Quando in una città muore la squadra di calcio – che con la sua storia iniziata nella metà del secolo scorso ha popolato i sogni di intere generazioni – muore indubbiamente un pezzo di città. Ma quando tutto questo succede nell’indifferenza generale, è la stessa città ad essere morta, non solo la squadra.

Dopo la fine delle due banche locali, la demolizione del cinema Eden, la chiusura del cinema Caudullo (un locale che sta cadendo a pezzi malgrado l’acquisto, molti anni fa, da parte del Comune), l’eliminazione scientifica del “Lennon Festival”, la perdita della farmacia comunale e di altri infiniti pezzi di cui abbiamo perso il conto, oggi il “de profundis tocca” al Club Calcio Belpasso, per il quale – ai debiti e alla retrocessione dall’Eccellenza alla Promozione – si è aggiunto lo sfratto dalla sede storica di piazza Umberto, dove nel 1980 erano confluite le due gloriose società più antiche, l’Unione sportiva Belpasso e la Polisportiva Belpassese.

Andare a cercare le responsabilità di questo ennesimo epilogo non ha senso (anche perché ci risulta che il presidente Corrado Minervini abbia profuso molti sforzi per salvare il salvabile), cercare di capire perché a Belpasso succede tutto questo, forse è più logico.

Se una comunità perde progressivamente le piccole e grandi conquiste che i Padri nobili hanno ottenuto nel corso dei secoli, vuol dire che qualcosa sta accadendo. Se i cittadini non se ne rendono conto, il fatto deve far riflettere. Se non trovano i rimedi, la situazione è grave. Secondo noi Belpasso ha consumato tutti e tre i passaggi, fino ad arrivare ad una situazione grave.

Avete presente il Titanic quando affonda e nel frattempo l’orchestra suona e la gente continua a ballare allegramente? A Belpasso succede questo: fortunatamente di morti non ce ne sono, ma la morte c’è, invisibile, lenta e asintomatica, ma c’è, ed è quella dell’anima, della coscienza civica, dell’identità. In poche parole: Belpasso – specie dopo l’avvento del centro commerciale Etnapolis – diventa sempre più un paese dormitorio e tutti fanno finta di niente.

Se la metafora del Titanic non piace, non possiamo farci niente: non riusciamo a trovare di meglio.

Qualcuno può spiegare cosa è successo quando sono stati “svenduti” i due istituti di credito considerati il “fiore all’occhiello” della città? Qualcuno può spiegare cosa è successo quando uno di questi Istituti – la Banca popolare di Belpasso – è diventato feudo del “Malpassoto” Giuseppe Pulvirenti? Qualcuno può spiegare perché lo stesso Pulvirenti è stato tollerato, rispettato e ossequiato per vent’anni, mentre chi si è opposto alla cultura mafiosa non è stato tollerato ed è stato isolato? Qualcuno può spiegare cosa è successo quando certi uomini politici – per i loro interessi – hanno fatto il “sacco” del centro storico attraverso la demolizione indiscriminata dei manufatti più belli e significativi e hanno favorito l’abusivismo edilizio mediante una estesa cementificazione selvaggia del territorio? Qualcuno può spiegare perché – anche in questo caso – si è fatto di tutto per isolare chi ha combattuto questo scempio? Qualcuno può spiegare perché da decenni è in corso una “desertificazione urbana” in via Roma, alla villa comunale e in via Vittorio Emanuele, che porta soprattutto i giovani ad evadere dal loro paese? Qualcuno può spiegare perché se un giornalista che va a presentare il suo libro a Belpasso, e scrive su facebook di aver trovato un paese “addormentato”, deve essere volgarmente insultato da alcuni soggetti che si sentono “offesi” per una verità che sta sotto gli occhi di tutti? Qualcuno può spiegare perché certi amministratori si sentono autorizzati a usare un linguaggio violento contro chi denuncia certe storture?

Tutte queste domande sono figlie di una crisi di valori e della fine della politica, che da decenni attanaglia questa cittadina dove le migliori potenzialità vengono mortificate e la mediocrità viene premiata. Fino a quando l’orchestra continuerà a suonare e la gente continuerà a ballare, senza rendersi conto che la nave sta affondando, non c’è da essere ottimisti. La fine del calcio, in fondo, è solo un segnale.

Luciano Mirone