizione socialista e cattolico democratica da cui è nato il Pd. Proseguire con la politica dell’inciucio, consentire ai voltagabbana e agli opportunisti di rientrare alla “casa madre” – senza contemporaneamente avviare un dialogo con il mondo dell’associazionismo, del volontariato, della cultura, delle professioni, delle produzioni, insomma con quella Società civile con la quale la sinistra tradizionale si è sempre confrontata – vuol dire condannare a morte un partito, perché significa che la parola “rinnovamento” o “rifondazione” non fanno parte del Dna di questi esponenti. Vorremmo sbagliarci, ma se così fosse, sarebbe meglio che questa classe dirigente togliesse il disturbo.
Colpisce, di questa disfatta della sinistra, la vittoria alla quale comunque sembra avviato a Trapani l’ex sindaco di Valderice ed Erice Giacomo Tranchida, l’affermazione del nuovo sindaco di Brescia e le sonore sconfitte di Bianco a Catania e di Renato Accorinti a Messina, due politici, questi ultimi, profondamente diversi fra loro, ma che avevano fatto sperare molte persone che credevano in una politica nuova. Anche loro hanno fatto degli errori: segno che quanto denunciato in questi cinque anni nel capoluogo etneo dai movimenti della sinistra (a cominciare da Catania Bene Comune) è vero: quando Bianco ha cominciato a inseguire la destra su certi terreni, ha perso quella parte di sinistra e di Società civile che lo aveva votato, e si è perso. È anche vero però che amministrare quella città ridotta sul lastrico dai suoi predecessori era compito improbo. E stiamo parlando di un manager con un’esperienza politica ultratrentennale come lui. Per giudicare onestamente questi ultimi cinque anni, bisogna partire da quel “buio” che metaforicamente rende benissimo le condizioni in cui era ridotta la città con l’amministrazione di centrodestra. Confrontare tutto con gli errori commessi (fra questi, l’amicizia ambigua con l’editore de “La Sicilia” Mario Ciancio, i rapporti con Raffaele Lombardo, e tanti altri argomenti ai quali il popolo della sinistra è molto sensibile), tirare le somme e cercare di capire. Colpirlo in modo feroce e anche volgare – come è successo negli ultimi giorni di campagna elettorale anche da parte di molti esponenti di sinistra scatenando un eco assordante sui Social network – per la realizzazione di una fontana di marmo, che, può piacere o meno, ma essendo il prodotto di un artista può essere criticata, ma con il dovuto rispetto, oltre a non fare onore agli autori di certa terminologia, contribuiscono oggettivamente all’affermazione di una coalizione che oggi si ritrova Salvini leader.
In questo momento anche il sindaco di Messina, Renato Accorinti, dovrebbe riflettere per le critiche che in questi anni gli sono state mosse da persone perbene che un quinquennio fa hanno contribuito alla sua straordinaria vittoria: parliamo di Antonio Mazzeo, di Luigi Sturniolo e di Nina Lo Presti, le cui parole si sono rivelate profetiche.
Non sappiamo cosa capiti a certe persone quando arrivano al potere. Sappiamo però che purtroppo questo esperienze straordinarie vengono bruciate in modo assurdo. E sappiamo pure che passeranno degli anni e forse dei decenni per ricostruirle. Forse – come stasera ha detto il leader di Catania Bene Comune, Matteo Iannitti – bisogna ripartire dai sindaci, o meglio, da certi sindaci che mentre la nave Aquarius vaga nel Mediterraneo in cerca di un approdo, hanno aperto le porte delle loro città ai migranti. E dall’impegno del Papa per il rispetto dell’ambiente.
Luciano Mirone
Lascia un commento...