Perché la statua di Giovanni Falcone viene danneggiata in una scuola di un quartiere disperato come lo Zen e non in una scuola dell’alta borghesia di viale Libertà? Perché oggi, nella stessa scuola di Palermo, hanno fatto trovare un uccello morto con la testa mozzata? È un avvertimento, un atto vandalico o cos’altro? Non lo sappiamo, né sappiamo se l’avvertimento sia diretto a qualcuno ed eventualmente a chi e perché. Sappiamo che è successo, ed è successo allo Zen.

Il mezzobusto di Giovanni Falcone danneggiato allo Zen. Sopra: Giovanni Falcone

Il ragazzino che a otto anni spaccia, a dieci fa il primo scippo, a quindici la prima rapina e a diciotto il primo omicidio lo trovi allo Zen, mica in viale Libertà. Che lo Zen sia un quartiere pieno di orrendi palazzoni costruiti negli anni Sessanta, senza un minimo di criterio urbanistico, e quindi di identità, come a Librino e a Scampia, è un altro fatto. Che in questi posti di Palermo, di Catania e di Napoli ci siano persone perbene, insegnanti, preti, ragazzini che fanno cose bellissime per riscattare i loro rioni dalla violenza e dal degrado è un altro fatto.

Quartiere Librino a Catania. Il Palazzo di cemento

Ma ciò non toglie che gli episodi gravissimi della rottura del mezzobusto di Falcone e della testa mozzata d’uccello siano successi allo Zen, mentre in altre scuole delle banlieue del Sud ogni giorno si verificano fatti che magari non possiedono la stessa gravità simbolica, ma hanno la stessa matrice sociologica: il furto dell’impianto stereo, la segreteria a soqquadro, l’allagamento dell’istituto, i vetri rotti della presidenza, il danneggiamento della palestra, sono segnali di un disagio che solo se ti rechi in questi quartieri puoi cogliere pienamente, perché dietro a ogni azione c’è una situazione di ignoranza, di povertà, di degrado di cui la politica non si occupa per ignavia o per convenienza. Per ignavia perché non ha la minima idea di ciò che succede al di là delle Aule assembleari. Per convenienza perché l’ignoranza, la povertà e il degrado portano voti.

Eppure c’è un caso eclatante – noi almeno conosciamo solo quello – in cui la politica è riuscita a cambiare per alcuni anni il destino dei quartieri disperati della città. Il caso è quello di Paternò, cinquantamila abitanti in provincia di Catania, dove all’inizio degli anni Novanta i morti ammazzati si contavano a grappoli. Paternò all’epoca registrava il più alto indice di dispersione scolastica d’Europa e un tasso altissimo di vandalismo nelle scuole.

Paternò non è una città grande come Palermo, Catania o Napoli, ma allora possedeva (e in parte possiede ancora) un livello di indigenza e di abbandono simile a quello delle più importanti città meridionali.

Quando Graziella Ligresti nel 1993 si insediò come sindaco – una delle rappresentanti più autorevoli dello straordinario movimento delle “donne sindaco” – capì che per ridare dignità al suo comune bisognava intervenire soprattutto su due fronti: la dispersione scolastica e il risanamento dei quartieri-ghetto.

Graziella Ligresti, ex sindaco di Paternò

Una bestemmia nella città dove il gruppo di potere che aveva spadroneggiato per decenni (consentendo che interi rioni venissero costruiti senza piazze, senza scuole, senza strade asfaltate e senza oratori, ma in compenso con un tasso elevato di criminalità minorile; che le scuole cadessero a pezzi; che gli imprenditori pagassero il “pizzo”) dai bisogni della gente riusciva a ricavare decine di migliaia di voti.

Graziella Ligresti si batté affinché il Consiglio comunale riservasse agli istituti scolastici e ai rioni più degradati le risorse più significative del bilancio. Nel giro di pochi anni il tasso di dispersione e di vandalismo fu azzerato e i quartieri furono risanati.

Paternò non è Palermo, né Napoli, né Catania, nel senso che nelle metropoli l’intervento del Consiglio comunale non è sufficiente se non c’è l’apporto fondamentale dello Stato con delle risorse ingenti da destinare a questi luoghi di nessuno, ma l’esperienza di Paternò ci fa capire che il problema della devianza e della criminalità minorile è politico. Ecco perché per gli ultimi gravi fatti successi allo Zen, dobbiamo guardare in quella direzione.

Luciano Mirone