Fino a sentenza passata in giudicato – qualora ci arriveremo – non sappiamo se il sindaco del M5S di Bagheria (Pa), Patrizio Cinque, è colpevole o innocente del reato contestatogli dai magistrati di Termini Imerese che stanno indagando su una vicenda di rifiuti riguardante quel territorio. Quindi fino alla Cassazione non ci interessa trinciare giudizi, anche perché non conosciamo le carte.

Ciò che ci interessa mettere a fuoco sono le condanne tout court dirette non solo al sindaco (ripetiamo, ancora solo sotto inchiesta), ma ad un intero movimento che – col pretesto del sindaco – viene equiparato al sistema guasto di certa politica italiana.

Patrizio Cinque, sindaco di Bagheria (Pa). Sopra: una manifestazione del M5S

Chi scrive, in passato, ha avuto polemiche roventi col M5S (basta fare una piccola ricerca su questo giornale per rendersene conto) che riguardano le dinamiche di democrazia interna che non sempre convincono (vedi ad esempio il caso Genova, dove la base ha scelto un candidato sindaco e Beppe Grillo ne ha imposto un altro), ma di una cosa – sempre chi scrive – è certo: dell’onestà dei suoi leader e della stragrande maggioranza dei suoi iscritti.

Per esprimere meglio questo ragionamento, bisogna spiegare innanzitutto che la responsabilità personale (in questo caso – presunta – del sindaco di Bagheria) prescinde dalla responsabilità del partito o del movimento di appartenenza. Se il componente di una formazione politica sbaglia, la colpa è solo sua, non della formazione politica di cui fa parte. Invece assistiamo allo spettacolo davvero triste della generalizzazione, oggi col caso Cinque, ieri col caso Raggi, l’altro ieri col caso Appendino, che fanno parte sì dei Cinque Stelle, ma che non sono “i” Cinque Stelle.

Chiarito questo, bisogna fare un altro piccolo passo avanti nel ragionamento, distinguendo la “fisiologia” dalla “patologia” di un sistema.

Virginia Raggi, sindaco di Roma

La fisiologia appartiene a tutte le democrazie mature: se ad esempio in Gran Bretagna un ministro è corrotto, non è detto che il suo partito, i vertici dello stesso o addirittura il suo governo lo siano: per dimostrare che la responsabilità è individuale, egli si dimette immediatamente senza condizionare nessuno.

In Italia non è così: il livello di corruzione, di collusione e di ricatto è talmente alto che parlare di “fisiologia” è assolutamente improprio. In questo caso è pertinente la parola “patologia” (malattia).

Se il capo di un partito, il fondatore dello stesso, il presidente del Consiglio, alcuni ministri, alcuni parlamentari, eccetera eccetera eccetera, risultano corrotti o collusi, qual è la terminologia da usare? Indubbiamente patologia.

Dice: ma all’interno ci sono un sacco di persone perbene. Certamente. Ma come si comportano le “persone perbene” quando, per disciplina di partito o di governo o di apparato, devono votare leggi o delibere ingiuste? La risposta la sappiamo. Gli esempi non mancano.

Sul M5S non possiamo dire la stessa cosa, poiché non ci risulta che Grillo, Casaleggio, Di Maio, Di Battista eccetera siano corrotti o collusi, così come non ci risulta che lo siano gli altri componenti del Movimento, a prescindere dall’esito delle indagini di Bagheria o di Vattelappesca; magari sono inesperti, a volte passionali, a volte presuntuosi, ma una legge che premi i ladri non crediamo che ce la rifileranno. Per la semplice ragione che loro, fino a questo momento, rappresentano la fisiologia di un sistema, non la patologia. Ecco perché – sul piano etico – ci sembrano ingiusti gli attacchi furibondi che subiscono quotidianamente.

Luciano Mirone