Quella mattina Pippo e Nino si erano svegliati all’alba perché il Giro d’Italia sarebbe passato dall’Acquarossa che dista da Belpasso un paio di chilometri. E loro dovevano andare a ogni costo a vederlo passare. Fino a quel momento, il Giro, lo avevano sentito solo alla radio. Pippo tifava per Bartali, Nino per Coppi. Quella mattina si erano recati nella bottega di don Natale l’Orvu per affittare la bicicletta con la quale sarebbero andati in questa località di cui parla Martoglio nell’Aria del Continente a proposito dell’avvenente Milla Milord che vuole assistere alla “levata dei capitoni” assieme a quei bacchettoni che le fanno il filo. Don Natale l’Orvu era un’autorità in paese. Era colui che affittava le biciclette: mezz’ora cinque lire, un’ora otto. Pippo e Nino le avevano noleggiate per tutta la giornata ad un prezzo speciale.
Il momento era solenne. Il Giro d’Italia – specie a quei tempi, parliamo del periodo a cavallo fra gli anni Quaranta e Cinquanta – era l’avvenimento sportivo più amato dagli italiani, paragonabile solo ai mondiali di calcio. La rivalità fra Fausto Coppi e Gino Bartali aveva caricato di emotività la corsa. Nel salone da barba di don Angelo Lipera, fra una sviolinata e una mandolinata, non si parlava d’altro. Coppi era giovane e ingenuo. Bartali un toscanaccio tutto cuore e fatica.
I corridori, quel giorno, giunti all’Acquarossa dovevano inerpicarsi verso l’Etna dove era stato fissato il traguardo finale. Pippo e Nino partirono con il cuore in tumulto. Man mano che scendevano “a grandissima velocità” (allora nelle strade c’erano poche macchine) costeggiavano la campagna piena di fichidindia, di ulivi e di mandorli e si esaltavano nel leggere sui muri a secco quelle frasi – Forza Gino, Alé Fausto – che qualcuno aveva impresso la sera prima con la vernice bianca.
Improvvisamente un curvone. Nino (che era avanti) perse il controllo e andò a sbattere contro il muro: quell’Alé Fausto che lo aveva distratto, si rivelò infausto. Qualche costola ammaccata e la bicicletta ridotta “ad un punto interrogativo”. Nel frattempo sopraggiunse Pippo che gli si catapultò addosso riportando qualche contusione ed escoriazione più lieve.
Poco dopo passò Cosentino con la macchina, si fermò e pronunciò la fatidica frase: “Sono cose passive”, volendo intendere passeggere. L’emozione anche per lui. Il signore avvertì il servizio sanitario del Giro d’Italia che in pochi minuti caricò sull’ambulanza i ragazzi e li lasciò all’ospedale di Paternò.
Pippo se la cavò con niente. Nino fu sottoposto a cure più forti. Il momento più drammatico fu quello della puntura. A sottoporsi ad iniezione fu Nuni, ma a dire “ahi” fu Pippo.
Un pomeriggio indimenticabile. Il giorno dopo il Corriere di Catania ci scrisse pure un articolo: “Due ciclisti sfortunati”.
Luciano Mirone
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