Ormai in Sicilia è corsa all’accaparramento dell’icona antimafia. Più si avvicina la fatidica data delle elezioni regionali del 5 novembre, più certi cognomi famosi rischiano di diventare lo specchietto per le allodole per nascondere l’impresentabilità di taluni personaggi che ambiscono a un posto all’Assemblea regionale e che sono collocati nelle liste del centrodestra e del centrosinistra. Costoro sono segnalati da tempo dalle Commissioni antimafia che operano sia nel Parlamento nazionale sia in quello regionale, con l’indifferenza dei rispettivi partiti che non hanno adottato gli adeguati provvedimenti.

Fabrizio Micari. Sopra: Nello Musumeci

Tre giorni fa l’aspirante alla presidenza regionale del Partito democratico Fabrizio Micari ha nominato come assessore Franco La Torre, figlio dell’ex segretario siciliano del Pci, Pio La Torre, ucciso dalla mafia a Palermo il 30 aprile 1982.

Ieri il quotidiano La Sicilia – in seguito allo “scandalo Pellegrino”, di cui parleremo nelle righe successive – ha pubblicato un’intervista a Flavia Famà, esponente di Libera e figlia dell’avvocato Serafino Famà, ucciso da Cosa nostra a Catania il 9 novembre 1995, che ha dichiarato: “Sosterrò Musumeci con forza, con il massimo impegno”.

Facciamo un passo indietro. Nei giorni scorsi il vice presidente della commissione parlamentare antimafia Claudio Fava, candidato come governatore della Sicilia per la sinistra di Bersani e D’Alema, ha affermato: “C’è un candidato nella lista di Forza Italia di Catania che sostiene Musumeci, i cui profili di rischio sono elevatissimi ed è Riccardo Pellegrino, capogruppo di Forza Italia a Catania. Non lo conosciamo solo perché è il capogruppo di Fi: è il fratello di Gaetano Pellegrino detto ‘u funciuto’, considerato punto di riferimento del clan dei ‘Carcagnusi’ di Cosa Nostra”.

La risposta di Riccardo Pellegrino non si è fatta attendere. Durante il comizio che l’altra sera ha fatto a San Cristoforo – il quartiere catanese che ha dato i natali a Nitto Santapaola e ad Aldo Ercolano – ha elogiato il familiare di un altro boss molto ‘ntisu in città: Carmelo Mazzei, figlio del capomafia Nuccio Mazzei: “Sì, è vero, le amicizie…”, ha detto Pellegrino. “Non è qui presente davanti a me, ma mi sento doveroso di citarlo, un giovane che ha riscattato il suo quartiere, e lo nomino a voce alta: Carmelo Mazzei”. Segue applauso scrosciante della folla.

Riccardo Pellegrino durante il comizio a San Cristoforo

Il paradosso è che il nome di Pellegrino è stato fatto da tempo (e stigmatizzato ampiamente) anche da Musumeci in qualità di presidente della Commissione antimafia regionale, che oggi se lo ritrova nelle sue liste, dimostrando un’impotenza anche di fronte alla sfida che il capogruppo di Fi al Comune di Catania gli lancia ufficialmente: “Musumeci comanda a casa sua, non nelle liste di Forza Italia”.

La verità è che Pellegrino si fa forte di uno scudo formidabile che gli garantisce Gianfranco Miccichè, ex ministro del governo Berlusconi, e odierno commissario regionale di Forza Italia: “Mi ha aiutato tantissimo il presidente Miccichè, ma anche gli uomini di partito a livello regionale e provinciale”. Chiaro.

Riccardo sa che Miccichè vede Musumeci come il fumo negli occhi e lo ha dimostrato cinque anni fa quando ha fatto saltare il tavolo della coalizione nel momento in cui si è fatto il nome dell’ex presidente della Provincia di Catania come candidato alla presidenza. Allora il centrodestra si è spaccato e ha vinto Crocetta. Lo stesso scenario si è ripetuto quest’estate, ma stavolta con esiti diversi: il commissario di Forza Italia non aveva fatto i conti con i diktat di Giorgia Meloni e di Matteo Salvini che hanno imposto Musumeci perfino al leader nazionale del centrodestra Silvio Berlusconi. Il quale, per tenere unito il fronte in vista delle nazionali del 2018, ha dovuto chinare il capo e farlo chinare a Miccichè.

Il commissario di Forza Italia in Sicilia, Gianfranco Miccichè.

La risposta non è tardata ad arrivare e si è presentata in una tiepida sera di ottobre a San Cristoforo fra palloncini, applausi scroscianti e magliette con la scritta “Pellegrino”. Poche parole e molti segnali che fanno prefigurare una lotta furibonda – non solo sul piano politico, ma anche sulla contrapposizione mafia-antimafia – se Musumeci dovesse diventare presidente della Regione. Una lotta che speriamo non degeneri nell’ingovernabilità, come è successo con i governi Cuffaro, Lombardo e Crocetta che hanno seguito modelli del tutto simili.

Passiamo al Partito democratico di Fabrizio Micari. Ancora Fava: “Un altro candidato che mi preoccupa è Luca Sammartino a Catania, che sostiene il rettore Fabrizio Micari, dato che Gaetano Leone, presidente della municipalità Librino-San Leone e fratello di Lorenzo Leone punto di riferimento del clan Santapaola, sta facendo una campagna a sostegno di Sammartino”.

Le contraddizioni aumentano se si pensa che ad inizio di campagna elettorale, Micari si è fatto un viaggio di quattrocento chilometri per andare ad omaggiare l’editore del quotidiano La Sicilia, Mario Ciancio, da qualche anno alle prese con problemi giudiziari per concorso esterno in associazione mafiosa. Mica roba da poco.

Praticamente dopo gli inciuci alla Regione fra il Pd da un lato e Cuffaro e Lombardo dall’altro (anche loro alle prese con gravi fatti di mafia), i segnali lanciati dal partito di Renzi in Sicilia non sembrano affatto in discontinuità con il recente passato.

Risultato: una Regione che non riesce ad uscire dalla paralisi in tutti i settori della vita pubblica.

E allora, se davvero Micari e Musumeci – entrambe persone oneste e competenti – vogliono davvero voltare pagina, se davvero tengono al bene della Sicilia, come dichiarano, è bene che prendano pubblicamente le distanze da determinati personaggi.

Luciano Mirone