“Una recente delibera proveniente dal Ministero dichiara il caso Niceta coperto da segreto di Stato. Sembra che le dichiarazioni da lui rilasciate gettino accuse rilevanti sul rapporto occulto tra mafia, massoneria, imprenditoria e politica”.
È tranchant il senatore del Pd Beppe Lumia. Con un’interrogazione diretta al ministro dell’Interno Marco Minniti, il parlamentare palermitano getta ulteriori ombre su uno dei casi più controversi degli ultimi tempi, quello di Angelo Niceta, giunto oggi al trentasettesimo giorno di sciopero della fame per protestare contro la Commissione centrale del ministero dell’Interno che, in seguito alle sue pesanti dichiarazioni sui rapporti fra mafia, politica e imprenditoria, è stato abbandonato dallo Stato. Nello stretto giro di poche ore, il deputato ex Pd, oggi segretario del gruppo parlamentare “Possibile”, Pippo Civati, sempre sul caso Niceta ha presentato un appello al presidente della Repubblica Sergio Mattarella e allo stesso Minniti, accusando di “dissennatezza” il ministero dell’Interno nel modo di gestire i collaboratori e i testimoni di giustizia.
Il fatto singolare è che di fronte alle precedenti interrogazioni presentate nei giorni scorsi dall’on. Erasmo Palazzotto di Sinistra italiana e dai senatori del Movimento 5 Stelle Bottici, Giarrusso, Moronese, Donno, Airola, Montevecchi, Buccarella, Endrizzi e Cappelletti, né il prefetto di Palermo, né il ministro dell’Interno hanno dato segnali per una risoluzione concreta del problema.
Lumia – nella sua interrogazione – fa una disamina sul caso Niceta, partendo dai motivi che, un anno e mezzo fa, hanno portato Angelo a raccontare ai magistrati Nino Di Matteo e Pierangelo Padova certi inconfessabili retroscena finiti nel processo Trattativa.
“Angelo Niceta – scrive Lumia – è discendente di una storica famiglia della borghesia commerciale palermitana che opera nel settore del tessile; dal giugno 2017 ha cominciato uno sciopero della fame che lo sta debilitando e riducendo in gravi condizioni di salute. Circa un anno e mezzo fa – prosegue il senatore palermitano – aveva deciso di andare contro la propria famiglia, denunciando possibili collegamenti dei suoi stessi familiari con la mafia, ovvero con i più alti esponenti di Cosa nostra tra cui Bernardo Provenzano, i fratelli Guttadauro, il latitante Matteo Messina Denaro, le famiglie Scaduto e Graviano”.
Il parlamentare del Pd ricorda che Niceta “ha deposto inoltre al processo sulla trattativa Stato-mafia, acquisendo per tali ragioni lo status di testimone di giustizia, chiesto nel 2015 dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo su proposta dei pubblici ministeri Nino Di Matteo e Pierangelo Padova”.
Il problema – seguita Lumia – è che ad oggi Niceta gira libero per Palermo, senza alcuna protezione. Come emerge infatti da numerose notizie di stampa, “inspiegabilmente, la commissione centrale del ministero dell’Interno ha inserito Niceta tra i collaboratori di giustizia, che qualifica i soggetti interni all’organizzazione criminale che forniscono notizie in cambio di benefici processuali, sebbene all’imprenditore palermitano non sia mai stato contestato alcun tipo di reato legato alla mafia”.
Ma l’affondo, Lumia lo riserva quando parla di una “recente delibera proveniente dal ministero” in cui si dichiara che il caso Niceta è “coperto dal segreto di Stato”, anche per le “accuse rilevanti sul rapporto occulto tra mafia, massoneria, imprenditoria e politica”. Di quale “segreto di Stato” si tratta? Cosa contiene la delibera del ministero? Perché di fronte a una situazione così eclatante, il governo si dimostra così riluttante?
“Nonostante ciò – dice ancora Lumia – Niceta e la sua famiglia (moglie e 4 figli) rischiano di essere lasciati soli e senza quelle garanzie di tutela, sia sul piano della sicurezza che sul piano economico, previste per i testimoni di giustizia. Angelo Niceta, ad oggi, non ha un lavoro, vive sotto la soglia di povertà, e sopravvive grazie al contributo di alcune persone. Angelo Niceta – dichiara ancora il senatore del Pd – chiede che lo Stato rispetti le leggi, garantendogli quelle misure di protezione previste in questi casi e attribuendogli lo status di testimone e non di collaboratore di giustizia”.
Per questo Lumia chiede al ministro dell’Interno “come venga valutata la discrepanza tra il parere della Dda di Palermo, che riconosce la qualità di testimone di giustizia e quello della Commissione centrale che invece classifica Angelo Niceta come collaboratore”, ed inoltre se “intende rivalutare lo status di Niceta alla luce di un’ulteriore istruttoria che richiami il parere della Dda di Palermo, al fine di concertare una sola e convergente valutazione”.
Sulla vicenda, come detto, è intervenuto anche il deputato del Pd Pippo Civati con un appello al presidente Mattarella e al ministro Minniti: “In queste ore – scrive il parlamentare – Angelo Niceta è al trentaseiesimo giorno di sciopero della fame. La sua storia è, ancora una volta, quella di un uomo che ha coraggiosamente deciso di denunciare affari mafiosi (in questo caso andando anche contro alcuni componenti della sua famiglia) e si è ritrovato senza protezione e senza supporto da parte delle istituzioni”.
“Solo due giorni fa – prosegue Civati – il Procuratore di Palermo Lo Voi e il PG Roberto Scarpinato hanno provveduto a inoltrare una nuova richiesta di ammissione al programma speciali misure di protezione in qualità di Testimone di Giustizia per Niceta, nonostante nei mesi scorsi Niceta si sia ‘ritrovato’ inspiegabilmente inquadrato come collaboratore di giustizia”.
Poi un’accusa precisa contro il governo: “È l’ennesimo caso – dice uno dei leader del Pd – di una gestione dissennata da parte del ministero dell’Interno che, sui testimoni di giustizia come per i collaboratori, sta dimostrando un allarmante disinteresse che, mai come oggi, sta allarmando e sfiduciando chi si assume le responsabilità di denunciare”.
Civati dichiara ancora: “Chiediamo che chi di dovere si mobiliti quanto prima per ripristinare la sicurezza a Angelo Niceta e che questo possa essere il primo passo di una nuova sensibilità e attenzione per un tema che non ha bisogno né di retorica né di proclami ma di azioni e risposte che siano concrete e veloci”.
“Non ci può essere quella ‘rivoluzione culturale contro la mafia’ – conclude il deputato – che auspicava Paolo Borsellino in un Paese che non ha cura di chi si espone in prima persona affidando la propria vita e i propri affetti allo Stato. Ora davvero è arrivato il tempo di alzare la voce, senza tentennamenti, e chiedendo un cambio di passo che non è più rimandabile”
Luciano Mirone
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