Dopo quattordici anni, quattro mesi e tre giorni i legali della famiglia Manca (gli avvocati Fabio Repici e Antonio Ingroia) hanno chiesto la riesumazione del cadavere per accertare se il giovane medico, nella notte fra l’11 e il 12 febbraio 2004 si è ucciso con una overdose di eroina al braccio sbagliato (quello sinistro, dato che era un mancino puro), oppure se è stato “suicidato” da qualche specialista in materia (alias i servizi segreti deviati, come asserisce il pentito Carmelo D’Amico), in quanto “testimone scomodo” della Trattativa Stato-mafia per quell’operazione di cancro alla prostata cui nell’autunno del 2003 fu sottoposto a Marsiglia il boss Bernardo Provenzano, e nella quale il medico siciliano potrebbe essersi trovato coinvolto.
Dopo quattordici anni, quattro mesi e tre giorni i legali della famiglia Manca hanno depositato una relazione tecnica stilata lo scorso anno dal tossicologo bolognese Salvatore Giancane (intervistati dalla trasmissione Mediaset, “Le Iene”), secondo cui il giovane medico è stato assassinato per una serie di ragioni da ricercare nelle clamorose contraddizioni contenute nel referto autoptico stilato dal Medico legale Dalila Ranalletta, che allora eseguì l’autopsia.
Apprendiamo inoltre che il Gip di Roma, Elvira Tamburelli si è riservata di decidere se respingere o accogliere la richiesta di archiviazione dell’indagine sulla morte dell’urologo presentata dalla Procura capitolina.
Accogliamo con cauta speranza l’ultima notizia, mentre sulle prime due ci asteniamo da qualsiasi commento, poiché il fatto si commenta da solo.
Luciano Mirone
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