Una storia attuale, quella raccontata da Carmen Toscano, che nel suo nuovo romanzo, La scelta di Juanita (Book Sprint Edizioni), ci offre uno spaccato della Cuba di Fidel, con le sue bellezze, le sue contraddizioni, i suoi miti che resistono al tempo e alla storia: a cominciare dall’eroe di tutti i cubani, Ernesto Che Guevara, simbolo di un’isola povera ma ricca di ideali che i genitori trasmettono ai figli. Fra questi c’è Juanita, una ragazza – come si legge nella sinossi del libro – cresciuta col mito del “Che”, di cui il padre “racconta continuamente le gesta e il coraggio”, trasmettendo contemporaneamente “la riverenza e il rispetto per l’amato presidente Fidel Castro”. Una storia che a un certo punto trova il suo filo di collegamento con l’Italia, con il “sogno” inseguito da tempo dalla protagonista del romanzo, che in fondo è la metafora di molte ragazze cubane che vivono la stessa condizione di Juanita. Ma il sogno alla fine si rivela diverso dalla realtà e pone la ragazza – mentre si trova all’aeroporto di Milano – a prendere una decisione drastica. Il libro verrà presentato giovedì 10 Maggio alle 17,30 ad Adrano (Catania) presso la sala “Lucio Battisti” di Palazzo Bianchi. Relatori: Chiara Longo e Alessandro Russo. Intrattenimento musicale del Maestro Angelo Scuderi. Quello che segue è un capitolo del romanzo (l.m.).

L’Inverno era alle porte col freddo intenso e le frequenti abbondanti nevicate. Era il mese di Dicembre, faceva tanto freddo, quel freddo pungente che paralizza anche il cervello e che non fa pensare ad altro che a niente! Fuori pioveva intensamente, fitto, una spessa coltre di nebbia aveva ricoperto ogni cosa, case, montagne e strade rubando anche la fantasmagorica gamma di colori con cui la natura sa confortare, a volte, l’anima più disperata, il cielo color del piombo sembrava che si congiungesse con la terra quasi in un tutt’uno e la nebbia si posava leggera come una piuma sullo strato precedente, senza fare alcun rumore. Un silenzio assordante, pesante, greve! Tuoni minacciosi echeggiavano nell’aria, pioveva già da un bel po’ e non sembrava volesse smettere, anzi aumentava in intensità, pioveva forte e un vento quasi da uragano si andava scatenando via via che rivivevo come in un film, scena per scena la storia della mia vita da cui usciva un bilancio fallimentare, facendo crescere in me una tempesta di rabbia. Sì, tanta rabbia, tristezza, quella che da noi si chiama, “saudade”! Lacrime silenziose solcavano le mie guance prive di trucco e di belletto! Sembrava che persino Dio, facendo scrosciare così dal cielo un torrente di lacrime, si volesse vendicare per i torti da me subiti e forse pure per ripulire la terra dal lerciume e dal fango che gli uomini vi riversano. Fra un tuono e l’altro sentivo i rintocchi delle campane del campanile di una chiesa nelle vicinanze che suonava a morto e il cuore mi si strinse di più e senza motivo ripensai alle parole di Ernst Hemingway nel romanzo “ Per chi suona la campana, ( For whom the bell tolls) “ E dunque non chiedere mai per chi suona la campana: essa suona anche per te! In quel momento capii quanto fosse vero. Rimanevo seduta e immobile sulla panchina della sala d’attesa dell’aeroporto internazionale di Malpensa, pronta ad imbarcarmi sull’aereo per Cuba, sarei ritornata a casa mia, col mio povero bagaglio fatto di poche cose, qualche capo di vestiario griffato, regalatomi dalla signora di turno, presso cui andavo a servizio per guadagnare i soldi del viaggio per me e per il mio prezioso e adorabile bambino, Santiago, che io spesso abbreviavo in Santo, il figlio avuto dal mio primo matrimonio, che seduto accanto a me e con la testolina appoggiata sulla mia spalla dormiva saporitamente, né, tantomeno, lo volevo svegliare fino alla chiamata del mio aereo. Mi rimbombavano ancora nella mente facendomi impazzire, gli insulti brutali di Nicola, l’uomo italiano che avevo sposato, dopo essere rimasta vedova: “ Puttana! Non sei altro che una lurida puttana! Ma cosa credi? Credi che ti abbia sposata per amore ? Amore! Amore di che ! Ma ti sei guardata?Mi sembri un barile! Sì, un barile di Rhum cubano putrefatto! Ma Va! Se non fai ciò che ti dico, ti ammazzo e ammazzo quel piccolo bastardo che ti sei portata dietro! Cosa credevi che io facessi da padre a quel lurido mezzosangue! “Sparisci brutto pidocchio o ti ammazzo a calci! – Povero piccolo dopo queste scene lo trovavo puntualmente rintanato sotto il letto e da lì non voleva uscire per la paura di essere bastonato! E risentivo ancora: “ Il viaggio a Cuba era solo un pretesto per venire a cercare una badante che potesse pensare a me senza doverle pagare lo stipendio e i contributi! Quindi la cosa più semplice e geniale era quella di sposarmene una! Sì, una qualunque! Cosa poteva interessare a me? Un uomo malato di talassemia in forma grave con gli anni contati! Ma tu non lo sapevi, pensavi di aver trovato l’amore! Povera illusa! Ma perché io avrei dovuto sposare una come te?Eh, dimmelo! Non sei bella, non sei istruita, non sei intelligente! Sei una povera contadina cubana, vedova e con un bastardo al seguito! Perfetta invece per fare la badante! Ci si può abituare a tutto nella vita: ci si abitua alla morte di un amico! Ci si abitua alla morte del fratello! Ci si abitua alla morte della madre e sopportare che lei dica al momento estremo -”Lasciala entrare è tempo che io vada”! Ci si può abituare ad essere chiamata continuamente puttana, dal proprio marito e sperare poi che pentito ti chieda scusa, magari convincendoti che quell’insulto te lo meritavi e che forse con maggiore cautela e attenzione in futuro avresti cercato di non incorrere più in certi errori che avevano provocato la sua reazione. Non ci si può abituare però, alla morte di un figlio, né abituare che qualcuno te lo possa malmenare, umiliare, bastonare e infine chiamarlo bastardo e lasciarlo ricoprire di insulti! Era già successo così tante volte! No! Era troppo, questo no! Non glielo avrei permesso più! A qualunque costo, mai più, così organizzai la fuga, in gran segreto contattai un avvocato, gli firmai i documenti per la richiesta di separazione legale e il successivo divorzio, di questo informai soltanto la mia amica più cara che avessi qui in Italia e che ci accompagnò quel giorno all’aeroporto di Fontanarossa a Catania. Seppi successivamente che quella sera che io non rientrai a casa dopo il lavoro, lui mi cercò presso tutte le mie conoscenti e signore presso cui io lavoravo come domestica ad ore. Dopo la morte di Ramon avvenuta in circostanze tragiche, dopo appena sette mesi dal mio matrimonio, aspettai soltanto che nascesse mio figlio, prima che mi dessi da fare per trovarmi un lavoro, che mi permettesse di allevarlo senza dover continuamente attingere all’aiuto dei miei genitori o alla falsa generosità dei miei suoceri che attribuivano a me la morte del loro unico figlio e che comunque successivamente alla mia offerta disinteressata di portargli periodicamente il nipote Santiago a fargli visita, rifiutarono dicendo pure che non avrebbero sborsato un solo pesos per il mantenimento. Chissà perché, poi! Comunque ormai avevo deciso! Non sarei tornata indietro. Avevo fatto la mia scelta. Avevamo sofferto abbastanza per avere inseguito il sogno italiano di cui non sapevo niente ma avevo capito la lezione e capito a spese mie. E poi una scelta la dovevo fare, ho sempre ricordato e apprezzato un aforisma dello scrittore Ernst Hemingway: ”Dobbiamo abituarci all’idea che ai più importanti bivi della vita non c’è segnaletica”.

Carmen Toscano