I bambini extracomunitari sbarcavano in Sicilia e dopo un viaggio estenuante fatto di violenze, di soprusi e di sofferenze, trovavano in Sicilia, a Sant’Alfio, in provincia di Catania, altre violenze, altri soprusi, altre sofferenze. Dove? Nelle Comunità dove venivano alloggiati. In compenso i gestori delle stesse ottenevano lauti guadagni attraverso la compiacenza di dipendenti comunali non proprio ligi al dovere. Al centro di questo scandalo, i bambini, sempre e solo loro, vittime innocenti e inconsapevoli delle mostruosità degli adulti.

Un modo perverso di gestire alcune strutture riservate ai minori extracomunitari e italiani. Alla base interessi economici, soprusi, stato di fatiscenza dei locali, soprattutto razzismo. Basta leggere qualche brano delle intercettazioni telefoniche scattate in seguito all’operazione “Camaleonte” condotta questa mattina a Sant’Alfio, un paesino alle pendici dell’Etna, dai carabinieri di Catania e di Giarre, coordinati dalla Procura della Repubblica del capoluogo etneo, che hanno portato a tre arresti , disposti dal Gip, e a dieci indagati, per comprendere come vengono gestiti alcuni centri di accoglienza per minori: “Le mie comunità/tutte queste, sono delle comunità alloggio per minori italiani/lo stato di emergenza mi ha fatto accogliere questi Porci, ci siamo? ma le comunità sono per italiani /quindi, se non si sbrigano ad andarsene a calci in culo a casa… perchè io ho i bambini italiani che aspettano di entrare”; oppure: “Dopo una giornata che sono piedi piedi (in giro) per questi “Gran Zingari e Pezzi di Merda” giusto?”;“può buttare sangue e può morire fracido” (riferito ad un minore straniero).

A questo bisogna aggiungere gli “accordi corruttivi” fra i gestori delle cooperative e circa otto dipendenti operanti fra i Comuni di Catania e di Sant’Alfio. Alle prime luci di questa mattina sono stati arrestati Giovanni Pellizzeri (posto ai domiciliari), nato a Mascali il 25 settembre 1961, per corruzione, falso in atto pubblico e maltrattamenti; il figlio Mario Pellizzeri, nato a Giarre il 4 settembre 1988 (anche lui ai domiciliari) per corruzione e maltrattamenti; e Isabella Vitale, nata a Catania il 26 novembre 1969, alla quale è stata applicata la misura cautelare del divieto di dimora nella provincia di Catania per il reato di maltrattamenti.

Le indagini iniziavano nel 2014, in seguito ad alcuni fatti di violenza segnalati all’interno della cooperativa di accoglienza per minori “Esperanza”, la stessa nella quale l’Organizzazione non governativa “Save the Children ” aveva denunciato nel frattempo “gravi negligenze nella gestione dei minori”.

Da quel momento scattavano le indagini. Attraverso una serie di accertamenti  si individuava il reale amministratore delle cooperative, Giovanni Pellizzeri, che unitamente al figlio Mario e a Isabella Vitale, gestiva complessivamente sei centri di accoglienza tramite due cooperative.

L’inchiesta di polizia giudiziaria confermava “il grave quadro – secondo una definizione del procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro – di maltrattamenti cui erano sottoposti i minori ospiti delle strutture”. Dalle conversazioni intercorse fra i gestori, le parole “zingari” e “porci” (riferite ai bambini stranieri) erano all’ordine del giorno, mentre, sempre secondo quanto emerge dall’indagine, a fronte dei contributi versati dallo Stato per ogni bambino ricoverato, si cercava di risparmiare perfino sull’acquisto dei medicinali: “…I farmaci generici si! Ma no questi qua! Assolutamente no! Per me può buttare sangue…”. Inimmaginabili le carenze sanitarie e strutturali registrate all’interno della struttura, emerge dalle righe del provvedimento.

Le indagini hanno delineato inoltre un quadro di corruzione che aveva come costante punto riferimento un dipendente del Comune di Catania (non attinto da misura perché nel frattempo posto in quiescenza), dietro pagamento di somme di denaro, il quale – secondo la Procura – “inviava con regolarità i minori presso le cooperative del Pellizzeri nella consapevolezza della irregolarità delle stesse, curava la regolarità dei pagamenti in favore dei Pellizzeri, si adoperava per evitare la chiusura delle  comunità, pur consapevole della mancanza di titoli autorizzativi e della presenza di condizioni di accoglienza insostenibili”.

Contemporaneamente si accertava che Pellizzeri aveva ottenuto dall’Ufficio tecnico del Comune di Sant’Alfio un parere positivo per il rilascio dell’autorizzazione, “fondato su palesi falsità materiali ed ideologiche, fatto per il quale è stata richiesta misura interdittiva nei confronti di un dipendente dello stesso Comune”.

Luciano Mirone