Fanno impressione i tempi e i nomi. 16 Ottobre 2017: la giornalista maltese Dafne Caruana Galizia sale sulla sua macchina posteggiata in una stradina dell’isola, a pochi passi da casa, mette in moto e viene dilaniata dall’esplosivo Semtex (lo stesso usato da Cosa nostra per le stragi) con il quale qualcuno ha imbottito l’auto collegandolo con i fili dell’accensione. Un anno prima la stessa sorte era toccata ad un affiliato della mafia maltese. Nei mesi precedenti ad altri quattro. La cronista aveva appuntato sul suo blog: “Questa mattina quando mi sono svegliata con la notizia di un altro uomo fatto saltare in aria con un’autobomba, ho scritto di una pista che sta emergendo: i trafficanti di diesel vengono fatti esplodere con le loro auto, a differenza dei trafficanti di droga a cui sparano”.
Parole lucide che delineano scenari su cui Daphne mostra di avere idee chiarissime: nell’isola c’è una violenta guerra per il controllo del petrolio e della droga che si combatte con le bombe e con il piombo. Con il delitto di Daphne Caruana Galizia, la criminalità organizzata (solo maltese?) ha alzato il tiro su una giornalista scomoda, riservandole lo stesso trattamento dei trafficanti di ”oro nero”.
Negli articoli della giornalista si colgono alcuni nomi che stanno emergendo dall’inchiesta che la Procura di Catania coordinata dal procuratore Carmelo Zuccaro – assieme al Gico della Guardia di finanza – porta avanti da quattro anni sul traffico clandestino di petrolio rubato in Libia, con sponda Malta ed arrivo a Catania e in alcuni porti siciliani attraverso la Famiglia mafiosa Santapaola-Ercolano. Un caso che la maxi operazione condotta all’ombra dell’Etna (sei persone in carcere) sia scattata il giorno dopo l’assassinio di Daphne?
L’inchiesta portata avanti dal procuratore Zuccaro delinea una mappa del crimine internazionale che vede il triangolo Tripoli-Malta-Catania (con diramazioni nel commercio del petrolio illegale in tutta Italia e in alcuni Stati esteri, specialmente Francia e Spagna) come teatro di un colossale traffico di greggio che, secondo la magistratura etnea, ha mosso un volume d’affari di circa 30 milioni di Euro.
I nomi che spiccano dall’inchiesta catanese sono particolarmente quattro: quello dell’esponente di punta del clan Santapaola-Ercolano (sempre loro!, anche se i capi si trovano in carcere da decenni), Nicola Orazio Romeo, ottime entrature a Malta e in Libia, e, a parere dei magistrati etnei, disinvolto trait d’union fra le varie entità del crinine; quello di Marco Porta, amministratore delegato della MaxCom, società che, secondo Corriere,it, distribuiva il petrolio illegale in Sicilia e Campania grazie a una rete di vendita composta da “società cartiere” che avevano sede a Catania e nel Siracusano e depositi in diverse zone dell’isola; quello di Fahmi Mousa Saleem Ben Khalifa, uno dei più potenti capi delle milizie libiche legate all’Isis, 15 anni di carcere per traffico di droga, un collegamento solido con la MaxCom che utilizzava i pescherecci maltesi.
Ma il nome di cui in questi giorni la stampa maltese – specialmente il quotidiano online Malta today – si sta occupando è quello di cui Daphne Caruana Galizia parlava spesso: Darren Debono, ex calciatore della Nazionale maltese, detenuto da circa cinque mesi nel capoluogo etneo. Domani sapremo se Debono non c’entra nulla con questi traffici oppure se nei suoi confronti sarà celebrato un processo con un’accusa precisa: avere utilizzato la sua flotta di pescherecci – modificati per l’occasione in vere e proprie navi cisterna – per trasportare il petrolio trafugato in Libia, “ripulirlo” a Malta attraverso una serie di complesse operazioni apparentemente legali, ed immetterlo nei mercati italiani dopo essere stato perfettamente “raffinato”.
Il 14 febbraio 2016 la giornalista maltese sottolineava un particolare inquietante: “Due pescatori con connessioni in Libia sono saltati in aria. Darren Debono no”. Che vuol dire? Per caso che l’ex calciatore potrebbe essere uno degli anelli più forti della catena? Forti fino a che punto? Secondo la cronista, fino al punto da avere stretto amicizia con il premier maltese Joseph Muscat e di avergli fatto la campagna elettorale nelle elezioni svoltesi nel 2016 dopo il terremoto politico causato dalle inchieste della stessa Caruana Galizia sulla corruzione che coinvolge il sistema di potere maltese: “Il partito laburista (di cui Muscat è il leader, ndr.) – scrive Caruana Galizia – ha dimostrato pochi scrupoli nello stare vicino a queste persone”. Più chiaro di così.
Luciano Mirone
Lascia un commento...