Ci sono tre passaggi del discorso che il neo presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha tenuto ieri al Senato, che a nostro avviso meritano di essere commentati, anche alla luce della critica che ieri abbiamo fatto a questo esecutivo per i motivi che spieghiamo nelle righe successive.
Il primo. Il delitto di Sacko Soumayla, il giovane bracciante del Mali, immigrato da qualche anno in Calabria, abbattuto come un cane quattro giorni fa da un ignoto individuo nella piana fra San Ferdinando e Vibo Valentia mentre assieme a due connazionali raccoglieva dei pezzetti di lamiera per riparare il tetto malfermo della sua baracca.
Sacko non era solo l’extracomunitario venuto in Italia per migliorare le sue condizioni di vita. Era anche un sindacalista che si batteva per i diritti degli immigrati che lavorano in quel pezzo di Calabria con paghe da servitori della gleba. Per questo, nel nostro articolo di ieri, abbiamo tirato in ballo il governo, soprattutto i ministri dell’Interno e del Lavoro. Che a nostro avviso, per dare un segnale nuovo, avrebbero fatto bene a dire la loro su un gesto così efferato e crudele. Hanno ritenuto di non farlo e noi abbiamo ritenuto di rimarcarlo con il pezzo di ieri.
Così come adesso rimarchiamo positivamente la posizione – seppur tardiva – del neo presidente del Consiglio, che col suo discorso ha rimediato alle assenze dei suoi due vice presidenti. Poche parole, quelle del nuovo premier, su Sacko. Poche ma significative per stemperare un clima rovente come quello creatosi dopo l’omicidio del giovane sindacalista maliano.
“Non siamo affatto insensibili – ha detto Conte – . Una riflessione merita la tragica vicenda occorsa giorni orsono. Sacko Soumayla è stato ucciso con un colpo di fucile: era uno tra i mille braccianti, con regolare permesso di soggiorno, che tutti i giorni in questo Paese si recano al lavoro in condizioni che si collocano al di sotto della soglia della dignità. A lui e ai suoi familiari va il nostro commosso pensiero”.
Cinque righe che rassicurano e che bilanciano le esternazioni del ministro dell’Interno Matteo Salvini sugli extracomunitari. Ma a colpire non sono solamente le parole di Conte, quanto i trenta secondi di applausi dell’intera aula (Salvini compreso) seguiti a questo passaggio significativo. Un segnale che spazza via le polemiche e che lascia ben sperare per il futuro.
“La politica – ha proseguito il premier – deve farsi carico del dramma di queste persone e garantire percorsi di legalità, che costituiscono la stella polare di questo programma”. Chiaro.
Il secondo. “Metteremo fine al business dell’immigrazione che è cresciuta a dismisura sotto il mantello della finta solidarietà”.
Accogliamo con speranza la prima parte di questo annuncio, mentre aspettiamo di sapere – magari attraverso le indagini della magistratura – chi è “cresciuto a dismisura” mediante la “finta solidarietà”.
Il terzo. “Contrasteremo con ogni mezzo le mafie aggredendo le loro finanze, le loro economie”. E anche in questo caso è significativa la lunga standing ovation che ha accompagnato questo brano, con un coro che la dice lunga sulle reali intenzioni di molti senatori della maggioranza: “Via la mafia dallo Stato”. Che sarà pure uno slogan, ma intanto è una cosa che da tempo avrebbe dovuto dire il Pd e non l’ha fatto perdendo milioni di voti. E poi, a nostro avviso, sancisce un segnale di rottura fra Salvini e Berlusconi. Se si tratta di rottura definitiva è presto per dirlo, ma forse ieri a Palazzo Madama è stato segnato davvero l’inizio della Terza Repubblica. Forse…
Luciano Mirone
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