Oltre ventisettemila firme raccolte in pochi giorni per chiedere alla Procura della Repubblica di Salerno di non archiviare le indagini sull’assassinio di Angelo Vassallo, il “sindaco pescatore” di Pollica (Salerno), ucciso il 5 settembre 2010 nella frazione marina di Acciaroli con nove colpi di pistola esplosi da uno o più sicari rimasti ignoti. Un delitto di Stato, che sconvolse l’Italia poiché commesso nei confronti di un amministratore onesto e illuminato, che nel giro di pochi anni, attraverso la salvaguardia e la valorizzazione del territorio (memorabili le battaglie per scongiurare l’uso del cemento e per un mare pulito che allora ottenne le 5 Vele da Legambiente e dal Touring Club), ha consentito a quella zona di incrementare il reddito pro capite mediante il turismo sostenibile.
Quella di Angelo Vassallo è la storia di un grande sindaco, una mosca bianca nella palude dell’oscurantismo e dell’affarismo che purtroppo avviluppa da decenni il nostro Paese. Il “sindaco pescatore” applicava un concetto semplicissimo: con la legalità, la cultura e la bellezza si vince. Ma era solo, malgrado le tre elezioni vinte (1995-1999, 1999-2004 e 2005-2010) e un quarto mandato da affrontare nel 2010, quando presentatosi come unico candidato, era stato rieletto il 30 marzo con il 100 per cento dei voti.
Promotrice della petizione per non fare archiviare le indagini, la Fondazione Angelo Vassallo, composta fra gli altri dal fratello del sindaco, Dario (che abbiamo intervistato), e dai figli, che nei giorni scorsi hanno chiesto di rimuovere il nome dell’ex sindaco dalla sezione Pd di Pollica, cui la sede è intitolata. “Il nome di Angelo Vassallo – hanno detto – non può essere accomunato a quello di Franco Alfieri, candidato del alle prossime elezioni nazionali”. Alfieri – sindaco di Agropoli col 91 per cento dei consensi e capo staff del governatore della Campania, Vincenzo De Luca – era stato denunciato (ma senza alcun seguito giudiziario) dal “sindaco pescatore” per una vicenda che Vassallo riteneva irregolare. Lo stesso De Luca, nel famoso discorso dell’Hotel Ramada, lo definì “notoriamente clientelare”.
Dario Vassallo, per cosa si è messo in evidenza suo fratello negli anni della sua sindacatura?
“Per l’onestà, per il fatto che amava stare in mezzo alla gente e quindi per portare avanti una politica del fare. Non era un sindaco, ma un cittadino che si dava agli altri”.
Perché è stato definito “il sindaco pescatore”?
“Perché era un pescatore, come tutta la nostra famiglia. Non per hobby, ma per mestiere. Tanto per capirci: Angelo quando ha cominciato a fare il sindaco aveva tre pescherecci, un bar e tabacchi, e una pescheria. Dopo quindici anni di sindacatura è rimasto soltanto con un peschereccio. Aveva impoverito la sua attività per inseguire il suo sogno”.
Qual era?
“Un mare pulito, uno sviluppo sostenibile con cementificazione zero. Se ad Acciaroli (frazione di Pollica, dove Vassallo è stato ucciso, ndr.) il mare è blu è dovuto alla sua intelligenza, perché lui è stato il primo, in provincia di Salerno, a far funzionare il depuratore. Purtroppo dopo di lui gli amministratori del Cilento si sono adeguati al sistema, senza prendere in considerazione le esigenze dei cittadini, a cominciare dai cinquantadue suicidi registrati negli ultimi sette anni”.
Cinquantadue suicidi?
“Si tratta soprattutto di giovani, probabilmente insoddisfatti per l’isolamento culturale e sociale che si vive nel territorio: viviamo in una zona dove nessuno è parte integrante di un progetto, oggi la politica si fa per caste: chi è fuori soffre, non ha lavoro, cade in depressione. La politica non si interessa di questi disagi”.
Suo fratello – leggiamo – oltre ad essere sindaco, ricopriva cariche importanti di enti preposti alla salvaguardia del territorio (fra cui ‘Slow Slow’ nel mondo). Addirittura si era fatto promotore della proposta – poi accolta a Nairobi – di inclusione della dieta mediterranea tra i Patrimoni orali e immateriali dell’umanità. Addirittura la delegazione del ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, presente in Kenya per la proclamazione, ha dedicato il riconoscimento alla figura del suo promotore. Insomma, una figura di amministratore europeo, più che italiano.
“Pollica è stato uno dei pochi comuni del Cilento ad avere adottato un Piano regolatore. L’ultimo risaliva agli anni Sessanta. Se oggi abbiamo uno strumento urbanistico valido lo dobbiamo ad Angelo. Speriamo che altri non lo modifichino, anche se dopo la morte di mio fratello in questo territorio è stato utilizzato molto cemento: basti pensare che in prossimità del fiume Mortella c’è un enorme complesso residenziale i cui lavori sono stati bloccati: i due terzi sarebbero stati costruiti abusivamente”.
A chi dava fastidio Angelo?
“A tutti. Basti pensare che nel 2014 e nel 2015, in occasione dell’anniversario della sua morte, nel comune di Pollica è stata organizzata la sagra del pesce. Una sconfitta dello Stato”.
L’inchiesta sta per essere archiviata.
“In un delitto (a maggior ragione se si tratta di un delitto eccellente) se il colpevole non si trova nelle prime ore diventa difficile risalire agli autori e ai mandanti. In questi sette anni c’è stata un’omertà incredibile. Nel luogo dell’assassinio perfino uno starnuto si sente a duecento metri di distanza: perché la strada è ad imbuto e si crea l’eco. Ho calcolato il tragitto che Angelo quella sera ha fatto con la macchina: 950 metri. In un tratto così lungo, nessuno ha visto e ha sentito, specie a quell’ora e in estate?”.
Sì, ma qualcosa, a prescindere dall’omertà, deve essere stata stabilita dalle indagini.
“Voglio precisare che gli inquirenti hanno fatto il loro lavoro. La gente del posto, gli amici di Angelo e la politica locale hanno mostrato di non volere la verità. Ho promesso che fino al 10 febbraio non parlerò di politica, a Pollica ci sono le elezioni”.
Vi siete fatti un’idea dei mandanti?
“Certamente. Il 10 febbraio, dopo le elezioni, farò delle domande, le stesse che pongo da sette anni”.
Può anticiparne qualcuna?
“Si ipotizza (ancora dopo sette anni parliamo di ipotesi) che il delitto si sia verificato in un arco di orario che va dalle 21,30 alle 22,30. Io abito a Roma e sono arrivato ad Acciaroli alle 7,30 del mattino successivo. Come mai, dopo nove-dieci ore dal delitto, attorno alla macchina di mio fratello ho visto una ventina di persone, come mai la strada non era transennata, come mai la gente stava attorno alla macchina, come mai ho visto passare almeno una autovettura accanto a quella ferma di mio fratello? Insomma, come mai il luogo del delitto non è stato isolato per cominciare le indagini?”.
La sua è un’accusa indiretta alle Forze dell’ordine.
“Non intendo generalizzare. La mia è un’accusa nei confronti di chi, quel giorno e in quel periodo (e sottolineo: quel giorno e in quel periodo), svolgeva le indagini. Costoro devono dare delle risposte precise. È un’accusa che va circoscritta a un contesto temporale ben preciso, nei confronti di chi in quel momento gestiva le Forze dell’ordine e la Procura”.
Chi vi ha espresso solidarietà subito dopo il delitto?
“Soprattutto i sindaci dell’Emilia Romagna. È mancata la politica del Cilento”.
Che tipo era Angelo, che rapporti avevate?
“Uno che quando si metteva in testa una cosa la portava a termine. La nostra vita è migliorata quando ha cominciato a prendere le redini della famiglia. Siamo sei figli. I cinque maschi sono tutti pescatori. Se mi sono laureato in medicina e ho realizzato il sogno di diventare medico lo devo a lui. Dal punto di vista politico e sociale era uno che credeva in quello che faceva. Una sorta di missionario, che diceva delle cose molto semplici: se riusciamo ad utilizzare le risorse dei nostri territori saremo le persone più ricche del pianeta. Ma questo non sempre può avvenire, certa politica non vuole”. Nove colpi di pistola hanno interrotto quel fantastico sogno.
Luciano Mirone
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