Ieri sera una giornalista lo ha definito “un fascista onesto”. Lui non ha replicato, ma francamente non sappiamo se il termine “fascista” sia adatto a definire Nello Musumeci. Cioè ci chiediamo se il neo governatore della Sicilia sia da bollare come un tipo intollerante, antidemocratica, razzista e violento (termini tradizionalmente appropriati a un fascista doc), oppure come una persona che – anche secondo diversi esponenti della sinistra – pur militando nel Movimento sociale italiano e poi in Alleanza nazionale, ha sempre amato dialogare con l’altra parte della politica mettendo al centro il rispetto.
Basta ricordare un piccolo aneddoto raccontato dall’avvocato catanese Enzo Guarnera: “Circa quarant’anni fa facevamo parte del Comitato di gestione dell’Unità sanitaria locale 34 di Gravina di Catania, io nominato dal Partito comunista, lui dal Movimento sociale italiano: teoricamente avremmo dovuto litigare sempre, invece istintivamente ci siamo trovati d’accordo, specie sulle scelte etiche. Eravamo gli unici a contrastare il sistema di potere democristiano e socialista”.
Possiamo dunque definire Musumeci un fascista? “Assolutamente no”, prosegue Guarnera. “Piuttosto lo ricordo come un ambientalista e un animalista. Magari possiamo definirlo un uomo della destra sociale come Paolo Borsellino, uno che crede in certi valori come l’onestà, la democrazia, ma fascista francamente no”.
Poi ci sono i dieci anni trascorsi alla Provincia di Catania come presidente, buoni rapporti con tutti, maggioranza e opposizione, e un ente che – dopo gli anni terribili di Tangentopoli – Musumeci riuscì a traghettare nella normalità, senza aver mai ricevuto – come lui stesso ha detto in campagna elettorale – un solo avviso di garanzia, malgrado i quasi mille miliardi di vecchie lire che ballavano da un assessorato a un altro attraverso appalti, finanziamenti, forniture, e tanto altro.
Erano gli anni in cui all’ufficio stampa della Provincia lavoravano giornalisti sia di destra che si sinistra, metodo dettato da senso di pluralismo, ma anche da un’acuta capacità di investimento politico a a lungo termine. Un metodo praticato anche dal suo successore Raffaele Lombardo, ma mentre per Musumeci il potere è sempre stato finalizzato a una cosa, per Lombardo non sempre è stato così: basta vedere le vicissitudini giudiziarie di quest’ultimo per capire. Chi ha conosciuto entrambi dice: il potere di Musumeci è una cosa, quello di Lombardo un’altra. E se cerchi di comprendere meglio, ti risponde: “Quando Musumeci era presidente della Provincia, era lui ad andare a fare visita al prefetto. Quando lo era Lombardo i ruoli si invertivano”.
Per questo Musumeci è stimato anche a sinistra. Una virtù che gli è sempre stata invidiata è la capacità di rapportarsi indifferentemente coi potenti e con gli umili: un eloquio ricercato e forbito con i primi, semplice con i secondi, con cui non disdegna di parlare alla pari e a anche in dialetto: chi, sia a destra che a sinistra, ha la puzza sotto il naso non può capire. A cominciare dal suo ex leader di Alleanza nazionale Gianfranco Fini, che all’interno del suo partito ha cercato sempre di emarginarlo. Un giorno Berlusconi lo sentì parlare a Catania e rimase scioccato: “Sei un grande”.
Oggi la partita si sposta in una Regione come quella siciliana, sei milioni di abitanti e una situazione drammatica sotto tutti i punti di vista. Adesso il gioco si fa duro, il primo a saperlo è proprio lui. Soprattutto con i suoi: il neo governatore dovrà fare i conti con Berlusconi, Miccichè, Dell’Utri, Cuffaro, Genovese, Lombardo (tanto per citarne alcuni) con i quali, se vuole governare bene per cinque anni, deve andare d’accordo: lo hanno eletto, quindi…
Personaggi che non ha mai amato ma con i quali deve fare i conti. E si è visto cinque anni fa quando Miccichè, pur di non farlo arrivare a Palazzo d’Orleans, sede del governo regionale, si candidò spaccando il centrodestra e spianando la strada a Crocetta, che vinse agevolmente.
Oggi la situazione è cambiata: dopo l’era dei Cuffaro e dei Lombardo, in una coalizione priva di leader, Musumeci ha fatto comodo, ora e per le prossime elezioni nazionali, quando il centrodestra si presenterà col vento in poppa grazie alla vittoria nell’Isola.
Ma è anche vero che il centrodestra ha fatto comodo a Musumeci. Il quale – secondo tutti i sondaggi – se si fosse presentato da solo con “Diventerà bellissima” (il suo movimento) non sarebbe mai diventato governatore. E allora ha giocato l’unica carta che gli rimaneva a disposizione: fare buon viso a cattivo gioco per diventare presidente della Regione, consapevole delle insidie che gli toccherà superare per amministrare un ente difficilissimo.
Non sappiamo come finirà. Ipotizziamo però – come scrive Antonello Caporale sul Fatto quotidiano di oggi – che saranno cinque anni di “muschittarìa”, parola sicula che a Catania vuol dire gioco d’artificio, cinque anni di contrapposizioni seppure velate dalla diplomazia di cui Musumeci è capace, specie su certe tematiche come la questione morale e l’antimafia. Se Musumeci porterà a termine coerentemente il suo mandato sarà ricordato positivamente, ma se si adeguerà passivamente ai personaggi di cui sopra – anche senza sporcarsi le mani – tradirà i valori nei quali dice di credere, e sui quali non abbiamo motivo di dubitare.
Una cosa ha detto ieri sera nella conferenza stampa indetta dopo il risultato ufficiale: “Fra cinque anni lascerò la guida della Regione siciliana”. Non sappiamo se per ritirarsi definitivamente a vita privata o per diventare qualcos’altro. Il discorso di ieri, asciutto, convincente, istituzionale, è stato ispirato certo dalla vittoria, ma soprattutto, come ha detto, dai suoi “tre figli”, ai quali ha dedicato questo “sogno lungamente inseguito”, specie a uno di loro, che da alcuni anni non c’è più. In un passaggio, seppure fra le righe, lo ha fatto capire: “Vi prego di credermi: io vivo questi momenti con gli occhi incerti fra il sorriso e il pianto. Vorrei gioire ma non posso”.
Da un po’ di tempo, chi lo conosce bene, dice che è cambiato. Un cambiamento interiore che si riflette anche in politica, e anche nella Commissione parlamentare regionale antimafia, di cui è stato presidente per cinque anni, facendo il suo dovere, quasi con l’animo di chi non ha niente da perdere. Un impegno che cozza certamente con la vicenda dei candidati “impresentabili” nelle liste che lo hanno sostenuto, ma che va giudicato alla distanza e a trecentosessanta gradi, tenendo conto che in Sicilia, se vuoi governare per cambiare, non sempre sei circondato da un mare pulito.
Vediamo cosa succederà. L’impressione è che ieri sera Musumeci non parlasse solo da neo governatore, ma da leader nazionale della sua coalizione. Il ritiro a vita privata avrebbe senso “solo” se fallisse alla Regione, sbocco naturale che ci auguriamo possa intraprendere con serenità Rosario Crocetta.
Se dovesse far bene, invece, questa vittoria rischia di rivelarsi inutile, per la semplice ragione che il centrodestra necessita assolutamente di rinnovarsi. Per farlo ha bisogno di una leadership forte e pulita, specie se ha fatto la “muschittarìa” in Sicilia.
Luciano Mirone
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