I poteri speciali sull’emergenza rifiuti in Sicilia e sull’emergenza idrica a Palermo conferiti dal governo nazionale al governatore dell’Isola, Nello Musumeci, se da un lato sono finalizzati a risolvere (o quantomeno ad arginare) due problemi che si trascinano da decenni, dall’altro rischiano di acuirli se verranno gestiti senza la necessaria saggezza. Anche se attorniato da un contesto che non appare particolarmente sensibile a queste tematiche, il presidente Musumeci avrà l’occasione di dimostrare la sua serietà se riuscirà a prendere le distanze da chi, per tanto tempo, sul ciclo dei rifiuti e dell’acqua ci ha mangiato alla grande (mafie comprese).

Il governatore della Sicilia, Nello Musumeci, e il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, nel moneto in cui il governo nazionale conferisce poteri speciali su rifiuti e acqua al presidente dell’Isola. Sopra: una discarica siciliana

I poteri straordinari vengono conferiti quando c’è un’emergenza. In Sicilia queste emergenze durano da troppo tempo, e malgrado i poteri speciali, non si è risolto nulla: gli interessi sono tali e tanti – per giunta nelle mani di poche persone – che la politica non solo non riesce ad affrancarsene, ma moltiplica i disastri, al punto che ancora oggi si pagano (e pure profumatamente) le conseguenze.

La storia che vi raccontiamo forse lo dimostra pianamente.

La linea di demarcazione fra l’emergenza e il disastro viene superata con l’ex presidente della Sicilia, Salvatore Cuffaro (2001-2008): allora il governo nazionale – per dare la possibilità alla Sicilia di uscire dall’emergenza – dà i poteri speciali al governatore per gestire personalmente soprattutto il problema dei rifiuti.

Cosa fa Cuffaro? Al contrario di quanto deciso dalle altre Regioni italiane che – secondo quanto prevede la legge – istituiscono un Ato (l’Ambito territoriale ottimale che gestisce lo smaltimento della spazzatura) per provincia, lui ne crea ventisei, malgrado la Sicilia conti nove province. Ogni Ato, ovviamente, con un Consiglio di amministrazione composto da nove membri più il presidente, tutti di nomina politica, tutti stipendiati ogni mese e – sempre secondo la norma – tutti (sulla carta) con “una comprovata esperienza in fatto di rifiuti”. Sugli stipendi da corrispondere ogni trenta giorni nessun problema, sulla ”comprovata esperienza” pure, nel senso che pochi, fra i duecentosessanta consiglieri di amministrazione, possono vantarne una. In poco tempo gli Ato diventano dei carrozzoni politici utilizzati per accontentare amici, trombati, galoppini da posteggiare.

Le’x governatore siciliano Salvatore Cuffaro

Ora, fra gare da espletare, appalti da concedere, netturbini da pagare, sedi da affittare, mezzi da garantire, consiglieri si amministrazione da retribuire, eccetera eccetera eccetera, qualcuno deve pur coprire quelle enormi spese. Chi meglio dei Comuni può “anticipare” le somme necessarie? Un “anticipo” senza restituzione, perché in Sicilia il concetto di debito è diverso da come viene inteso altrove. Qui, nei Palazzi della politica, si riceve e non si restituisce. Se i Comuni nel frattempo si indebitano fino all’osso non ha importanza. E se i soldi non arrivano in tempo, niente paura: a farci le spese sono i netturbini che non vengono pagati, anche a costo di fare arrivare l’immondizia fino al primo piano, come negli anni di Cuffaro è successo in diversi Comuni.

Risultato: da quel momento le giunte comunali hanno problemi inenarrabili – quando non sono costrette a dichiarare il default – per fare quadrare i conti. Un disastro che ha origine in quegli anni ma che si trascina fino a oggi.

Contemporaneamente succede un’altra cosa simpaticissima. Cuffaro decide di installare quattro inceneritori nell’isola… pardon termovalorizzatori, con mega discariche annesse. Non in base a uno studio geo-morfologico dei territori, ma dei poteri speciali concessi al governatore. A stabilire i luoghi per installare gli impianti non sono delle equipe tecnico-scientifiche selezionate in base alle competenze, ma Cuffaro in persona. Che decide di realizzare uno di questi maxi impianti in prossimità del fiume più lungo della Sicilia, nei pressi di Paternò, in quella Valle del Simeto dove da sempre si coltivano le arance migliori del mondo e diverse varietà di frutta e di ortaggi.

Il progetto prevede di spianare le colline attorno alla Valle e prelevare ingenti quantità di acqua dal fiume. “Piccolo” particolare: secondo le interrogazioni dell’opposizione, la discarica risulta di gran lunga sovradimensionata rispetto al reale fabbisogno delle popolazioni. Dunque? Dunque la struttura – secondo le indagini effettuate – deve servire per altri interessi. Quali non è difficile intuirlo.

Questo fatto si intreccia con un’altra singolare vicenda: la legge Ronchi prevede che la condizione essenziale per installare un termovalorizzatore è che i rifiuti da incenerire debbano essere opportunamente differenziati, in modo da evitare di bruciare materiale altamente inquinante (plastica, batterie e tanto altro) che è causa di emissione di diossina, sostanza altamente cancerogena per le popolazioni che vivono in prossimità di queste strutture. Peccato che all’epoca la raccolta differenziata in Sicilia sia appena al 2 per cento e peccato che anche oggi la situazione non sia delle migliori, se si pensa che la percentuale si attesta attorno al 13 per cento.

L’ex assessore regionale all’Energia, Nicolò Marino.

 

La situazione non è migliorata con i successori di Cuffaro, ovvero Raffaele Lombardo e Rosario Crocetta. A proposito di quest’ultimo, va ricordato che il suo ex assessore ai Rifiuti, Nicolò Marino, si dimise sbattendo la porta e accusando il capo della giunta di favorire certe discariche private, gestite, a suo dire, in modo non proprio ortodosso da Giuseppe Catanzaro, attuale presidente di Confindustria Sicilia.

Recentemente sia Musumeci, sia l’assessore ai Rifiuti, Toto Cordaro, hanno  affermato che bisogna potenziare la differenziata e snellire gli Ato: “Non c’è bisogno di realizzare i termovalorizzatori”, hanno detto all’unisono. Li prendiamo in parola e aspettiamo che finisca la nottata.

Luciano Mirone