Ieri abbiamo scritto un articolo titolato così: “Musumeci fascista? Giudichiamolo sui fatti”. Il pezzo è stato apprezzato da alcuni e e criticato – anche pesantemente – da altri. Vorremmo chiarire due cose: non rinneghiamo le critiche che abbiamo fatto nei giorni scorsi a Nello Musumeci, ma non rinneghiamo neanche l’analisi fatta ieri. Spieghiamo perché.
Fra il popolo di destra abbiamo conosciuto tanta gente abietta, ma anche (direttamente e indirettamente) degli uomini che hanno lottato la mafia, le illegalità, le ingiustizie sociali e le restrizioni delle libertà allo stesso modo di molti uomini di sinistra che hanno pagato con la vita o con l’emarginazione il loro impegno civile. Uno si chiamava Paolo Borsellino, un altro Beppe Alfano: quest’ultimo, da giovane, aveva fatto parte dei gruppi dell’estrema destra, poi capì il gioco e, pur restando coerente con le sue idee, prese le distanze da certi personaggi che nel frattempo avevano stretto patti con la mafia, con la massoneria e con i servizi segreti deviati, li rinnegò perché aveva capito che per dare un futuro alla Sicilia bisogna combattere seriamente Cosa nostra. Lo fece e fu ucciso. In giro ce ne sono di uomini che fanno le stesse cose di Borsellino e di Beppe Alfano, operano (spesso in silenzio) nel mondo della magistratura, del giornalismo, della scuola, del volontariato, e quando c’è da fare il proprio dovere senza guardare in faccia nessuno, partecipare a una manifestazione antimafia, votare per un onesto candidato di sinistra o prendere una posizione contro la destra lo fanno, e contemporaneamente rispettano le idee di chi non la pensa come loro. Sono assolutamente diversi dai fascisti che mostrano intolleranza verso le idee degli altri, perseguitano gli extracomunitari e inneggiano al Duce. Ma allora perché sono di destra? Non lo sappiamo e forse non lo sanno neanche loro, ma intanto è così.
Fra il popolo di sinistra abbiamo conosciuto tanta bella gente, ma anche dei “comunisti” che votano per Berlusconi, per Casini, per Alfano o per Firrarello, parlano di tolleranza ma sono intolleranti, teorizzano la non violenza ma sono violenti, discettano di libertà ma la limitano agli altri, blaterano di legalità ma demonizzano quelli che lottano per affermarla, si scagliano contro Cuffaro e Lombardo ma ci si alleano, propugnano la coerenza ma sono la quintessenza dell’incoerenza, dicono che bisogna rispettare il prossimo ma sono i primi a mancargli di rispetto, sostengono la solidarietà ma sono dei fottutissimi egoisti.
Li abbiamo definiti “fascisti di sinistra” e sono speculari ai “fascisti di destra”. Noi non vogliamo avere a che fare né con gli uni né con gli altri e e se ci chiedono: preferite dialogare con un cialtrone di sinistra o con un galantuomo di destra, scegliamo assolutamente quest’ultimo, perché riteniamo che bisogna rompere le appartenenze, i recinti, i luoghi comuni, i pregiudizi, i dogmi e le ideologie.
Sul “caso Musumeci”, politico di destra, ritenuto “perbene” anche a sinistra, ci siamo espressi. Il nuovo governatore della Sicilia ha accettato il sostegno di numerosi candidati impresentabili per diventare presidente della Regione. E questo, secondo noi, dal punto di vista etico e politico, è deprecabile. Ma appunto perché Musumeci viene considerato un uomo corretto, abbiamo il dovere di aspettare i fatti, di verificare se è vero che esiste un “patto segreto” all’interno del centrodestra “per emarginare gli impresentabili”. Non sappiamo come finirà, ma abbiamo il dovere di osservare.
Così come abbiamo il dovere di ricordare che un grande democristiano come Piersanti Mattarella, per diventare presidente della Regione portò avanti una strategia simile, malgrado la guerra che gli facevano all’interno della Dc gli uomini di Salvo Lima. Si è consegnato alla storia per l’opera di rinnovamento intrapresa nel suo partito – come il suo riferimento Aldo Moro – e nel Parlamento siciliano.
Non sappiamo se Musumeci voglia seguire questo esempio o quello di Paolo Borsellino e di Beppe Alfano, e non sappiamo se alla fine preferirà essere funzionale a Berlusconi. Lo sapremo strada facendo. Ma se davvero il nuovo governatore crede in certi valori ha il dovere di provarci. E noi il dovere di parlare liberamente.
Luciano Mirone
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