L’arresto del deputato del centrodestra Cateno De Luca rieletto appena tre giorni fa all’Assemblea regionale siciliana (Ars), ci dà l’ennesima conferma dell’estrema vulnerabilità del neo governatore Nello Musumeci nel riuscire a tenere una maggioranza che già comincia a mostrare le prime crepe, specie se si pensa che il nome di De Luca – fino a poche ore fa – circolava come possibile assessore (seppure “in salita”) dell’esecutivo regionale.
Al di là delle ottime intenzioni del nuovo presidente – cui attraverso gli articoli successivi alla sua elezione abbiamo dato fiducia – il compito di evitare una vera e propria paralisi causata dagli arresti, dagli avvisi di garanzia, dai veti incrociati, dai ricatti e da tanto altro, appare davvero improbo. Al di là della buona volontà di Musumeci, sono troppi i personaggi impresentabili che hanno imbottito le liste del centrodestra, troppi per non pensare che la poderosa macchina elettorale messa su dal commissario regionale di Forza Italia, Gianfranco Miccichè, potrebbe implodere o comunque essere ridimensionata sotto i colpi impietosi delle indagini giudiziarie, e non solo.
Due i dati che si incrociano con la notizia della detenzione ai domiciliari del parlamentare regionale. Il primo riguarda un’inchiesta giornalistica di Giuseppe Pipitone sul Fatto quotidiano che conferma quello che domenica scorsa – a urne ancora aperte – abbiamo anticipato: ossia che sono stati gli impresentabili, quelli eletti e quelli non eletti, con i loro centomila voti, a fare la differenza fra il vincitore Musumeci e lo sconfitto Giancarlo Cancelleri del Movimento 5 Stelle. Senza quelle preferenze, il candidato del centrodestra avrebbe perso o avrebbe vinto sul filo di lana, e in ogni caso non avrebbe raggiunto la maggioranza risicatissima che in extremis è riuscito ad ottenere.
Il secondo riguarda la dichiarazione che lo stesso Musumeci ha rilasciato ieri sera a Porta a porta sulla politica che intende portare avanti: “Rischierò, ma dirò tanti no”. Un crescendo che lascia prevedere una “rivoluzione”, che potrebbe, anzi dovrebbe, riguardare la Giunta. “Ho le mani libere – dice ancora Musumeci – e tra cinque anni non mi ricandiderò”. A questo punto lo spettatore trattiene il fiato pensando alla “bomba” successiva. “Voglio bonificare la Regione e mandare a casa chi bivacca negli uffici”. Ovvero i burocrati. Che saranno certamente da cambiare o da avvicendare, ma non sono l’unico bubbone da estirpare alla Regione.
Dunque a soli tre giorni dal voto, abbiamo scoperto che la “rivoluzione” di Musumeci sarà questa. Importante sì, ma troppo poco per parlare di “discontinuità” con la politica del predecessore Rosario Crocetta, accusato dallo stesso Musumeci di aver creato un disastro a causa dell’inciucio con gli uomini di Totò Cuffaro e di Raffaele Lombardo (gli stessi che adesso lo sostengono).
Ci saremmo aspettati personalità di livello più alto provenienti dal mondo universitario, produttivo, professionale, invece i possibili assessori saranno i politici selezionati col manuale Cencelli che veniva usato nella Prima Repubblica per non scontentare i partiti, i quali, in base ai voti ottenuti, pretendevano la percentuale di assessori.
E siccome i voti – almeno quelli degli impresentabili – non pare che siano stati ottenuti in modo così trasparente, il livello qualitativo della Giunta potrebbe abbassarsi notevolmente rivelandosi inadeguato a risanare la catastrofe amministrativa provocata negli ultimi decenni. Nei prossimi giorni sapremo ufficialmente i nomi degli assessori, ma se è vero che il buongiorno si vede dal mattino, e stamattina ci siamo svegliati con l’arresto di un pezzo importante del nuovo-vecchio sistema imperante a Palermo, si prospettano giorni grigi alla Regione Sicilia. Vorremmo sbagliarci…
Luciano Mirone
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