Perché il quotidiano online livesicilia – attraverso la penna del giornalista Roberto Puglisi – nei giorni scorsi ha attaccato pesantemente Salvatore Borsellino, fratello del magistrato trucidato in via D’Amelio il 19 luglio 1992? Per il quotidiano siciliano fondato da Francesco Foresta, Salvatore Borsellino (ospite dell’ex magistrato Luigi De Magistris, oggi sindaco di Napoli, attaccato furiosamente anche lui) sarebbe “colpevole” di un peccato imperdonabile: aver pronunciato, al cospetto del folto pubblico napoletano, la seguente frase: “Dovete essere vicini al vostro sindaco. Quando era pm e gli hanno tolto le inchieste, è come se lo avessero ucciso. Luigi è un altro pm morto”. Cosa c’è di così grave in questa locuzione è un mistero.

Paolo Borsellino. Sopra: Salvatore Borsellino e Luigi De Magistris

Il riferimento del leader delle Agende rosse è alle inchieste condotte da De Magistris che, quando era magistrato in Calabria, squarciò il velo sui legami mafia-politica-affari-massoneria, una indagine che lo portò all’isolamento e al conseguente impegno in politica come sindaco di Napoli, ruolo che secondo noi sta svolgendo egregiamente.

Senonché la locuzione di Salvatore è stata definita “incauta” dal giornale diretto dall’ex dipendente di Mediaset, Giuseppe Sottile (padre di Salvo), per l’”improvvido accostamento” fra Paolo Borsellino e Luigi De Magistris (nell’articolo definito “Giggino”), “due figure talmente lontane – a giudizio di livesicilia – da far apparire surreale ogni ipotesi di vicinanza”. E poi la domanda: “Quando finirà lo show delle agende rosse?”.

Quando tre anni fa Salvatore Borsellino – in occasione dell’anniversario della morte di Paolo – abbracciò Massimo Ciancimino in una via D’Amelio colma di persone, lo criticai pubblicamente: non per l’abbraccio che lui, sul piano personale aveva il diritto di fare, ma per il fatto che non tutti i componenti del movimento antimafia si identificavano in quel gesto: la figura di Massimo, che piaccia o no, spacca l’opinione pubblica, malgrado il prezioso apporto dato al processo Trattativa.  E siccome Salvatore è un saldo punto di riferimento da tanti anni, avrebbe dovuto tener conto delle idee di chi, anche in buona fede, non la pensa come lui.

Questo pensavo e questo scrissi affettuosamente su facebook. Non so se Salvatore ha mai letto quel post, so però che il suo atteggiamento nei confronti del sottoscritto, leale era prima e leale è rimasto dopo.

La prima pagina del Corriere della sera sulla strage di via D’Amelio

Un anno fa lo invitammo per parlare delle stragi del 1992-93, della Trattativa e della morte di suo fratello. Quel giorno Salvatore rese una testimonianza talmente dirompente e commovente che ancora oggi, a distanza di un anno, diversa gente non solo ricorda i passaggi salienti del suo intervento, ma ha compreso come in Italia mafia e Stato, spesso, sono la stessa cosa.

Ecco perché non possiamo non apprezzare la battaglia che il leader delle Agende rosse porta avanti da anni per onorare la memoria del fratello e per far luce sui segreti relativi alla Trattativa, dei quali Paolo era depositario, e per i quali fu ucciso.

Ecco perché vorremmo comprendere per quale ragione a Salvatore è stata riservata un’invettiva così pesante, considerando che le sue parole si possono condividere o meno, ma non dileggiare in quel modo.

Ma vorremmo comprendere ancor di più perché è stato tirato in ballo De Magistris, coinvolto in una frase sulla quale non ha alcuna responsabilità.

Ma vediamo cosa scrive livesicilia: “Nessun giorno di Borsellino (Paolo) è mai stato un giorno di ‘Giggino”. Quindi la domanda: “Come può, allora, un fratello confondersi fino a tal punto? Sotto l’effetto tragico di quale cecità?”.

E giù un florilegio di proposizioni sulle differenze fra “Giggino” e Paolo, il quale, a differenza del primo, “era uno che i processi li vinceva”.

“Paolo – prosegue l’articolo – non ha mai fatto politica e non si sarebbe mai sognato di farla; Giggino, invece, sì”. “Paolo ha rilasciato delle dolentissime interviste per descrivere, per esempio, il tramonto del Pool Antimafia, soverchiato da troppi avversari, con la cautela di chi è costretto a cantare fuori dal coro”.

In verità – aggiungiamo noi – poco prima di morire, Paolo rilasciò una clamorosa intervista regolarmente censurata dalla televisione (pubblica e privata) sui legami fra Cosa nostra e alta finanza milanese rappresentata da Marcello Dell’Utri (oggi in carcere, con sentenza definitiva, per concorso esterno in associazione mafiosa), che dopo le stragi sarebbe assurto ai vertici di questa Nazione. Di questa intervista nell’articolo non si fa alcun cenno.

Marcello Dell’Utri

In compenso si prosegue così: “Giggino ha recitato una carriera da solista, nel fragore mediatico applicato all’aula di giustizia. Il coro, semmai, è sempre stato un impiccio. Paolo indossava la toga come un saio severo e laico, benché fosse un padre e un marito allegro, capace di scovare la battuta perfino nell’attesa dei suoi ultimi giorni. Per Giggino – così almeno parrebbe dallo scintillio mediatico intorno a certe gesta – la toga è stata più un vestito di gala, anche a coronamento di un’ambizione personale: e non c’è nulla di sbagliato, se l’ambizione viene sostenuta dalla correttezza, come sarà senz’altro accaduto. Però quanta differenza di stile e di sostanza. Quante distanze”.

La stessa distanza che c’è fra la vita e la morte, fra quando si è vivi e non ti perdonano di attaccare i Santuari del potere, e quando si è morti e ti fanno diventare un Santo. Del resto, non costa niente e soprattutto serve come alibi a chi ha interesse ad attaccare i vivi che si permettono di ficcare il naso laddove non devono ficcarlo.

Eppure a noi la differenza fra Paolo Borsellino e Luigi De Magistris non sembra così eccessiva. C’è un punto che accomuna entrambi: hanno operato in un  Paese intossicato dai rapporti osceni fra Stato e antistato, e sono stati fatti fuori entrambi dalla magistratura: uno lo hanno ammazzato, l’altro lo hanno ostracizzato, come è successo a Ingroia, Di Pietro (tanto per citare i nomi di due Pm che “per legittima difesa” hanno dovuto abbandonare la toga e scegliere la politica).

Neanche il tempo di scorrere qualche riga ed ecco un altro incredibile siluro contro Salvatore, il quale “forse un giorno deporrà i paramenti della vanagloria e dell’antimafia da circo che ha messo di guardia intorno al suo cuore spezzato, scegliendo l’ira funesta, nemica della lucidità”.

Poi il crescendo. Creato attraverso l’esempio di “Manfredi, Fiammetta e Lucia – i figli del dottore Borsellino – che hanno sposato il lutto privato a un ammirevole equilibrio pubblico”, a differenza di un fratello così “degenere” (l’aggettivo è ironicamente nostro) da sputtanare beffardamente ogni giorno un potere lercio che ha trascinato questo Paese nella palude mefitica della corruzione, della mancanza di libertà di informazione, della disoccupazione, della mafiosità e di tanto altro.

Infine l’acuto: “Forse il fratello sopravvissuto tornerà sulla tomba del fratello morto, abbandonando la caricatura che ha contribuito a tratteggiare, per riabbracciare ciò che resta di un uomo”.

Un acuto grandioso per far comprendere – qualora qualcuno non l’avesse capito – che l’attacco non è personale, ma politico. Nei confronti di Borsellino, “reo” di aver creato un vasto movimento di donne e di uomini che – assieme ad altri movimenti – fa da argine al “sistema”. E nei confronti di “Giggino”, “reo” di far bene il sindaco di Napoli, ma soprattutto di porsi come possibile leader nazionale di una “cosa” che ancora non c’è ma che potrebbe esserci, e che potrebbe scompaginare assetti ed equilibri consolidati da decenni. E questo non piace a tutti.

Luciano Mirone