Si oppone addirittura ai docenti dell’Università di Bari e ai ricercatori del Cnr. Per lui gli ulivi del Salento non sono malati di Xylella, ma di un complesso di cause che si riassumono in una sola parola: speculazione. Per questo modo di mettere in discussione “il dogma”, lo hanno definito il “Santone”. Del resto, come si permette un agricoltore che da sempre ha a che fare con gli ulivi della sua Terra a mettere in dubbio le dotte teorie espresse da fior di professori e di ricercatori? Ivano Gioffreda lotta da sempre, “con fierezza e con orgoglio” (come tiene a sottolineare) per i suoi ulivi (che chiama pure per nome e che abbraccia uno ad uno come se fossero suoi fratelli, al punto che, con quella scorza e quella generosità da contadino meridionale, ha finito per somigliagli un po’), organizza manifestazioni di protesta, batte la Puglia palmo a palmo per spiegare alla gente che non è la Xylella il vero killer degli ulivi millenari, ma ben altro.

Ivano Gioffreda con un agricoltore del Salento, sotto un secolare albero di ulivo e uno striscione dove c’è scritto: “Resistenza”Sopra: Ivano Gioffreda

Ivano, in cosa consiste questa battaglia?

“Nel salvaguardare il nostro territorio. Espiantare questi ulivi millenari significa distruggere un paesaggio che per noi è tutto. Per noi l’ulivo rappresenta un patrimonio culturale profondo tramandato di generazione in generazione da millenni”.

Tu contesti le ricerche che stabiliscono la nocività della Xylella negli ulivi del Salento attraverso la tua esperienza di agricoltore. Perché?

“Fin da subito ho fatto degli esperimenti empirici sul territorio: alcuni sono andate bene, altri no. Quelli che sono andati male, mi sono serviti per capire quale cura è necessaria. Ho scoperto che le arature profonde e le capitozzature sono deleterie per le piante”.

Sì, ma la Xylella c’è o no?

“La Xylella c’è, ma empiricamente posso dire che la causa principale del disseccamento è costituita dai funghi: nel momento in cui si feriscono le radici o la pianta, e quelle ferite non vengono rimarginate, chiuse o disinfettate, subentra l’infezione e successivamente la pianta secca. Le mie sperimentazioni sono servite a questo. Per quanto mi riguarda, ho degli alberi che stanno benissimo, con un bellissimo carico di olive”.

Cosa contesti concretamente?

“Il Salento è stato considerato dall’Osservatorio fitosanitario ‘zona infetta’, zona morta: per loro la Xylella sta ovunque. Non è così. Questo contrasta con le loro stesse tesi: i 211 ulivi estirpati per realizzare il gasdotto della Tap sono stati analizzati. Il batterio della Xylella è stato trovato solo in quattro alberi. Dai loro dati risulta che non tutti gli alberi (anche quelli che dimostrano disseccamento) hanno la presenza del batterio”.

E quindi?

“E quindi fate voi… Inizialmente questa malattia l’hanno definita Codiro (che vuol dire “Complesso del disseccamento rapido” dell’ulivo), una patologia attribuita ad un insieme di fattori. A questo bisogna aggiungere che il problema dei funghi è stato nascosto per diverso tempo. E però anche quest’ultimo fenomeno presenta una contraddizione: nel 2014 l’ex direttore dell’Osservatorio fitosanitario Antonio Guario affermò sulle colonne della ‘Gazzetta del Mezzogiorno’ che ad uccidere gli ulivi sono proprio i funghi. Poi hanno ritirato tutto e hanno messo avanti questa storia della Xylella”.

Un ulivo millenario

Perché?

“Perché la Xylella è inserita nella lista numero uno dei patogeni più pericolosi pei i quali si prevede l’eradicazione degli alberi. Mentre per i funghi non è previsto lo spiantamento, per la Xylella sì, perché la Xylemma si presta a speculazioni. Le associazioni di categoria (Coldiretti, Confagricoltura, Cia), invece di tutelare il paesaggio, agevolando una ricerca a trecentosessanta gradi, hanno sempre sostenuto che i nostri ulivi non sono più produttivi, che seccheranno tutti e che quindi bisogna andare verso l’intensivo e il super intensivo. Queste associazioni di categoria (principalmente Coldiretti) hanno depauperato il Mezzogiorno”.

Come si forma questo fungo nella pianta?

“Attraverso la linfa ostruisce i vasi e impedisce all’acqua di dare nutrimento alla pianta, che comincia a seccare. Quindi basta una semplice ferita (alle radici o sulla pianta anche attraverso una semplice potatura), per far sì che il ‘verticillum’, un fungo presente da decenni nel terreno, nei pomodori, nelle patate, nei peperoni, passi alla pianta”.

Come si infetta un terreno?

“L’agricoltura intensiva ha fatto dei danni enormi a questa terra, i funghi trovano l’habitat ideale in un terreno batteriologicamente morto”.

Parli di “sperimentazioni empiriche”.

“Vuol dire che non hanno una valenza scientifica. Non abbiamo avuto la possibilità di essere accompagnati dall’Università in questa sperimentazione: la Regione ha pensato di bloccare la ricerca al solo Ateneo di Bari, al Consiglio nazionale delle ricerche e a un Istituto privato. Fin dall’inizio abbiamo chiesto a gran voce di allargare la ricerca a trecentosessanta gradi. Poi è arrivato il governo Renzi che nel luglio 2015, attraverso il ministro Martina, vietato di movimentare il materiale infetto. Questo ha impedito ad altre Università di portare avanti la ricerca”.

Cos’è il “divieto di movimentazione del materiale infetto”?

“Per fare le analisi sugli ulivi, basta prelevare dei rami o dei pezzetti di legno, trasportarli nelle varie Università ed isolare eventuali patogeni presenti sulla pianta. Questo è stato vietato, come detto, a causa di due decreti del ministro Martina. A quel punto la ricerca è stata chiusa al solito team di Bari. L’opinione pubblica deve sapere che tutte le analisi vengono effettuate in un unico laboratorio privato dove c’è un confitto d’interessi che noi abbiamo denunciato. Praticamente hanno concentrato tutti i fondi della ricerca a un solo pool di studiosi: Cnr, Università di Bari, Istituto agronomo del Mediterraneo (Iam) e Istituto ‘Basile-Caramia’ di Locorotondo”.

Cos’è che non va bene?

“Bisogna allargare la ricerca. Dopo quattro anni poche persone gestiscono i milioni di Euro della ricerca”.

Un albero considerato infetto e segnato con lo spray

Che interesse avrebbe l’Università di Bari a non fare una ricerca obiettiva?

“Concentrando i fondi in quella Università e negli Istituti che abbiamo citato, la ricerca non è libera. Loro dicono che è la Xylella a far seccare gli alberi, ma non c’è una base scientifica che lo attesta”.

L’Ateneo di Bari è prestigioso a livello nazionale. Anche il Cnr è una istituzione autorevole.

“Allo stato non c’è una pubblicazione scientifica che attesti che la Xylella sia la causa dell’essiccamento degli alberi. Oltretutto, fin dall’inizio, loro non si sono concentrati sulle cause del disseccamento, ma sulle varietà da sostituire, cominciando a proporre impianti intensivi e varietà alternative come la Favolosa e il Leccino. Il fine è quello di stravolgere questo territorio portando avanti il progetto di industrializzare di tutta l’agricoltura”.

Il progetto di industrializzazione non conviene agli agricoltori pugliesi?

“No. E’ questo l’assurdo. Sto girando in lungo e in largo il Salento per spiegare agli agricoltori che è la truffa più grande del terzo millennio. Noi italiani se abbracciamo l’agricoltura industriale, quindi la coltivazione intensiva, non saremo mai competitivi: l’olio che andremmo a immettere sul mercato, sarebbe lo stesso che produce la Spagna, la Tunisia, il Portogallo, la Grecia. Noi abbiamo la possibilità di competere con la qualità dei nostri prodotti, come ad esempio si sta cominciando a fare in Sicilia coi grani antichi. L’impianto intensivo ha bisogno di molta acqua, e noi abbiamo un territorio carsico; e poi necessiterebbe di parecchi insetticidi. La stessa Fao (Food and agriculture organization) dice che l’agricoltura industriale è fallita”.

È vero che gli ulivi del Salento, essendo altissimi ed avendo una chioma molto folta, presentano delle difficoltà di coltivazione?

“Noi abbiamo degli ulivi monumentali che producono un olio di eccellenza. Al nostro olio dobbiamo dare un valore aggiunto, che è quello del paesaggio, della nostra cultura. Questo prodotto non è stato mai valorizzato come merita, sia dal punto di vista qualitativo (lo dicono i consumatori e i grandi premi internazionali che abbiamo ricevuto), sia dal punto di vista culturale: un ulivo di cinquecento o di mille anni non può avere lo stesso valore di un olio commerciale”.

Perché è un prodotto migliore?

“Perché è un prodotto a drupa piccola, non ha bisogno di trattamenti chimici, non necessita di grandi risorse idriche e di insetticidi, dunque è un prodotto più genuino, con degli anti ossidanti che altri oli non hanno”.

Luciano Mirone