“Siamo alternativi a Renzi e al Partito democratico. Stiamo lavorando per ricostruire la sinistra partendo dalla Sinistra europea e dai valori come il lavoro, la pace, l’ambiente, il diritto allo studio e alla casa, l’accoglienza, la solidarietà, l’anti capitalismo. Per promuovere questo progetto è indispensabile una seria autocritica sugli errori del passato, evitando di candidare gente che è stata complice di certe porcherie, a cominciare dal sottoscritto, seguito da D’Alema, Bersani eccetera”.

Non fa sconti neanche a se stesso il segretario di Rifondazione comunista Paolo Ferrero, ministro della Solidarietà dal 2006 al 2008 del secondo governo Prodi, ed attuale vice presidente della Sinistra europea.

Romano Prodi. Sopra: Paolo Ferrero

Per parlare del nuovo progetto politico, parte dalla campagna elettorale siciliana, dove la sinistra (Rifondazione, SI, Art. 1), per la presidenza della Regione, ha presentato un “candidato alternativo” come Claudio Fava, che il 5 novembre dovrà vedersela contro Fabrizio Micari (centrosinistra), Giancarlo Cancelleri (M5S) e Nello Musumeci (centrodestra).

“Adesso si svolta sul serio”, dice Ferrero, mentre si trova a Catania con uno degli esponenti storici della sinistra etnea Mimmo Cosentino, e il giovane candidato all’Assemblea regionale siciliana Alessio Grancagnolo.

“Certo che di errori ne abbiamo fatto…”, afferma. “E dobbiamo ammetterlo: dalla legge Fornero al fiscal compact, fino alla buona scuola. Dobbiamo ricostruire. Per farlo è importante dialogare con chi, a sinistra, si ritiene diverso dal Pd. È fondamentale aprire le porte ai giovani, scegliere i candidati su base locale e senza imposizioni da Roma”.

Ripropone il progetto di Berlinguer?

“Esatto. Quando Enrico diceva di volere essere alternativo alla Dc, qualcuno gli chiedeva: ‘Con chi ti allei?’, e lui rispondeva: ‘Intanto iniziamo’. Ora noi diciamo: intanto iniziamo. Visto che il partito democratico è governato da un democristiano come Renzi, bisogna essere assolutamente alternativi”.

Tocca diversi temi Paolo Ferrero: dall’economia alla candidatura di Fava a Palazzo d’Orleans, fino all’esperienza palermitana con un ex Dc come Leoluca Orlando, per finire con qualche battuta su Pisapia sull’esperienza nel governo Prodi.

Dopodiché cosa farete?

“La sinistra italiana deve collegarsi con quella europea, una realtà consolidata che aspira a diventare alternativa ai governi delle banche”.

Quali sono le vostre proposte?

Enrico Berlinguer

“Per esempio far sì che la Banca centrale europea, così come finanzia le banche private, finanzi il welfare, i lavori di pubblica utilità, l’agricoltura. La moneta della banca centrale deve essere utilizzata per sviluppare lavoro nuovo. Questo produrrebbe milioni di nuovi occupati. Con l’aggiunta di due fatti positivi: un po’ di inflazione in più (l’Europa è a l’inflazione a zero) e una riduzione del valore dell’Euro”.

Perché bisogna ridurre il valore dell’Euro?

“Uno dei problemi del Vecchio Continente è che l’Euro vale troppo rispetto al dollaro. Oggi la partita è: cosa fa la Bce? Continua a finanziare le banche private o si mette a fare le cose che servono per l’occupazione? Noi porteremo avanti questa battaglia”.

La sinistra pensa di uscire dall’Euro?

“Assolutamente no. Noi crediamo nell’Europa. Invece di uscire, diciamo di essere alternativi a questo sistema”.

Anche se c’è un’Europa completamente divisa?

“Se riusciamo a unire l’Europa, diventiamo più grandi della Cina e degli Stati Uniti, con un mercato, una produzione e una moneta molto più potenti di loro. Attualmente siamo deboli rispetto alle multinazionali, perché siamo spezzettati. Se ci uniamo riusciamo ad avere un potere contrattuale incredibile”.

Claudio Fava sta facendo la campagna elettorale con Massimo D’Alema, che da certa sinistra non è poi tanto amato. Pensate di ripartire da D’Alema?

“A noi interessa Fava, che consideriamo l’unica, autentica alternativa a questo Pd e a questa destra impresentabile. Se D’Alema, fra i tanti disastri che ha combinato, ogni tanto fa una cosa di sinistra ci fa piacere”.

Massimo D’Alema

Come vi ponete nei confronti di un ex Dc come il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, che ha sempre privilegiato il dialogo con la sinistra (nella scorsa sindacatura aveva in giunta un vostro esponente: Giusto Catania), ma adesso non ha vostri esponenti in Amministrazione? Come giudicate il suo appoggio a Micari e il suo dialogo con Alfano?

“Beh, Orlando ha anche fatto delle scelte coraggiose: alcuni anni fa appoggiò Azione civile di Ingroia, che era una lista con dei contenuti di sinistra. È ridiventato sindaco in netta rottura col blocco di potere presente alla Regione e al Comune. Su questo piano, Orlando continua ad avere un profilo indiscutibile”.

E oggi?

“Quando pochi mesi fa ha rivinto le elezioni, abbiamo fatto un accordo amministrativo basato sul programma. Che riguarda Palermo, non la Regione o il governo nazionale. Lui ha deciso di non mettere alcun compagno in Giunta e questo penso che sia sbagliato. Se per le regionali ha ritenuto di dialogare con Alfano appoggiando Micari, sono fatti suoi. Se Orlando verrà meno all’accordo di programma sottoscritto con noi, ne prenderemo atto, ma mica possiamo provocare una crisi perché dialoga con altri”.

Però sta dialogando anche con Renzi.

“Libero di farlo. Ma libero anch’io di pensare che bisogna costruire l’alternativa a Renzi”.

Quindi chiude ogni possibilità di dialogo col Pd?

“Con questo Pd nel modo più assoluto”.

E con Pisapia?

“Con Pisapia addirittura la distanza è maggiore. Almeno Orlando al referendum sulla legge elettorale si è schierato per il No. Pisapia ha fatto il contrario. Troppo subordinato a Renzi”.

Durante i governi di centrosinistra, lei è stato fra i ministri a scendere in piazza contro il suo esecutivo.

“Errore. Gli unici ministri a scendere in piazza contro un provvedimento di un governo si chiamano Francesco Rutelli e Clemente Mastella, che parteciparono al Family day contro i Dico. Io non sono andato ad alcuna manifestazione contro il mio governo, ma facemmo un grosso errore: risale al 2003, quando 11 milioni di persone votarono il referendum sull’estensione dello Statuto dei lavoratori. Fu una nostra vittoria. Sbagliammo quando entrammo di nuovo al governo”.

In verità, secondo molti, la crisi della sinistra risale al ‘96, quando dopo due anni, il segretario di Rifondazione comunista fece cadere il primo governo Prodi. Un’azione che ancor oggi si stenta a comprendere.

“Non fu un errore. Allora proponemmo di fare la legge sulle 35 ore settimanali dei lavoratori. In Francia il governo socialista di Jospin l’aveva fatta. In Germania il più grosso sindacato metalmeccanico del Paese stava portando avanti questo progetto. Noi sostenevamo una cosa elementare: se anche l’Italia fa la legge sulle 35 ore, nonostante i Trattati di Maastricht, l’Europa che si costruirà metterà al centro la redistribuzione del lavoro e quindi la riduzione della disoccupazione. Allora Prodi aveva promesso che avrebbe fatto l’accordo. Non lo fece e noi agimmo di conseguenza”.

Luciano Mirone