È morta una delle donne più coraggiose, più dignitose, più vere che questo disgraziato Paese non meritava di avere. È morta Luciana Alpi, madre di Ilaria, la giornalista del Tg3 uccisa in Somalia ventiquattro anni fa, assieme all’operatore Miran Hrovatin, in circostanze che le inchieste e i processi non hanno mai voluto chiarire, anche se la verità è sempre stata sotto gli occhi di tutti.

Luciana e Giorgio Alpi. Sopra: Luciana Alpi

Perché Ilaria Alpi indagava su un ingente traffico di armi e di scorie radioattive mentre si trovava in Africa per conto della televisione di Stato. Di quello Stato che per un quarto di secolo ha negato la verità a Luciana e a Giorgi Alpi, perché anche in questa vicenda, lo Stato – secondo quanto hanno sempre dichiarato questi meravigliosi genitori mai arresisi agli insabbiamenti e alle bugie – c’è sempre stato dentro, fino al collo.

Luciana e Giorgio li conobbi nel lontano 1998, quando mi recai a Roma per intervistarli: ero convinto che l’uccisione della loro figlia fosse legata al delitto di Mauro Rostagno, un altro giornalista valoroso ucciso mentre svolgeva il suo lavoro di cronista. Lei in Somalia, lui a Trapani. Entrambi alle prese con le stesse inchieste sulle quali ormai erano giunti al redde rationem: Ilaria grazie alle confidenze di testimoni importanti che segnava pazientemente nel suo taccuino, Mauro addirittura grazie alle riprese che lui stesso – secondo quanto accertato molti anni dopo dai magistrati – aveva effettuato sul traffico d’armi che partiva da Trapani e finiva proprio in Somalia.

Parlammo per due ore nella loro bella casa situata in uno dei quartieri più belli di Roma. Luciana non si fermava mai, aveva bisogno di parlare, di raccontare, di svelare le imposture di quell’inchiesta che parlava di una “pallottola vagante” – insomma, una casualità – che avrebbe colpito Ilaria e Hrovatin nell’ambito della guerriglia che in quegli anni insanguinava il Paese africano. Giorgio era più compassato, più riflessivo, più flemmatico: spiegava con estrema razionalità che la “pallottola vagante” non c’entrava nulla, perché quell’assassinio aveva dei mandanti e degli esecutori da ricercare nel contesto della cooperazione internazionale che in quegli anni il nostro Paese aveva intrapreso con la Somalia. E giù i nomi dei politici coinvolti, ancor oggi top secret, come tutti i politici coinvolti nelle squallide trame di Stato.

Ilaria Alpi

Fu una chiacchierata molto intensa e istruttiva: non trovai le prove dei collegamenti fra l’assassinio di Ilaria e di Mauro, ma capii il contesto e questo fu sufficiente per inserire un altro prezioso tassello al mosaico che stavo componendo.

Quando ci alzammo mi condussero nella camera della figlia: “Da allora è rimasta intatta”. Gli oggetti dell’infanzia. Le foto. I libri in lingua araba che lei amava più di quelli in italiano. “Certa gente vuole che ci rassegniamo, cercano di snervarci in tutti i modi: noi continueremo a lottare. Lo dobbiamo a Ilaria”. Luciana piangeva senza piangere, ogni tanto si fermava e guardava da un’altra parte.

Giorgi a un certo punto mi chiese: “A che ora hai l’aereo? Dai che ti accompagno alla stazione, da lì prendi il treno per Fiumicino”. Il viaggio in macchina, monte Mario, lo stadio Flaminio, le statue bianche. L’abbraccio.

Uscì il libro. Il primo fu per loro. Un giorno giunse una telefonata, rispose mio padre, un altro italiano esemplare di cui un giorno racconterò la storia: era Giorgio Alpi, mi ringraziava per avere ricevuto “Gli insabbiati”. Non si conoscevano, il padre di Ilaria e mio padre, non si erano mai parlati, eppure conversarono per mezz’ora, come se si conoscessero da sempre. Ilaria, l’Italia di una volta, l’Italia di oggi, Craxi, Andreotti, Berlusconi, la P2, la verità, la giustizia, la resistenza, la resistenza e ancora la resistenza.

Ilaria Alpi e Miran Hrovatin

Dopo alcuni anni Giorgio morì. A battersi come una leonessa rimase Luciana. Dopo la morte del marito diventò compassata, riflessiva e flemmatica come lui. Forse per l’età, forse perché le sanguisughe di Stato ti prosciugano tutte le energie che ti restano e a un certo punto devi pure rallentare le parole per continuare ad andare avanti, ma Luciana è andata avanti in modo indomabile.

Fino allo scorso anno, quando, stremata, gettò la spugna: “Non ce la faccio più”. Ricevette il sostegno dell’Italia migliore, fra cui quello di Angela Manca, un’altra grande madre che ha subito lo stesso crudele destino. Con una differenza: per il figlio Attilio la “pallottola vagante” era costituita da due siringhe piene di eroina e due aghi infilati nel braccio sbagliato. Le bugie di Stato, invece, sono sempre state le stesse: spudorate.

“Luciana Alpi – scriveva la signora Manca – dice basta: rinuncia, getta la spugna, distrutta dal muro sollevato sull’omicidio di sua figlia Ilaria. Al dolore si è aggiunta l’umiliazione di formali ossequi da chi ha operato sistematicamente per occultare la verità ed i proventi di traffici illeciti”.

Angela Manca

Uno scritto accorato e commosso, scritto da una madre a un’altra madre, come se la sconfitta di Luciana, in quel momento, fosse anche quella di Angela: “Voglio rivolgere un appello accorato a Luciana. Ti prego, non arrenderti, continua a lottare; sto subendo quello che tu hai subito, con l’aggravante di veder distrutta la reputazione e l’onorabilità di mio figlio da parte di gente senza scrupoli, senza dignità. Luciana non smettere mai di lottare, arriverà il momento in cui in Italia ci saranno dei politici seri e responsabili; arriverà il momento in cui i nostri adorati figli potranno avere giustizia!”.

Oggi Luciana ha smesso di lottare, ma altri continueranno al suo posto. Questo è sicuro.

Luciano Mirone