La paura si chiama Movimento 5 Stelle. E stasera a Catania, nella convention del centrodestra che chiude questa durissima campagna elettorale per le regionali siciliane, Berlusconi ne dà ampia dimostrazione: “E’ gente senza né arte né parte. I parlamentari non hanno mai lavorato, con l’aggravante che sono pauperisti e giustizialisti”. Cosa? Sono giustizialisti perché “credono di essere i più onesti del mondo, e invece non lo sono. Guardate Roma”. E pauperisti? “Il pauperista è quello che dice: il tuo è di tutti, il mio è mio”. Stessa frase che si ripeteva contro i comunisti. Ma da allora sono passati una ventina d’anni.

Ma sono le promesse il piatto forte dell’ex Cavaliere: dal Ponte sullo Stretto all’abolizione delle tasse, fino al vero asso nella manica che il Berlusca tira fuori nel finale: il casinò di Taormina.

Il leader del centrodestra Silvio Berlusconi con il candidato alla presidenza della Regione Sicilia, Nello Musumeci. Sopra: un momento della convention a Catania

E il candidato dei 5 Stelle Giancarlo Cancelleri? “Questo tizio, nella sua città, una volta prese cinquantanove voti. Chi lo deve votare?”. “In questi due giorni – seguita Silvio – dobbiamo andare dappertutto per parlare della violenza di questa gente. Dobbiamo portare a termine questa missione di libertà”. Ovazione.

È un Berlusconi in forma, a dispetto dei suoi ottant’anni (“all’aeroporto Fontanarossa una bella hostess me ne ha dati cinquantanove”), dimagrito, sceso in Sicilia per sostenere l’aspirante governatore del centrodestra Nello Musumeci.

Eppure la paura per i 5 Stelle viene evocata spesso attraverso la loro demonizzazione: “Raccomando a tutti una preghiera alla Patrona della città, Sant’Agata, per aiutare Catania e la Sicilia contro il pericolo di questa gente”. Lo stesso pericolo che vent’anni fa aveva le sembianze dei “rossi”. Stavolta però questa parolina magica non si sente, e neanche la parola “magistrati”. Ci saremmo aspettati un riferimento, una frase, un piccolo aggettivo sulla nuova inchiesta di Firenze, dove si ipotizza che Berlusconi e Dell’Utri siano i mandanti esterni delle stragi del ’93. Invece niente. E neanche un minuscolo cenno alle liste di “impresentabili” che il centrodestra è accusato di aver presentato. E neanche un riferimento al candidato di Forza Italia, Riccardo Pellegrino (fratello di un tizio in galera perché ritenuto dai magistrati organico a Cosa nostra), protagonista l’altra sera nel quartiere di San Cristoforo a Catania per avere inneggiato al figlio del boss Mazzei.

Certo, Musumeci cerca di spazzare tutto con la veemenza delle parole: “Non sarà la malapianta mafiosa a fermarci, e neanche la mala politica”, ma stavolta Silvio non parla né di “pubblici ministeri antropologicamente disturbati”, né di “toghe rosse”, né di “giustizia ad orologeria”. La parole d’ordine sono: silenzio. Sull’indagine relativa alle stragi del ’93 e sui candidati chiacchierati. Strali. Contro i 5 Stelle. Compattezza. Da mostrare sulla coalizione, mentre Salvini parla in un’altra piazza della città. E poi: abolizione delle tasse. Con altra ovazione quando l’ex Cav parla di togliere il bollo di circolazione, di ridurre drasticamente le tariffe aeree da e per la Sicilia, di edificare case, palazzi e ristoranti attraverso una semplice dichiarazione di inizio lavori.

Beppe Grillo e Giancarlo Cancelleri del M5S

Nel teatro delle Ciminiere (“aperto da me negli anni in cui ero presidente della Provincia di Catania”, dichiara orgoglioso Musumeci) gremito in ogni ordine di posti – oltre mille persone, comprese quelle in piedi e sedute sui gradini della sala e della tribuna – sono soltanto in tre a parlare: il deputato europeo Salvo Pogliese, il candidato alla presidenza Nello Musumeci (molto applaudito anche lui, che conferma: “Questa è l’ultima campagna elettorale della mia vita”), e il protagonista indiscusso di questo tiepido pomeriggio del due novembre, il leader e fondatore del centrodestra Silvio Berlusconi, che parla per circa quaranta minuti, al contrario degli altri che di minuti ne “rubano” solo dieci, con una folla di parlamentari nazionali, regionali, consiglieri comunali, e simpatizzanti venuti da diversi centri della provincia ad ammirare Silvio in grande spolvero. Spiccano in prima fila il commissario regionale degli Azzurri, Gianfranco Miccichè, e gli assessori designati Vittorio Sgarbi e Gaetano Armao.

Tanta gente e tante bandiere, ma con un dubbio che serpeggia tra gli aficionados più stretti: “Perché una location così piccola per un leader così grande?” Col senno di poi, il centro congressi delle Ciminiere si rivela insufficiente. Col “senno di prima”, beh… siamo portati a immaginare un entourage preoccupatissimo sia per la folla oceanica accorsa l’altra sera in piazza Università per il comizio di Beppe Grillo, sia per il rischio di vedere degli spazi vuoti nello stesso posto oggi, in occasione dell’intervento del lider maximo del centrodestra.

Sì perché gli “spazi vuoti” sono il vero spettro degli esperti di comunicazione (che da queste parti è il pane quotidiano). Gli “spazi vuoti” hanno la grande capacità di convincere gli indecisi a saltare sul carro di chi quegli spazi li riempie. Meglio quindi andare sul sicuro, riempire un locale infinitamente più piccolo e fare movimento coi cori, con gli inni, con le standing ovation, con le bandiere. Del resto bisogna convincere quel 53 per cento di siciliani che fino a quindici giorni fa hanno dichiarato ai sondaggisti di non volere andare a votare: sono loro che decideranno le sorti della politica siciliana, “la madre di tutte le battaglie” – come dice l’eurodeputato Salvo Pogliese – in vista delle elezioni nazionali. Chi vince in Sicilia vince in Italia. Chi perde in Sicilia rischia di perdersi. Ecco perché siamo al redde rationem, al rendiconto finale, mentre nell’aria aleggiano i fantasmi del passato, a cominciare da quelle parole estrapolate un anno fa in carcere al boss Giuseppe Graviano, che parlano di stragi, di favori reciproci, di ricatti, quando quel fascicolo – chiuso nel 2011 – sembrava archiviato per sempre.

Ecco perché i Cinque Stelle, con il loro “linguaggio odioso, rancoroso e demagogico” (per dirla con Nello Musumeci) fanno paura, ma “noi – è sempre l’aspirante governatore a parlare – non consegneremo mai la Sicilia a questa gente: ce la faremo con l’aiuto di Dio, che è dalla nostra parte”.

Certo, Dio. E poi il Ponte sullo Stretto, e un nuovo Piano Marshall per la Sicilia (“tre, quattro, cinque miliardi di Euro all’anno, come si fece in Italia per la ricostruzione post bellica”), e porti turistici, e aeroporti, e autostrade, e ferrovie per “cancellare i disastri del governo Crocetta, il peggiore presidente della storia della Regione siciliana” e per “eguagliare e superare i luoghi del Mediterraneo che turisticamente hanno superato la Sicilia, Malta, Ibiza, le Baleari”.

Berlusconi assieme all’ex sindaco di Catania, Umberto Scapagnini

E però è strano che un comunicatore straordinario come Berlusconi – a tre giorni da un’elezione fondamentale come questa – ricordi ripetutamente la figura di Umberto Scapagnini, “cosa buona e giusta” dal punto di vista umano in quanto l’ex sindaco del capoluogo etneo è passato a miglior vita da alcuni anni, ma dal punto di vista politico rischia di rivelarsi un boomerang. Scapagnini sarà stato certamente l’ottimo medico che ha previsto all’ex Cavaliere centoventi anni di vita, ma è stato uno dei sindaci che i catanesi rimpiangono meno per i disastri che ha combinato, col risultato di aver lasciato al buio interi quartieri per morosità con l’Enel (tanto per citarne uno). Eppure la figura dell’ex primo cittadino aleggia spesso nella sala congressi delle Ciminiere.

Niente paura. Berlusconi rimedia subito con l’ennesima promessa: il casinò di Taormina. Ed è boato a scena aperta.

Luciano Mirone