Le suole delle scarpe scricchiolano sul selciato di uno dei luoghi più incredibili e più belli che abbiamo mai visto, Poggioreale, in provincia di Trapani, l’unico paese della Valle del Belice che, per una bizzarra combinazione del destino, pur subendo danni gravissimi dal terremoto del 1968, è rimasto miracolosamente in piedi e non è stato né demolito né ricostruito, soltanto abbandonato dai suoi abitanti.

Oggi il paese non è esattamente come cinquant’anni fa, ma dà l’idea di com’era suscitando emozioni fortissime. Qui, chi c’era, ricorda perfettamente il 14 e il 15 gennaio del 1968 quando un sisma spaventoso polverizzò diversi paesini di questo luminoso luogo della Sicilia occidentale, causando circa quattrocento morti e mille feriti e lasciando in piedi solo questo, mentre i duemilacinquecento poggiorealesi, dopo decenni di baracche, si stanziarono nel nuovo centro, tre chilometri più a valle, su un terreno friabile, instabile e pieno di falde acquifere. Un’operazione costata sessanta miliardi di vecchie lire. Che, secondo i bene informati, sarebbe servita per favorire la speculazione di qualche personaggio importante. Ma siccome non ci sono prove, facciamo finta di niente, anche se gli anziani vivono con la perenne e struggente nostalgia del passato, poiché il nuovo paese sembra più progettato per le automobili che per gli uomini, cemento, cemento e ancora cemento, malgrado la piazza avveniristica progettata da Paolo Portoghesi che si ispira alle agorà della Magna Grecia. I più anziani però sono legati al vecchio paese che ricordano come il modello della perfezione.

Poggioreale. La piazza del nuovo centro progettata da Paolo Portoghesi. Sopra: un’immagine di piazza Elimo prima del terremoto

In realtà il terremoto è una metafora del solco che in quegli anni si stava creando nel nostro Paese fra il prima e il dopo, fra la civiltà contadina con la sua fame, la sua dignità e la identità, e una civiltà del benessere con i suoi soldi, i suoi comfort, le sue corruzioni spaventose, la sua identità cancellata per sempre. La storia del terremoto del Belice è (anche) la dimostrazione di tutto ciò.

Le suole delle scarpe scricchiolano sul selciato dell’antico paese mentre, superato l’abbeveratoio posto all’ingresso, il gracchiare dei corvi accompagna il ritmo dei nostri passi: è come se la presenza umana turbasse una quiete iniziata cinquant’anni fa, quando gli uomini se ne andarono, e loro, i corvi, si impadronirono delle strade, delle piazze, dei balconi e soprattutto del campanile della vecchia Poggioreale, dove stanno appollaiati per intere giornate e poi svolazzano e poi tornano per presidiare dall’alto un regno che non deve essere profanato.

Le suole delle scarpe scricchiolano sul selciato della via principale (corso Umberto I) con il suo silenzio irreale. A un certo punto il nostro accompagnatore dice: “Quel giorno si udì una specie di boato, poi le cose cominciarono a tremare, crollarono alcuni cornicioni e molti tetti. Sembrava che la terra volesse ingoiare tutto. La prima scossa fu registrata all’ora di pranzo, mentre la gente era a tavola. Gli abitanti uscirono dalle abitazioni per salvarsi, non pensarono a conservare la roba. Gli unici che non scapparono furono due vecchietti, marito e moglie: lui era paralitico, lei cercò di aiutarlo: rimasero sepolti sotto le macerie”.

Le suole delle scarpe scricchiolano sul selciato che migliaia di persone hanno calpestato per più di tre secoli. Lì c’è il palazzo aristocratico che apparteneva al principe Morso Naselli, colui che, venuto dalla vicina Gibellina, nel 1642 fondò Poggioreale: l’arco in pietra gialla finemente “ricamato”, le volte altissime con gli affreschi ancora visibili, i pavimenti decorati, i balconi con il ferro battuto.

Poggioreale. L’antico teatro

Lì i palchetti del teatro civico che ospitava anche compagnie di rango. Qualche metro più avanti la chiesa di sant’Antonio, il patrono del paese: la statua è stata recuperata e portata nel nuovo sito, c’è ancora l’altare e le tre navate.

A pochi passi la biblioteca comunale costruita durante il fascismo. In quei vicoletti che sbucano nella campagna  ci sono le case dei contadini con la cucina a legna e il forno ancora annerito, il pavimento in cotto e i gerani ridondanti sul davanzale, che in questo mezzo secolo si sono inselvatichiti resistendo alle bufere e all’afa.

Sparse sulla strada si vedono le pagine ingiallite dei giornali del tempo, con i personaggi entrati nel mito, Robert Kennedy e Martin Luther King, Papa Paolo VI, il presidente Saragat e Domenico Modugno che vince il festival di Sanremo con “Volare”.

In questo atomo di Sicilia non ancora aggredito dal cemento è come se il tempo si fosse pietrificato. Poggioreale ha la struttura dei paesi aperti alla campagna. Era utile ai feudatari (che potevano controllare i loro possedimenti) e ai contadini che all’alba si recavano nei campi.

Luciano Mirone

2^ puntata. Continua