Il Comitato di cittadini “Angelo Niceta” chiede al Presidente della V Sezione Penale del Tribunale di Palermo, Dott.ssa Donatella Puleo “l’autorizzazione alla ripresa audiovisiva delle udienze” del processo che vede imputato per bancarotta lo stesso Niceta, testimone di giustizia, “che sta svelando ai magistrati le collusioni, anche istituzionali, della ‘Palermo bene’, e che chiamano in causa i vertici di Cosa nostra”.

Le riprese televisive, secondo quanto si legge nel comunicato diffuso dal Comitato, sono importanti “per documentare un processo ignorato dalla gran parte degli organi di informazione e che invece è di rilevanza assoluta”.

Durante l’ultima udienza – si legge nella nota – il Comitato aveva chiesto formalmente al giudice l’introduzione delle telecamere in aula. Si tratta di “un principio giuridico moderno non negoziabile”, non a caso le udienze “si tengono, tranne casi particolari, a porte aperte”. E ancora: “La Giustizia, per essere tale, deve essere amministrata in nome del popolo e quindi in modo trasparente, coram populo, davanti all’opinione pubblica, che deve esercitare il suo controllo su ciò che avviene nelle aule di Tribunale”.

Un’autorizzazione del genere – prosegue il Comitato – “a nostro avviso avrebbe dovuto essere un atto scontato”. Ecco perché “faremo in modo che non diventi l’ennesimo diritto di fatto negato per un processo di questa rilevanza”.

E quindi: “Ci appelliamo a tutti coloro che hanno a cuore il rispetto di un principio fondamentale del diritto e della democrazia per una mobilitazione affinché venga concessa senza indugio fin dalla prossima udienza dell’8 febbraio 2018, l’autorizzazione alla ripresa audiovisiva delle udienze”.

Ma di che processo si tratta?

“E’ un processo in corso a Palermo – prosegue il Comitato di cittadini – che vede imputato Angelo Niceta, per il quale, alcuni mesi fa, sono state raccolte 26mila firme, con quattro interrogazioni presentate in parlamento”. Una vicenda complessa, quella di Niceta, durata diversi anni, che lo ha visto protagonista in una dura contrapposizione con lo Stato che, invece di assegnargli lo status di “testimone di giustizia”, gli ha assegnato quello di “collaboratore di giustizia” o di “pentito”, una condizione quest’ultima che Angelo ha rifiutato per la notevole differenza esistente: il collaboratore di giustizia è un mafioso che racconta ai magistrati i fatti legati a Cosa nostra; il testimone fa la stessa attività, senza essere mafioso. Un braccio di ferro che qualche mese fa si è risolto con il riconoscimento dello status di testimone.

“È doveroso ricordare – scrive il Comitato – che fu proprio Angelo Niceta, lo scorso 19 luglio, intervenendo al concerto dell’orchestra giovanile Falcone-Borsellino a Bagheria (Pa), a ‘sfidare’ il boss Pino Scaduto, appena scarcerato, sul suo territorio denunciando pubblicamente il ruolo apicale dello stesso all’interno della mafia palermitana. I recenti fatti – seguita il Comitato – con l’arresto dello stesso Scaduto,  sono una prova ulteriore dell’attendibilità complessiva di Angelo Niceta e del suo coraggio nel denunciare fatti scomodi e persone ‘potenti’, quando nessuno ha il coraggio di parlarne”.

Il Comitato inoltre “contesta la legittimità della costituzione di parte civile di Michelangelo Niceta (zio di Angelo), “recentemente indagato – si legge – in un’inchiesta nata proprio dalle dichiarazioni del nipote, secondo quanto riportato dalla stampa, per ‘riciclaggio aggravato dal metodo mafioso’ nella vicenda della costruzione del Centro Commerciale ‘Forum’ del quartiere Brancaccio a Palermo”.

Luciano Mirone