Alle 20,02 di un anno fa un ventiquattrenne tunisino, Anis Amri, mentre a Berlino la folla si godeva l’atmosfera dei mercatini di Natale, con un autoarticolato con targa polacca ma di provenienza italiana, travolgeva bancarelle, tavolini ed esseri umani, uccidendo 12 persone e ferendone 56. Una strage rimasta scolpita nell’immaginario collettivo per la modalità di esecuzione – un camion ad altissima velocità lanciato in una calca formata da famiglie, donne, bambini e anziani – che poche volte, prima di allora, era stata messa in atto.

Tre giorni dopo, il piano di fuga di Anis Amri si concludeva alla stazione ferroviaria di Sesto San Giovanni, in provincia di Milano, insieme alla sua giovane vita, che si spegneva dopo un conflitto a fuoco con due poliziotti che lo avevano riconosciuto.

Ainis Amri. Sopra: la strage di Berlino

Il tunisino era arrivato nel nostro Paese nel 2011, salvato da una motovedetta italiana al largo di Lampedusa, dove era giunto con decine di connazionali reduci, come lui, dai fermenti della “Rivoluzione dei gelsomini” che avevano portato alla destituzione del regime di Ben Alì. Non è che la rivoluzione importasse tanto ad Ainis. La sua vita, imperniata sull’alcol e sulla droga, ci offre l’immagine di un giovane più alle prese con lo “straniamento” che con gli ideali della “Primavera araba”.

Dopo qualche tempo – dichiarando meno dell’età anagrafica – era stato smistato dalla prefettura di Agrigento nel centro di accoglienza per minori di Belpasso (Catania), dove era rimasto tre mesi. È proprio questa struttura – nella quale, secondo quanto emerge dalle varie testimonianze raccolte, il giovane era trattato bene – a costituire per Ainis l’inizio della fine.

È a Belpasso che lui, assieme ad altri quattro connazionali, nella notte del 23 ottobre 2011, appicca il fuoco in una camera danneggiando gravemente l’edificio che li ospita. È la goccia che – dopo una serie di azioni violente per le quali il ragazzo si era distinto all’interno del centro – fa traboccare il vaso e che porta le autorità competenti a decidere la reclusione nel carcere di Enna e di Palermo. E’ dietro le sbarre – secondo gli investigatori che indagano sulla strage di Berlino – che il giovane extracomunitario viene radicalizzato.

Uscito di prigione Ainis non è più quello di prima: continua a far uso di alcol e stupefacenti, ma adesso è un terrorista deciso ad uccidere nello stesso mondo occidentale che lo ospita, a sparare nel mucchio, o meglio: ad asfaltare con un Tir chiunque gli si para davanti.

Lucasz Urban

La sera del 19 dicembre – dopo aver ucciso l’autista del camion, Lucasz Urban, proveniente dallo stabilimento torinese della Thiessenkrupp dove aveva ritirato delle sbarre metalliche – Anis Amri dirige il mezzo verso i mercatini di Natale per commettere la strage.

Secondo le indagini, l’autista, pur essendo stato colpito da un proiettile, era ancora vivo mentre il giovane tunisino attraversava a grande velocità il centro di Berlino. Pare che, dal lato passeggeri, si fosse disperatamente aggrappato al volante per deviare il corso del convoglio ed evitare la strage: i colpi di pugnale rinvenuti sul suo corpo portano gli inquirenti a ritenere che Amri – alla guida del mezzo – lo avesse finito per portare a termine il suo folle progetto di morte.

Luciano Mirone