Le gravissime minacce di morte ricevute dal commissario straordinario Mariagrazia Brandara (immediatamente sotto scorta), appena insediatosi al Comune di Licata (Agrigento) al posto del sindaco anti abusivismo Angelo Candiano, sfiduciato dal Consiglio comunale, fanno riflettere per la violenza con la quale sono state lanciate. In questo caso la guerra non è fra lo Stato e l’antistato, ma fra lo Stato – quel po’ di Stato che ancora vuol fare rispettare la legalità – e la gente comune. La quale con l’acquiescenza e la complicità dell’altro Stato – quello che sull’abusivismo edilizio ha costruito carriere e denaro – oggi reagisce con violenza, perché non vuol perdere la cosa più importante che possiede: la casa.
In Sicilia è così. Succede che un diritto fondamentatale come questo si trasformi in una miscela esplosiva pronta a saltare da un momento all’altro, per la semplice ragione che i diritti, da queste parti, vengono elargiti come favori, spesso come privilegi, in cambio di valanghe di voti che consentono a certi improbabili personaggi di accedere in Parlamento o in Consiglio comunale, dove fanno valere i loro interessi. In Sicilia il partito del cemento è il più forte in assoluto e riesce a condizionare la vita sociale delle nostre comunità.
Chi non è siciliano non sempre può capire. E’ un cancro penetrato nelle teste di migliaia di siciliani difficile, forse impossibile, da estirpare. Anche perché, diciamolo francamente, i tanti cittadini che hanno costruito la casa abusivamente hanno colpa sì, perché non hanno rispettato le regole, ma fino a un certo punto.
Il tizio con la quinta elementare emigrato in Svizzera o quell’altro rimasto in Sicilia che ogni mese mette da parte i soldi per costruire le fondamenta, i pilastri, il solaio, il tetto, la trave e così via, se ne sbatte se nel suo comune il piano regolatore è bloccato perché i consiglieri si stanno scannando sulle aree edificabili, a loro interessa un tetto che possa garantire un’esistenza dignitosa alla famiglia.
Che ne sanno di prg, di piani paesaggistici, di leggi di salvaguardia, di vincoli che dovrebbe essere la politica a rispettare e a fare rispettare? E allora prendono l’unica strada possibile: si rivolgono al sindaco, all’assessore o al consigliere comunale. La pacca sulle spalle, il progetto, il certificato di idoneità statica, la sanatoria e tutto si sistema. Un do un des che ha distrutto la Sicilia.
In quest’Isola intere città sono state costruite così. Città un tempo bellissime che oggi non si riconoscono più, zone costiere devastate da colate di cemento e tollerate anche dalla magistratura.
E per favore, smettiamola di mitizzare quel monumento al cemento costruito sulla spiaggia di Punta Secca, nel ragusano, che è la casa del commissario Montalbano. La tivù di Stato, invece di educare al bello, invece di far capire che il buon gusto non c’entra niente con quell’edificio grigio realizzato a poca distanza dal mare, crea il feticcio attraverso il messaggio subliminale trasmesso al contrario. È così che milioni di persone, poco a poco, si rincoglioniscono e perdono il gusto delle regole e della poesia.
No, non è facile spiegare questo meccanismo infernale a chi ne è fuori. Non è facile spiegare perché un sindaco viene sfiduciato quando le istituzioni si svegliano e decidono di demolire le illegalità che esse stesse hanno consentito. Non è facile spiegare perché un commissario viene minacciato di morte. Non è facile spiegare come bisogna uscirne, e se ne usciremo mai. La politica, prima o poi, dovrà inventarsi qualcosa per disinnescare questa bomba valorizzando contemporaneamente il paesaggio. Un’utopia. Perché quella parola, “politica” (quella cattiva), in Sicilia (e non solo) fa entrare in corto circuito qualsiasi processo di modernizzazione. Forse è il caso di demolire innanzitutto quella.
Luciano Mirone
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