È vero che dopo le stragi del ’92-’93 e la reazione dello Stato che culminò nell’arresto dei latitanti più pericolosi del mondo (a cominciare da Riina, Santapaola e Provenzano), protetti per quarant’anni dalla parte deviata delle istituzioni, la mafia è stata sconfitta?

È questa, forse, “la madre di tutte le domande” da porre venticinque anni dopo la terribile strage di Capaci che il 23 maggio 1992 fece a pezzi la vita e le idee di Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo, e degli gli agenti della scorta, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani.

L’immagine della strage di Capaci (foto LUCIANO DEL CASTILLO) . Sopra: il giudice Giovanni Falcone

Questo giornale porrà questo ed altri quesiti domenica 21 maggio, alle 19,30 a Belpasso – organizzatrice dell’evento: l’associazione Antimafia e legalità – presso il salone di Palazzo Bufali, al procuratore di Messina Sebastiano Ardita, all’avvocato Enzo Guarnera, all’imprenditore Salvatore Fiore, alla storica esponente del mondo del volontariato Graziella Ligresti, diventata sindaca di Paternò alcuni mesi dopo Capaci e via D’Amelio. Il dibattito sarà preceduto (ore 18) dalla proiezione del bellissimo film di Pif, “La mafia uccide solo d’estate”.

Una riflessione utilissima per capire cosa è cambiato in quest’ultimo quarto di secolo, se Cosa nostra è stata annientata o si è solo inabissata in attesa di riemergere, se il super latitante Matteo Messina Denaro non viene catturato per la sua grande abilità nel nascondersi, nel camuffarsi, nel trovare complicità nel suo territorio (Castelvetrano, in provincia di Trapani), oppure per precise responsabilità da parte dello Stato che – come è successo con i suoi predecessori – non vuole acciuffarlo per i suoi legami con pezzi importanti di esso, che hanno riguardato anche il padre di costui, depositario, come il figlio, dei tanti segreti dell’Italia repubblicana: dalla strage di Portella della Ginestra a quelle degli anni Novanta.

E ancora: in quali altre regioni italiane si sono spostati gli interessi mafiosi, qual è il ruolo di Cosa nostra, della ‘ndrangheta calabrese, della camorra napoletana, della Sacra corona unita pugliese nella formazione dei nuovi assetti criminali e nei nuovi affari che riguardano soprattutto il settore dei rifiuti e del traffico di esseri umani? Che ruolo svolge la massoneria deviata nei nuovi equilibri del potere? Perché il caso dell’urologo di Barcellona Pozzo di Gotto, Attilio Manca, viene liquidato dai magistrati di Viterbo come un suicidio per overdose di eroina e non come un omicidio di mafia – così come confermato da ben quattro pentiti – legato all’operazione di cancro alla prostata al quale, nel 2003, si sottopose a Marsiglia, Bernardo Provenzano? Perché l’attuale ministro della Giustizia Andrea Orlando – sempre a proposito del caso Manca, senza averne le prove – ha sposato la tesi del suicidio per droga e non ha approfondito la vicenda? Perché un maresciallo dei carabinieri come Saverio Masi – grande accusatore dei suoi superiori perché, a suo avviso, gli avrebbero posto degli ostacoli nel catturare Provenzano e Messina Denaro, “sul punto di catturare” – viene lasciato solo dalle istituzioni? Dopo la condanna di Dell’Utri, di Cuffaro, di Cosentino chi sono i nuovi referenti della mafia? Perché il piduista Berlusconi – con i reati per i quali è stato accusato – non è mai finito in galera? Perché Andreotti ha avuto lo stesso destino? Perché per fare piazza pulita di certi personaggi risultati collusi con la crimininalità organizzata (l’ultimo caso clamoroso, quello del senatore trapanese Antonio D’Alì, al soggiorno obbligato in quanto ritenuto “socialmente pericoloso”) i partiti aspettano i tempi della giustizia, senza mettere al centro del loro operato la questione morale e l’etica? Per il sen. D’Alì, per esempio, era stata provata la sua collusione con Matteo Messina Denaro, ma fino al ’94: da allora il reato è caduto in prescrizione, quindi D’Alì è stato libero di fare politica per tanti anni. Perché un boss – ritenuto tale fino al 2000 – come il barcellonese Rosario Pio Cattafi, avvocato e, secondo i magistrati, riciclatore del clan Santapaola, coinvolto nell’omicidio del magistrato torinese Bruno Caccia, ritenuto per qualche tempo (successivamente la sua posizione è stata archiviata assieme a quella di Marcello Dell’Utri e di Silvio Berlusconi) uno dei mandanti esterni della strage di Capaci, è uscito dal carcere e gira liberamente nella sua città ossequiato da tutti, malgrado le confessioni del collaboratore di giustizia Carmelo D’Amico che lo indica come “il mandante dell’omicidio di Attilio Manca”?

Cos’è oggi l’antimafia e chi sono i nuovi professionisti dell’antimafia? Ma una domanda – nel corso del dibattito – la porremo senz’altro: quali sono i nuovi modelli culturali, economici e politici alternativi a quelli che abbiamo avuto finora? Come possiamo coltivare concretamente la speranza?

Luciano Mirone