Mentre gli inquirenti indagano per far luce sull’incidente stradale occorso nei giorni scorsi all’avvocato Gianluca Manca, fratello di Attilio, e giudice onorario del tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), che con la sua macchina non si è fermato a uno “Stop” travolgendo un ottantenne che transitava con la bicicletta da una strada di campagna, senza prestargli soccorso (i motivi li ha spiegati lui stesso, e parlano di “imperdonabile distrazione”, ma non vogliamo entrare nel merito in quanto lo sta facendo l’Autorità giudiziaria), vogliamo esprimere ciò che di questa vicenda ci ha colpiti maggiormente.

1) La presenza di una telecamera “mobile” che dal balcone di un luogo di campagna riprende tutto: fatto sicuramente casuale ma che, se ci permettete, ci colpisce lo stesso per l’incredibile accidentalità.

2) Nell’’esclusiva” che il 21 novembre il quotidiano online “Messina oggi” ha dato dell’accaduto, campeggia la faccia di Gianluca Manca assieme a quella del sottoscritto. Domanda: di foto che ritraggono un personaggio noto come Gianluca esiste solo questa? Risposta: no, ne esistono a centinaia, basta cercarle su google. Altra domanda: tecnicamente è possibile restringere di qualche millimetro il primo piano solo su Gianluca. Sì, è possibile. E allora perché quella foto è stata pubblicata “al naturale”. Anche in questo caso si potrebbe sbandierare la casualità, la fretta, la scarsa esperienza tecnica, qualsiasi cosa, resta il fatto (grave) di un accostamento che con la vicenda in oggetto non c’azzecca nulla, con il coinvolgimento della privacy, situazioni di cui il direttore e la redazione di “Messina oggi” non possono sconoscere l’implicazione.

La foto pubblicata su “Messina oggi”. Sopra: un’immagine di Gianluca Manca con l’autore di questo articolo

Chiariamo: Gianluca è un amico anche dopo questa brutta esperienza che gli auguriamo di affrontare con serenità anche di fronte alla giustizia, così come auguriamo al pensionato investito di guarire presto dalle fratture che l’impatto gli ha procurato, e alle rispettive famiglie di riprendersi dal trauma, ma…

Ma – per tornare a quella foto – c’è qualcosa che non convince. Nell’articolo non si parla della vicenda di Attilio Manca (la storia probabilmente la conoscete tutti; in caso contrario potete cliccare sul link a destra dell’home page di questo giornale), ma di un incidente stradale che presenta delle conseguenze umane di estrema rilevanza: infatti se è vero che l’investitore (per le motivazioni che lui stesso ha addotto, e che comunque saranno accertate dai magistrati) non presta soccorso alla vittima dopo averla travolta, è anche vero che quella foto è assolutamente fuori contesto. Per la semplice ragione che il sottoscritto, sul caso di Attilio Manca, con il suo libro e con le sue numerose inchieste, ha tirato fuori dei particolari scabrosi che dimostrano una condotta talmente omissiva in quelle indagini (autopsia compresa) da rasentare lo scandalo. E questo ha dato fastidio. Anche perché, sia l’ex boss barcellonese Carmelo D’Amico, sia altri tre pentiti, confermano tutto, parlando non di “suicidio” per overdose di Attilio Manca, ma di “omicidio”, e coinvolgendo la mafia barcellonese, i servizi segreti deviati e certi personaggi della città messinese appartenenti a determinati ambienti. Ecco perché la foto pubblicata su “Messina oggi” potrà anche essere casuale (ognuno è libero di crederci o meno), ma contiene un messaggio subliminale oggettivo che va al di là delle eventuali buone intenzioni dei suoi redattori, in quanto allarga “il campo” su Attilio e rischia – seppur psicologicamente – di sviare l’attenzione sull’argomento principale (l’incidente), creando un gioco di identificazione attraverso chi si è occupato della sua morte.

3) La terza cosa che ci ha colpiti è il commento in calce all’articolo di tale Rosario Pio Cattafi, la ciliegina che completa la torta. Sarcasticamente quel commento dice così: “E se fossero stati i poteri forti o i servizi segreti a fare investire il povero ciclista dall’ineffabile giudice onorario avvocato Manca?”. una frase che è tutta un programma, poiché allarga definitivamente il campo su Attilio, passando dal messaggio subliminale al messaggio esplicito. Ora, noi non conosciamo l’identità del firmatario del commento, in quanto accanto ad esso manca la foto: però un tizio che si chiama così – Rosario Pio Cattafi – è ritenuto dai magistrati (almeno fino ai primi anni del Duemila) l’incontrastato boss di Barcellona Pozzo di Gotto, un uomo capace di parlare alla pari nientemeno che con Nitto Santapaola, di cui ha riciclato i denari sporchi. Addirittura il collaboratore di giustizia D’Amico indica Cattafi come la persona che ha dato l’ordine a un agente dei servizi segreti deviati di uccidere Attilio Manca in quanto  depositario di una verità scomoda in merito all’operazione di cancro alla prostata (2003) alla quale è stato sottoposto il boss Bernardo Provenzano – allora latitante – in quel di Marsiglia. E siccome Provenzano, secondo i carabinieri, ha trascorso un pezzo della sua latitanza a Barcellona Pozzo di Gotto, ed è stato protagonista (secondo i magistrati) della trattativa con pezzi delle istituzioni, Attilio Manca potrebbe essere stato il depositario di un segreto di Stato che potrebbe riguardare la fitta “rete” di protezione del boss nel centro tirrenico, con tanto di nomi e cognomi.

Il cadavere di Attilio Manca fotografato dalla Polizia dopo il ritrovamento

 

Questo commento su “Messina oggi” ci ha colpito molto, in quanto abbiamo subito pensato a “quel” Cattafi. Se è un omonimo chiediamo scusa, ma se dovesse essere il vero Rosario Pio Cattafi, secondo noi non doveva aspettare un evento come questo per uscire allo scoperto. Avrebbe dovuto farlo prima, quando D’Amico lo ha accusato del delitto Manca. Se con quell’omicidio lui non c’entra nulla avrebbe dovuto dirlo, e magari fare un appello commosso ai genitori aiutando la giustizia a trovare la verità. Accanirsi – seppure con ironia – sulle debolezze umane di un ragazzo coinvolto in un brutto incidente stradale, ma provato da anni dalla morte del fratello non è da vero boss (seppure “fino all’inizio del Duemila”). Quando Tano Badalamenti fece ammazzare Impastato si chiuse in un silenzio tombale, malgrado il casino fatto dai compagni di Peppino perfino sotto la sua casa. Egli su quel delitto camuffato da suicidio – un’altra coincidenza – non pronunciò manco una parola. Ora noi non diciamo che Cattafi è colpevole della morte di Attilio (non abbiamo le prove), ma in questo caso – sempre se lo scrivente è il Cattafi che intendiamo noi – ci saremmo aspettati un atteggiamento più consono alla tradizione degli uomini d’onore.

In ogni caso è bene aspettare con serenità l’esito delle indagini sull’incidente stradale, di cui Gianluca – ne siamo certi – saprà sicuramente assumersi le sue responsabilità. Ma per favore giù le mani da Attilio. Sono situazioni completamente diverse, quindi evitiamo strumentalizzazioni.

Luciano Mirone