Lo scorso 21 febbraio il gruppo parlamentare del Movimento 5 Stelle della Commissione antimafia (gli on. Giulia Sarti, Francesco D’Uva, Fabiana Dadone, e i senatori Luigi Gaetti e Mario Michele Giarrusso), ha presentato una relazione di “minoranza” sulla morte dell’urologo 34enne di Barcellona Pozzo di Gotto, Attilio Manca, trovato senza vita la mattina del 12 febbraio 2004 nel suo appartamento di Viterbo. Tale relazione propone una ricostruzione alternativa rispetto a quella formulata dalla “maggioranza”, di cui avremo pure modo di parlare. Questo il testo articolato in tre puntate. 

La morte di Attilio Manca, giovane urologo di Barcellona Pozzo di Gotto, è l’ennesimo episodio nel quale l’onere di ricercare verità e giustizia è rimasto, in primis, sulle fragili spalle dei suoi familiari. L’accorato appello della madre di Attilio Manca, Angela Gentile, audita da questa Commissione nella missione a Messina del 27 e 28 ottobre 2014 (insieme al padre e al fratello di Attilio Manca, nonché al legale Fabio Repici), non può essere pertanto capziosamente mistificato e ritorto in «campagna mediatica».
Sin dal ritrovamento del cadavere di Attilio Manca, avvenuto la mattina del 12 febbraio 2004, nella sua abitazione di Viterbo, vi sono stati episodi tali da sollevare ragionevoli dubbi circa la causa accidentale della sua morte e delle lacune investigative di cui si darà conto nel seguito della relazione.
Particolare rilievo meritano le circostanze attraverso le quali i genitori e il fratello di Attilio vennero a sapere della sua improvvisa morte e riuscirono ad arrivare a Viterbo per vedere la salma.
La morte del medico venne comunicata dallo zio, Gaetano Manca, padre di Ugo Manca, al fratello di Attilio, Gianluca Manca intorno all’ora di pranzo del 12 febbraio 2004. Comunicò subito che, all’interno dell’appartamento di Attilio erano state trovate due siringhe, una in bagno e l’altra nella pattumiera della cucina. Stando alle sue parole, la comunicazione gli pervenne da una collega di Attilio, l’anestesista Giuseppina Genovese. Ugo Manca, il cugino della vittima, darà invece un’altra versione: a informarli sarebbe stato il primario dell’ospedale Belcolle di Viterbo, Antonio Rizzotto.
Venne comunicato alla famiglia di Attilio da Gaetano Manca che erano stati già fatti dei biglietti aerei con i nominativi di Gino Manca, Gianluca Manca e, inaspettatamente, Ugo Manca, senza la mamma di Attilio, Angela Gentile. La famiglia si oppose e alla fine partirono in aereo solo i genitori e il fratello di Attilio, accompagnati dal fratello della signora Gentile. Ugo Manca, diversamente da quanto da lui programmato, dovette recarsi a Viterbo separatamente in treno.
Da rilevare il comportamento assunto da Ugo Manca per tutta la giornata del 13 febbraio, durante la quale cercò spasmodicamente di entrare nell’abitazione del cugino Attilio posta sotto sequestro, asseritamente per recuperare dei vestiti da utilizzare per vestire la salma, nonostante gli zii gli avessero già segnalato la volontà di comprare abiti nuovi per quella triste occasione. Vistasi negata l’autorizzazione dalla famiglia del medico, Ugo Manca si recò personalmente alla procura di Viterbo cercando di farsi, inutilmente, rilasciare il permesso per entrare in casa nonostante i sigilli.

Il cadavere di Attilio Manca fotografato dalla Polizia dopo il ritrovamento. Sopra: Attilio Manca mentre espleta la sua professione di medico

  1. L’inizio delle indagini e l’iter del procedimento

Il cadavere di Attilio Manca venne ritrovato nel proprio appartamento di Viterbo (il giovane professionista da circa un anno operava presso il reparto di urologia dell’ospedale Belcolle di Viterbo) nella mattina del 12 febbraio 2004, poco prima delle ore 11. Intervenuti il medico del 118 e agenti della Polizia di Stato, immediatamente ne nacquero le indagini, che vennero affidate al dottor Renzo Petroselli (anch’egli audito da questa Commissione, insieme all’allora procuratore capo di Viterbo Alberto Pazienti, il 13 gennaio 2015 e il 9 aprile 2015). Essendo evidente che la plausibile causa di morte del giovane medico fosse l’assunzione di droga, in ragione del rinvenimento di due siringhe usate, le indagini della procura di Viterbo e della locale squadra mobile (al tempo guidata dal dottor Salvatore Gava, già indagato – e poi condannato definitivamente – per falso ideologico con abuso delle funzioni in relazione ai fatti del G8 di Genova) furono mirate a documentare i rapporti tra Attilio Manca e una donna romana con precedenti per droga, tale Monica Mileti che, nel pomeriggio del 10 febbraio 2004, aveva effettivamente incontrato Manca a Roma. Tuttavia la Mileti non venne nemmeno iscritta sul registro degli indagati. Seguirono ripetute richieste di archiviazione formulate dal pubblico ministero Petroselli, rigettate per due volte dall’allora giudice per le indagini preliminari di Viterbo Gaetano Mautone (il 13 maggio 2005 e il 18 febbraio 2006), il quale, accogliendo le richieste di opposizione del legale della famiglia Manca, dispose lo svolgimento di ulteriori indagini. Una terza richiesta di archiviazione venne avanzata dalla procura il 20 novembre 2009 e, a seguito di un’ulteriore opposizione dell’avvocato della famiglia Manca, il GIP, Salvatore Fanti, disponeva di procedere ad altri accertamenti. Il pubblico ministero formulò una quarta richiesta di archiviazione accolta dal GIP il 26 luglio 2013, a quasi dieci anni dalla morte di Attilio Manca.
Da evidenziare, purtroppo, il fatto che la procura di Viterbo in tutto questo lasso di tempo, anche a seguito di ufficiali sollecitazioni, si rifiutò di sentire i genitori di Attilio Manca e di verbalizzarne le dichiarazioni. Per questo, essi hanno dovuto sobbarcarsi l’onere di cercare verità e giustizia in tutte le sedi possibili, chiedendo semplicemente che venissero compiute indagini maggiormente approfondite sulla morte dell’urologo barcellonese, cominciando una via crucis che purtroppo nella storia italiana troppo spesso i familiari delle vittime si sono trovati a percorrere a causa delle inadempienze dello Stato. Così, i genitori di Attilio Manca si rivolsero alla procura distrettuale antimafia di Messina, al commissariato di pubblica sicurezza di Barcellona Pozzo di Gotto, alla compagnia dei Carabinieri di Pozzo di Gotto.

  1. Le lacune investigative

A causa dei mancati accertamenti e di determinate lacune investigative di seguito evidenziate, si sono creati dei veri e propri buchi neri nella ricostruzione dei fatti che hanno prodotto probabilmente irreparabili danni alla doverosa ricerca di verità.
Vi sono, tuttavia, alcuni dati certi, occultati da vere e proprie campagne negazioniste, delle quali non si comprende la genesi.

L’ex procuratore di Viterbo Alberto Pazienti e l’ex pm Renzo Petroselli, titolari delle indagini sulla morte di Attilio Manca

 

3.1. L’orario della morte

Il primo dato riguarda l’orario approssimativo della morte di Attilio Manca. Quando, alle 11.45 del 12 febbraio 2004 il medico del 118, dottor Gliozzi, intervenne presso l’abitazione del medico per attestarne il decesso, rilevò che Attilio Manca era morto circa «dodici ore prima», come si legge inequivocabilmente nell’annotazione dell’ufficio prevenzione generale – squadra volante della questura di Viterbo del 12 febbraio 2004 alle ore 14 (cfr. annotazione di servizio dell’ufficio prevenzione generale – squadra volante – della questura di Viterbo). Quindi, fin da subito, si apprese che Attilio Manca era morto nella notte fra l’11 e il 12 febbraio 2004. Del resto, perfino la lacunosissima autopsia redatta dalla dottoressa Dalila Ranaletta, incaricata dal PM Petroselli, attestò inizialmente allo stesso 12 febbraio 2004 la data della morte del giovane medico.
Rispetto a questo dato, c’è un ulteriore elemento di riscontro, fornito dalle dichiarazioni rese alla Polizia di Stato nell’immediatezza dalla vicina di casa di Attilio Manca, Angela Riondino, la quale, sentita lo stesso 12 febbraio 2004, riferì che «ieri sera verso le ore 22 – 22.15 ho udito chiudere la porta dell’appartamento del dottor Manca, preciso che io mi trovavo dentro il mio appartamento e non ho veduto se fosse rientrato lui o altri, o comunque lo stesso con altre persone» (cfr. verbale dichiarazioni rese da Angela Riondino). Ne deriva che gli inquirenti appresero che in orario concomitante con la morte di Attilio Manca, qualcuno aveva chiuso la porta della sua abitazione.
Questi dati, importantissimi perché convergenti tra loro, sono stati sostanzialmente minimizzati perché la prima relazione della dottoressa Ranalletta, il successivo esame autoptico, insieme all’integrazione richiesta poi dal GIP, presentano lacunosità tali da aver lasciato aperto il campo delle interpretazioni da parte della procura sull’effettivo e preciso orario della morte, quando sarebbe bastato effettuare correttamente l’autopsia del 13 febbraio 2004, il giorno dopo il ritrovamento del cadavere del medico barcellonese.

Il Medico legale Dalila Ranalletta

3.2. La ricostruzione delle giornate del 10 e 11 febbraio

Va subito segnalato che il principale vuoto delle indagini riguarda le ultime 24 ore di vita di Attilio Manca. Le ultime sue tracce risalgono alla tarda sera del 10 febbraio 2004. Fino a oggi gli inquirenti non hanno mai saputo dire cosa abbia fatto e dove sia stato Attilio Manca nell’intera giornata dell’11 febbraio 2004, poiché la tesi della procura muoveva dal presupposto immotivato (visti gli elementi di cui sopra, in mano agli inquirenti fin da subito) che il medico fosse morto già dalla sera/notte del 10 febbraio.
Il 10 febbraio 2004 Attilio Manca era stato serenamente a pranzo dall’amica Loredana Mandoloni. Aveva sentito al telefono i propri genitori e aveva avuto con loro una conversazione affettuosa. Subito dopo pranzo aveva sentito al telefono il barcellonese Salvatore Fugazzotto, suo vecchio amico ma negli ultimi tempi soprattutto amico di Ugo Manca e – come raccontato da Loredana Mandoloni al fratello di Attilio, Gianluca Manca, che lo riferì agli inquirenti – a quel punto mostrò preoccupazione e fastidio, cambiando umore e sostenendo di dover incontrare a Roma persone che non aveva piacere di vedere. A quel punto si diresse a Roma da solo alla guida della propria auto. Fino a quel momento non aveva ancora avuto alcun contatto telefonico con Monica Mileti. Le telefonò, invece, quando si trovava già a Ronciglione, avendo già quindi percorso un rilevante tratto di strada sulla Roma-Viterbo. Conseguentemente, la sua decisione di andare a Roma prescindeva dall’incontro con la Mileti. Peraltro, non si può trascurare che il rapporto di Manca con la Mileti ha origine nell’ambiente barcellonese (di cui si dirà dopo), visto che a presentare la Mileti all’urologo fu Guido Ginebri, altro soggetto barcellonese vicino a Ugo Manca. Sennonché, Attilio Manca, che aveva vissuto a Roma per oltre dieci anni e che considerava la capitale come la propria città d’adozione, mentre si dirigeva a Roma ritenne di telefonare per due volte all’ospedale di Viterbo per chiedere a una infermiera e a un collega medico, entrambi per nulla pratici della città capitolina, indicazioni su due luoghi a lui per forza noti (in un caso addirittura piazza del Popolo), come a voler lasciare tracce dei suoi spostamenti. D’altra parte, avesse davvero avuto bisogno di informazioni stradali su Roma, le avrebbe potute chiedere per strada.
In riferimento al ritrovamento del cadavere, un dato certo è che Attilio Manca aveva ingerito del cibo poche ore prima di morire. Dove, visto che in casa non furono trovate tracce di pasti ? Forse quell’11 febbraio Attilio Manca era stato fuori di casa ? Dove ? E con chi ? Gli inquirenti non sono stati in grado di fornire risposte.
Ciò che successe ad Attilio Manca nella giornata dell’11 febbraio rimane, dunque, avvolto nel mistero.

Attilio Manca

3.3. L’ultima telefonata

Questo vuoto temporale è di indubbio rilievo perché richiama le dichiarazioni dei genitori di Attilio Manca circa l’ultima telefonata che essi ricevettero dal loro figlio, il quale li chiamava immancabilmente ogni giorno, anche più volte nello stesso giorno, nella mattina dell’11 febbraio 2004.
La conversazione fra il medico e la madre durò pochissimo e vi fu la richiesta da parte di Attilio, davvero insolita e stravagante per la stagione, di far mettere a punto e di controllare la motocicletta, che si trovava nella casa di villeggiatura, affinché fosse pronta per agosto.
Questa telefonata non compare nei tabulati telefonici forniti dalle compagnie riferiti al medico e ai genitori, né nella lista delle telefonate del cellulare del Manca ritrovato nel suo appartamento.
Tuttavia, non può essere trascurato che sia Loredana Mandoloni (infermiera del reparto di urologia dell’ospedale Belcolle particolarmente legata a Manca) sia Maurizio Candidi (collega di reparto e amico di Attilio Manca) riferirono il 13 e il 14 febbraio 2004 alla Polizia di Stato di aver appreso dalla madre di Attilio Manca nella mattina del 13 febbraio che ella aveva sentito al telefono il proprio figlio giusto nella mattina dell’11 febbraio.
Come si può ragionevolmente credere che, il giorno dopo aver appreso del decesso del proprio amato figlio, una madre non ricordasse nitidamente il momento in cui lo aveva sentito per l’ultima volta, soprattutto in ragione di quella stravagante richiesta che le aveva destato un netto stupore ? Senza trascurare che l’assenza di contatti telefonici fra il 10 febbraio e l’ora di pranzo del 12 febbraio avrebbe sicuramente destato preoccupazioni nei genitori del medico, abituati a sentirlo più volte al giorno, come si è specificato, e immancabilmente tutti i giorni.
Nelle settimane seguenti l’uccisione del figlio, i genitori di Attilio Manca scoprirono che la moto in questione, situata nella loro residenza estiva a Tonnarella, era perfettamente funzionante. Quella telefonata, apparentemente senza senso, quindi, poteva essere il disperato tentativo di lanciare un segnale ?
Tonnarella è una contrada messinese a metà fra i comuni di Terme Vigliatore e di Furnari, in provincia di Messina.
A fare riferimento a quel territorio furono le parole registrate da un’intercettazione ambientale del 13 gennaio 2007 (confluita nell’operazione antimafia di Messina denominata «Vivaio»), di Vincenza Bisognano, sorella del boss barcellonese Carmelo Bisognano (oggi collaboratore di giustizia), mentre si trova in auto assieme al suo convivente Sebastiano Genovese e a una coppia di amici (cfr. intercettazione ambientale del 13 gennaio 2007).
I quattro iniziarono a parlare della vicenda di Attilio Manca, collegandola alla presenza di Provenzano a Barcellona Pozzo di Gotto. Uno degli uomini in macchina, Massimo Biondo, affermò con estrema certezza che il capo di cosa nostra si nascose per un periodo proprio nella cittadina messinese e, riferendosi ad Attilio Manca, aggiunse: «Però sinceramente, stu figghiolu era a Roma a cu ci avia a dari fastidio ? (questo ragazzo era a Roma, a chi doveva dare fastidio ?)». A quel punto, Vincenza Bisognano rispose: «Perché l’aveva riconosciuto». Il soggetto a cui si sta facendo riferimento era evidentemente il boss Bernardo Provenzano, tanto che Biondo subito dopo incalzò: «Lo sanno pure le panchine del parco che Provenzano era latitante a Portorosa… cioè lo sanno tutti».
Portorosa ricade nel territorio di Furnari, tra il golfo di Milazzo e Tindari, a pochissimi chilometri da Barcellona Pozzo di Gotto ma, soprattutto, a un passo da Tonnarella. La stessa contrada dove i Manca avevano la loro residenza estiva e a cui fece riferimento Attilio nell’ultima telefonata alla madre.
Questa intercettazione ambientale ha fatto parte di una delle opposizioni alle richieste di archiviazione della procura di Viterbo ma la stessa procura ha omesso di trasmettere gli atti alla direzione distrettuale antimafia di Roma.

3.4. Le anomalie degli accertamenti medico-legali

Quanto all’autopsia, è bene rilevare come la scelta da parte della procura quale proprio consulente della dottoressa Ranalletta si presentò fin da subito come massimamente inopportuna. Ella, infatti, conosceva personalmente il medico defunto, in quanto moglie del primario del reparto di urologia dell’ospedale viterbese, professor Antonio Rizzotto, il quale, al momento del conferimento dell’incarico alla moglie, era già stato sentito come testimone dagli inquirenti.
Inoltre è stato accertato che proprio a causa dell’operato negligente del suddetto medico legale non è stato possibile stabilire con certezza l’orario della morte del Manca.
Il chimico-tossicologo, dottor Fabio Centini, incaricato dalla procura in ausilio alla dottoressa Ranalletta, è stato, poi, capace di dichiarare di aver effettuato un test tricologico su un reperto pilifero di Attilio Manca, senza averne mai avuto incarico, senza saper indicare le modalità di espletamento e senza poter esplicitare nemmeno la data nella quale il presunto test sarebbe stato realizzato. Tutto ciò in assenza di comunicazioni al legale della famiglia, che avrebbe potuto altrimenti nominare un secondo consulente all’atto del test. Ciò rileva poiché il test tricologico è un esame irripetibile, ovvero implica la distruzione del reperto analizzato.
Nulla di questo, però la certezza, da parte del consulente, che all’esito del test da lui autoassegnatosi, era risultato un pregresso uso di eroina da parte di Attilio Manca. Eppure, è noto a tutti che l’esame tricologico, quando realmente effettuato e quando praticato con modalità ortodosse, consente perfino la datazione della pregressa assunzione di sostanza stupefacente.
Invece, nel caso di Attilio Manca, connotato da tutte le anomalie sopra descritte, pure il presunto test tricologico deve essere incasellato nella forzosa costruzione virtuale di chi ha deciso che la morte dell’urologo barcellonese andasse liquidata come il banale decesso di un imprudente eroinomane. Sì, imprudente, e pure consapevolmente, se si considera che il medico, in concomitanza con la doppia iniezione di eroina, avrebbe assunto anche un flacone e mezzo di sedativo Tranquirit, contenente abbondantissima dose di benzodiazepina, sostanza che ha concorso a provocarne la morte. Con la conseguenza che, se si volesse essere fedeli al principio di realtà, nell’ipotizzare l’assunzione volontaria di eroina da parte di Attilio Manca, si dovrebbe concludere per una volontaria scelta di morte: un suicidio, evenienza che, però, dagli inquirenti viterbesi è stata decisamente destituita di fondamento.
Già sulla scorta di questi dati certi e inconfutabili non può essere in alcun modo convalidata l’ipotesi prospettata dalla procura di Viterbo.

4. Il mancinismo e l’inesistente rapporto con l’eroina di Attilio Manca

Altro dato certo è che Attilio Manca è morto per effetto di due iniezioni di eroina praticate al polso sinistro e nell’incavo del gomito sinistro. Nonostante una incresciosa «campagna» per cercare di occultare la verità, Attilio Manca era un mancino puro e, come riferito all’unanimità da tutti i suoi colleghi, del tutto inabile a compiere con la mano destra anche i gesti più banali. I suoi colleghi hanno riferito agli inquirenti di ritenere del tutto impossibile che Attilio Manca potesse essersi iniettato la droga nel braccio sinistro con la mano destra.
1^ puntata. Continua