Da Belpasso se ne andò a vent’anni. Voleva vivere il sogno fantastico e magico di sfondare nel mondo della musica. Ci riuscì dirigendo per tanti anni, con Pippo Baudo presentatore, l’orchestra della Rai ed entrando nella storia dei grandi direttori della televisione. Le trasmissioni più fortunate: da Domenica in a Fantastico, da Canzonissima Luna Park.

Il Maestro Pippo Caruso è stato uno dei figli più illustri di Belpasso, assieme a Nino Martoglio, ad Antonino Russo Giusti, a Giuseppe Sambataro, a Francesco Condorelli, uno straordinario genio musicale che nei confronti del suo paese provava l’amore infinito di chi recide il cordone ombelicale molto presto, e l’odio di chi, quando ci torna, prova quell’inconfondibile rigetto di trovarlo sempre uguale.

Lo conobbi negli anni Ottanta, mentre stavo scrivendo il primo libro della mia vita, “Un paese”, dedicato agli eventi e ai personaggi più importanti di Belpasso dell’ultimo dopoguerra. Per intervistarlo mi recai a Roma. Fu una discussione dolcissima e divertente, durante la pausa pranzo di una prova che stava conducendo per una trasmissione televisiva.

Pippo Caruso. Sopra: il Maestro assieme a Pippo Baudo

Mi parlò dei saloni da barba del suo paese dove, da bambino, restava incantato per delle ore davanti ai suonatori di mandolino  e di chitarra che avevano il compito di intrattenere i clienti. Mi parlò dei suoi amici, l’attore Pippo Spampinato in testa.

A vent’anni, dopo qualche tempo trascorso a Taormina, capì che doveva andarsene da Belpasso e andò a Viareggio. Era il 1956. Poi per un paio di anni suonò a Milano. Infine al “Club 84” di Roma, il ritrovo più esclusivo della capitale, che all’inizio degli anni Sessanta accoglieva il jet set internazionale.

Nel ’65 partì per la Svezia, successivamente suonò in Francia, in Germania, in Spagna, in Africa e negli Stati Uniti, dove ebbe la possibilità di affinare le sue qualità. Un corso di perfezionamento e di aggiornamento che durò cinque anni.

Tornato in Italia nel ‘70 incontrò un vecchio amico siciliano, Pippo Baudo, con il quale, da allora, avrebbe condiviso i trionfi di una carriera straordinaria vissuta in gran parte alla Rai. Nel corso della sua prestigiosa carriera ha composto le colonne sonore di sceneggiati televisivi, film e opere teatrali.

Nato a Belpasso da Nino Caruso e Lucia Motta ed appartenente a una famiglia di artigiani, riguardo alla sua data di nascita c’è qualche dubbio: all’anagrafe risulta nato il 22 dicembre 1935, ma il padre, allo scopo di ritardargli di un anno il servizio di leva, ne denunciò la nascita alcuni giorni dopo, il tempo sufficiente perché scattasse il nuovo anno.

Stabilitosi definitivamente in Continente, riuscì a conciliare le esibizioni in pubblico con le lezioni di musica del suo primo Maestro, Salvo D’Esposito, l’autore di “Anema e core”.

Nel corso di quella conversazione non era infrequente notare un arrossamento delle pupille quando parlava dei momenti più significativi vissuti nella sua Belpasso.

“Spesso per comporre la musica – disse – mi servo del ricordo, scavo dentro di me, rivedo le mie piccole cose dell’infanzia e dell’adolescenza. Rivedo ad esempio le lunghissime passeggiate fatte con mio nonno per le campagne belpassesi in groppa all’asinella. Era un uomo alto, mio nonno, che amava le piccole cose, un po’ come me: da lui credo di avere ereditato tanto. Durante le passeggiate mi raccontava delle storie che suo padre gli aveva a sua volta tramandato. Erano favole ambientate in quelle contrade, ed io le ascoltavo estasiato, mentre attorno a me si percepiva il lento scalpiccio dell’asinella”.

“Facevamo queste lunghe passeggiate in primavera, periodo bellissimo per la campagna belpassese, che ai primi tepori di marzo si rigenera dopo le piogge invernali. Giunti a destinazione, scendevamo dalla groppa dell’asina e mio nonno raccoglieva le prime violette e le prime fragole che crescevano spontanee fra l’erba, le portava a mia nonna e le diceva con tenerezza: ‘Queste fragole prendile tu, i tuoi figli avranno tanto tempo per mangiarle…’. Mio nonno era innamorato di mia nonna ed ogni gesto era velato da un romanticismo che, ai miei occhi, appariva straordinario per un uomo di quell’età”.

“Dopo qualche anno cominciai ad essere affascinato dal mondo dei suoni. Spesso dimenticavo di andare a scuola per sostare nei saloni da barba, dove mandolinisti e chitarristi si esibivano per alleggerire quelle ore di monotona attesa. Quando il salone era vuoto chiedevo timidamente ospitalità al proprietario per provare qualche accordo. Io la musica la conobbi così, i miei primi maestri furono i barbieri”.

“Stavo ore ed ore sul davanzale della mia casa, seduto sul gradino, a suonare, finché un giorno mio zio si spazientì, mi tolse la chitarra e la fracassò. Era la mia prima chitarra acquistata con i risparmi di un paio di anni”.

“Alla fine degli anni Quaranta mio padre , assieme a Franco Chisari, prese in gestione il Teatro comunale: io assistevo agli spettacoli di varietà. Avevo ancora i pantaloni corti. Una sera il batterista di un’orchestra si sentì male ed urgeva trovare un sostituto. La gente rumoreggiava. Quello che suonava la fisarmonica mi aveva sentito: ‘Il batterista lo farà lui”. Parlava di me. Fu la mia prima esibizione in pubblico e andò bene. Non avevo mai suonato una batteria ma fin da bambino ero predisposto a suonare qualsiasi strumento. Licenziarono il batterista ed ingaggiarono me”.

“Dopo quella performance cominciai a suonare nei paesi della riviera ionica , poco dopo mi stabilii alla Giara di Taormina dei fratelli Chico, Egisto e Amelia Scimone. Per raggiungere Taormina partivo all’imbrunire da Belpasso: avevo una lambretta acquistata con i soldi guadagnati suonando e durante il viaggio, per ripararmi dal freddo, ero costretto a sistemare sotto il pullover alcuni fogli di giornale”.

“Dopo la Giara feci il grande salto: fui segnalato a Dora Musumeci e fui ingaggiato per un’estate alla ’Bussola’. Poi andai a Milano, quindi al Club 84 di Roma, dove incontrai tutti i divi del momento, da Anna Magnani al principe di Torlonia, da Rudy Crespi a Vittorio Gassman. Guadagnavo diecimila lire al giorno e potevo permettermi la ‘Fiat 1500’ che costava un milione e mezzo”.

“Poco dopo formai una band e cominciai a girare l’Italia. Non immaginavo che l’incontro con un amico siciliano con pochi soldi in tasca, una Seicento scassata e molti sogni nel cassetto, avrebbe cambiato il mio futuro in maniera decisiva. Lui era Pippo Baudo, giovane di belle speranze trasferitosi a Roma in compagnia di Tony Cucchiara. L’amicizia con Baudo risaliva ai tempi del cinema Eden di Belpasso, quando lui veniva per presentare la festa della matricola”.

Luciano Mirone