Su una cosa possiamo essere d’accordo, a prescindere da come la si pensi sulla Cassazione che ipotizza una “morte dignitosa” per Totò Riina nel talamo nuziale della sua Corleone: è l’indignazione che in questi giorni sta attraversando il Paese. Se c’è un merito da dare al super boss corleonese è quello di avere unito una Nazione che di solito si spacca su tutto. Le gesta di “Totò ‘u curtu” sono state talmente crudeli, talmente disumane, talmente barbare da avere indotto molta gente a reagire con rabbia contro “lo Stato”.
L’indignazione e il disprezzo che gli italiani nutrono nei confronti di Riina sono inversamente proporzionali all’amore e al ricordo che essi nutrono nei confronti delle tante vittime di mafia, di cui Falcone e Borsellino – nell’ultimo quarto di secolo – sono i simboli più tangibili.
Le stragi di Capaci e di via D’Amelio sono state così dirompenti, così disumane, così traumatiche da aver creato “memoria” sia in “chi c’era”, sia in chi non c’era, le nuove generazioni che nelle scuole, nei cortei e nelle assemblee si rifanno alle figure dei due magistrati anche quando parlano di valori come l’etica, la questione morale, la giustizia sociale e tanto altro.
Ecco perché il 23 maggio e il 19 luglio sono date che ormai fanno parte del patrimonio culturale e morale di questo Paese, come il 25 aprile e il 2 giugno. E sono date che – più di quanto si possa credere – sono scolpite nella coscienza di tantissima gente per la dirompenza che evocano.
Ma c’è un altro punto che – a nostro avviso – andrebbe approfondito. Perché la stessa indignazione non si crea quando si parla di quei politici che con la mafia ci sono andati a braccetto e che grazie alla mafia hanno sempre occupato posizioni di vertice nei posti più importanti della Nazione? Due nomi su tutti: Andreotti e Berlusconi (per citare quelli che per decenni hanno determinato i destini di questo Paese). Perché questi due uomini hanno diviso gli italiani, invece di unirli in un coro di indignazione e di rabbia? Sono più responsabili i due ex presidenti del Consiglio che con le loro leggi, le loro amicizie, i loro messaggi hanno creato le condizioni politiche perché la mafia prosperasse, o Totò Riina che, grazie a quelle condizioni, ha organizzato stragi e omicidi? E’ giusto che l’ultranovantenne Andreotti sia morto “dignitosamente” a casa sua, o che l’ultraottantenne Berlusconi partecipi tranquillamente alla vita politica del nostro Paese, mentre Riina deve marcire in carcere?
Sono domande che tirano in ballo soprattutto la nostra coscienza. Ognuno di noi, quando è da solo, si interroghi se con il suo voto, la sua acquiescenza, il suo silenzio ha contribuito o meno a creare tutto questo.
Luciano Mirone
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