Immaginate il teatro all’aperto più bello del mondo. Con i colonnati e le gallerie dove nell’antichità sostavano gli attori prima di andare in scena. I due archi immensi, uno che incornicia l’Etna, l’altro che contorna il mar Ionio fino a Siracusa e poi giù verso un’invisibile costa greca. “E’ uno spettacolo”, diceva Edmondo De Amicis, “di cui non ha l’eguale né Napoli, né Rio De Janeiro, né Costantinopoli”.
Le gradinate di pietra bianca dalla cui cima si vede l’altro versante della costa che si distende fino a Messina e poi fino alla Calabria. E nella cavea, disposti come in un presepe di terracotta, la Madonna, San Giuseppe, il Bambinello, il bue, l’asinello, gli angeli. E tutt’intorno un lieve profumo di incenso. Poi tutt’a un tratto arriva il lunghissimo corteo di pastori attorniati dalle pecore, e il suono della ciaramella e del flauto che si propaga nell’aria assieme all’incenso. Quindi i re Magi, come li vide lo scrittore francese Peyrefitte, “superbamente vestiti, accompagnati da cavalieri e schiavi”, che si inginocchiano davanti alla grotta con i loro doni. E tutt’intorno, nelle gradinate piene di gente, si fa un gran silenzio. Un silenzio irreale che si combina armoniosamente con la montagna, col mare, con la pietra, col cielo che pian piano si imbruna e poi sbiadisce in un rosa pallido che dipinge la Montagna e l’orizzonte di quella Grecia arcana che senti lontana e vicina, e il freddo che a quell’ora comincia a farsi pungente dopo una tiepida giornata.
E’ la sera che cala su Taormina, con la sua pace, i suoi suoni, i suoi colori, i suoi silenzi. E’ il presepe vivente che un tempo si svolgeva nel paesino siciliano. Un’usanza che si è sempre tenuta in piazza, ma che per alcuni anni ebbe la magnifica scenografia del teatro antico.
Peyrefitte lo definì “il Natale più bello del mondo”. E scrisse: “Il sole scintillante, le pianure fiorite, gli aranceti colmi di frutti, anche se dominati da quelle nevi, facevano pensare piuttosto a Pasqua che a Natale”. E i turisti giungevano a frotte per assaporare quelle sensazioni inusuali, abituati alle atmosfere brume delle città del nord.
Anche il presepe vivente che si svolgeva in piazza Sant’Agostino o piazza IX aprile (la piazza principale) aveva il suo fascino. Nella notte tra il 24 e il 25 dicembre, vecchi e giovani, paesani e stranieri, si ritrovavano in strada per la veglia notturna e accendevano i grandi falò. Dopo mezzanotte tutti partecipavano alla processione. I fuochi illuminavano la piazza del Duomo, che dopo mezzanotte brulicava di gente; quindi dalla chiesa del Carmine dove si era svolta l’ultima messa, veniva giù una gran processione, una fiumana di fedeli si congiungeva con l’altra fiumana che attendeva davanti al Duomo. Fiaccole, torce al vento, ciaramelle, cielo stellato: questi gli elementi che non mancavano mai, insieme alle arance e ai mandarini riposti sulle panche dei venditori.
Sotto un baldacchino portato dai notabili del paese, avanzava l’arciprete che teneva sulle braccia, con la fede di un apostolo, un bel Bambino Gesù. Dietro suonava la vecchia banda, le donne pregavano. Dopo aver percorso tutto il paese, la processione si fermava in piazza Sant’Agostino. Lì un grande palco reggeva un artistico presepe che si illuminava lentamente, mentre le luci piano piano si spegnevano. E aveva inizio il racconto della nascita di Cristo, con la sfilata silenziosa di Maria, di Giuseppe, degli angeli, dei Re Magi. L’Etna e il mare erano gli immoti spettatori di questo grandioso presepe vivente che, secondo quanto scrive Marcello Caminiti, come un film muto, si sviluppava sotto gli occhi palpitanti di migliaia di persone.
Intanto la secolare tradizione del presepe di terracotta continuava nelle case e nelle chiese, con i ragazzi che nei giorni precedenti scendevano nelle spiagge per cercare il materiale occorrente, “pezzetti di sughero e di pietra pomice con cui facevano la stalla e qualche capanna; sulle montagne a cercare pezzetti di roccia di questo o quell’altro colore, che servivano a decorare; nei boschi a cercare ciuffi di vischio, muschio, rametti di agrifoglio e di asparagi che, per tradizione, costituiscono il verde dei presepi”. Giornate intere a modellare e a plasmare il gesso e l’argilla per farne animali e personaggi, a dipingerli e a vestirli con un pezzetto di stoffa, di lana e di cotone, e poi ad allestire i fiumi e i laghetti fatti con “l’acqua vera”, e le luci da piazzare sotto il muschio e la grotta. E i ciaramellari che, a partire dall’8 dicembre, giorno dell’Immacolata, scendevano dalle montagne e svegliavano gli abitanti suonando nelle strade, davanti ai presepi e nelle case, annunciando l’arrivo del Natale. “In quel periodo, Taormina viveva al suono delle cornamuse”. Lo stesso Peyrefitte ne restò impressionato: “Da noi in Francia i presepi rappresentano abitualmente la scena descritta nel Vangelo. In quelli di Taormina vengono rappresentate scene della vita popolare di tutti i giorni, e il presepio ha tanto più successo quanto meno è un presepio… In questo felice paese, l’amore per i presepi dura molto più a lungo dell’infanzia”.
Luciano Mirone
(Tratto dal libro L’antiquario di Greta Garbo, A&B Editore)
Bellissimo ed emozionante racconto che ci riporta indietro nei secoli. Grazie tante