Qualcuno si è scandalizzato, altri lo hanno considerato un gesto populista, sarà… Ma per noi l’urlo del sindaco di Messina, Renato Accorinti, contro Trump è stato formidabile, “Trump peace, no war”, Trump pace, no guerra, un urlo pronunciato non dal pacifista che contemporaneamente sfila nella vicina Giardini Naxos, ma dal sindaco verso l’uomo più potente della Terra, mentre il primo cittadino indossa una maglietta con la scritta “We welcome migrants, we are all migrants”, Accogliamo migranti, siamo tutti migranti.
Pensatela come volete, ma per noi è stata la cosa più rivoluzionaria, più trasgressiva, più genuina che abbiamo visto al G7 di Taormina, un vertice conclusosi con il nulla di fatto che tutti si aspettavano, soprattutto sul cambiamento climatico. Vedere un’autorità che durante una cerimonia ufficiale – il concerto della Filarmonica di Milano – in mezzo ad altre autorità compassate ed ingessate nel loro ruolo, e per giunta al cospetto dei sette potenti della Terra, sale su un trespolo e sfida beffardamente quello che di solito con arroganza e cinismo si fa beffa degli altri, e lo supera con le armi della non violenza e dell’autenticità, lo coglie di sorpresa e con quell’inglese maccheronico gli urla quattro semplici ma bellissime parole, Trump-peace-no-war, e le ripete, Trump-peace-no-war, e poi ancora per altri interminabili secondi, Trump-peace-no-war, con gli uomini della Digos che con imbarazzo e bonomia cercano di convincerlo, “Renato per favore” (così lo chiamano) a fare “l’autorità” e non il pacifista, è una cosa che ti riempie di compiacimento e anche di orgoglio, che ti porta a stare da una parte, perché quelle quattro parole pronunciate in uno dei luoghi più civili, più belli, più incantevoli del mondo si caricano di un simbolismo straordinario e dicono al mondo intero che laggiù, nella lontana Sicilia, l’accoglienza, la pace, la democrazia sono valori altissimi per i quali ci sono stati uomini che si sono fatti trucidare. L’urlo di Accorinti ha questo significato, e va al di là della guerra. In questo caso la parola chiave è “peace”. Per la povertà, per i migranti, per la natura, per i diversi. Ed è un messaggio che ci coinvolge, perché è urlato con passione, quella passione che dovrebbe contaminare la politica per essere più umana.
Luciano Mirone
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