Assistere alla fine di un sogno e vivere il contrasto netto fra realtà e narrazione. La realtà del sindaco di Messina, Renato Accorinti, “che ha tradito gli ideali per i quali si è battuto per decenni”. E la narrazione che altrove viene evocata attraverso i suoi bellissimi discorsi contro la guerra, la corruzione, la mafia. E in mezzo tu, che da lontano hai considerato Messina come “laboratorio politico”, tu che avevi solo certezze per le narrazioni sentite finora, ma che hai cominciato ad avere dei dubbi sulla realtà, dopo l’intervista ad uno degli intellettuali più onesti e coraggiosi di Messina (e non solo), Antonio Mazzeo, da una vita compagno di viaggio di Accorinti nelle battaglie più dure; tu, che dopo quelle denunce hai sperato che realtà e narrazione, un giorno, potessero convergere, magari dopo una solenne litigata, un vaffa, un sorriso, un abbraccio. E invece…
Invece l’altra sera nella saletta dell’associazione culturale Arb di Messina – in un dibattito moderato dalla giornalista Rosaria Brancato – hai avuto la conferma della drammatica fine di un movimento – a prescindere dall’esperienza di Accorinti come sindaco, che durerà probabilmente fino alla scadenza naturale del mandato (2018) – che ha avuto slogan suggestivi come “cambiamento dal basso”, “rivoluzione dai piedi scalzi”, “disobbedienza al potere” e tanto altro. Un’esperienza unica nella storia di questa città, bellissima, voluta da migliaia di cittadini che finalmente nel 2013, momento apicale della crisi dell’ancien regime, avevano mandato a casa i Comitati d’affari affidandosi al “sindaco della Società civile” che non aveva mai fatto politica ma che aveva sfidato la politica con le sue battaglie contro il Ponte, la guerra, la cementificazione selvaggia.
Ebbene sì, oggi quel sogno si è infranto, anche se Accorinti continua a fare il sindaco. Non sotto i colpi impietosi degli avversari (vedi la recente mozione miseramente fallita in Consiglio comunale), ma sotto gli attacchi di chi, da trent’anni al suo fianco, oggi gli è contro, “coerentemente contro”, perché “sentiamo il dovere civile di prendere le distanze e di denunciare il fallimento di un’Amministrazione nella quale Renato ha aperto le porte ai vecchi gattopardi, sbarrandole ai compagni di una vita”.
Una denuncia affidata non ai discorsi, ma a un libro, dunque alle parole scritte che resteranno a imperituro ricordo nella storia di questa città.
Un libro scritto da due vecchi compagni di battaglia, Gino Sturniolo e Nina Lo Presti, consiglieri comunali del movimento “Costruiamo Messina dal basso” (che ha sostenuto Renato), dimessisi il 21 maggio dello scorso anno per protestare contro un sindaco col quale non si identificano più.
“Assolto per non aver compreso il fatto” (Armando Siciliano editore) è il titolo del libro (un titolo che è tutto un programma), presentato alcune settimane fa al Comune di Messina davanti a duecento persone, con una riflessione replicata in una greve serata di inizio primavera, tre giorni fa, al circolo Arb di via Romagnosi 18, dove eravamo presenti.
Vedere sul palchetto questi ex irriducibili compagni e amici di Renato (Nina Lo Presti è stata addirittura una delle sue più brave atlete, ai tempi in cui il sindaco faceva il professore di educazione fisica) che affondano i colpi contro “il sindaco icona” (secondo la definizione del volume), fa una certa impressione, un’impressione aggravata dalla consapevolezza di avere davanti due persone pacate – più compassato Sturniolo, più passionale Lo Presti – che danno la sensazione di essere arrivate fin qui dopo un percorso doloroso di tre anni di Consiglio comunale, in cui solo quattro consiglieri su quaranta – fra cui loro – facevano parte del movimento di Accorinti.
Dopo tre anni Gino e Nina, da sostenitori del sindaco, sono diventati i suoi più strenui oppositori, “non per sterile pregiudizio, ma perché molte cose erano cambiate e non potevamo fare diversamente”. E si sono ritrovati soli. In mezzo a gente che, candidatasi contro di lui, ha minacciato di farlo cadere ma alla fine lo ha salvato, come è successo con la mozione di sfiducia, “in mezzo ad assessori che con la nostra storia non hanno nulla da spartire”.
Basta leggere alcune righe del libro per rendersene conto: “A un certo punto arriva il tempo di tirare le somme, di fare consuntivi. E li si fa non solo riferendosi alla propria biografia, ma anche al percorso politico condotto fino a quel punto, ai grandi ideali e progetti di rivoluzione costruiti e immaginati, quei progetti di cambiamento radicale che si sono degradati, indeboliti o perduti, che sono diventati altro”.
Ma è nei passi successivi che l’incedere diventa drammatico mandando in frantumi la narrazione accorintiana: “Non sarà Renato Accorinti a decretare la propria fine. Egli rimarrà appeso alle decisioni degli altri. Uscirà di scena quando gli equilibri politici avranno trovato una nuova forma”.
Parole terribili che mandano in frantumi il sogno: “Succede che i sogni svaniscano e che la verità ti si faccia incontro in tutta la sua crudezza, quella verità che hai provato a sussurrare prima, a razionalizzare poi, ad urlare infine. La verità che abbiamo provato a mettere nei nostri interventi in aula, nelle nostre denunce, nei nostri atti amministrativi e politici”.
E poi una serie di fatti, incomprensibili per chi non è di Messina, ma che rappresentano la chiave di volta che ha scardinato tutto: il Piano di riequilibrio, i debiti del Comune, i bilanci, le partecipate, le indennità dei dirigenti, il Teatro Vittorio Emanuele, l’Ecopass, cui si aggiungono altre questioni spinosissime come l’approdo di Tremestieri, il Piano regolatore, l’accoglienza dei migranti e tanto altro.
Ma qui – a prescindere dalle vicende meramente tecniche – è il dato politico ad impressionare: “La narrazione di un movimento che vince le elezioni e va al potere compatto non esiste, non è mai esistita”, spiega Nina Lo Presti. “Semmai al potere c’è andato Accorinti” perché, come aggiunge Sturniolo, “ci sono stati accordi fra il primo e il secondo turno. Senza quegli accordi Renato non avrebbe vinto. E ora è costretto a ricambiare”.
Un racconto della realtà che se lo spieghi altrove – dove ancora sono fermi alla narrazione – non ti credono, o magari, alle prime righe, ti dicono: “Fermati, non andare avanti”. Come è successo a Pisa, “quando ho raccontato questa storia ad alcuni amici e loro mi hanno stoppato, non volevano interrompere il sogno”, dice Sturniolo.
Ma in questa storia ciò che colpisce è il silenzio di Accorinti. Non siamo noi a dovere dare lezioni a nessuno, ma forse sarebbe stato giusto un confronto pubblico con chi lo ha sostenuto. Per spiegare, per sfogarsi, per dire a tutti quali sono i prezzi da pagare se si vuole cambiare qualcosa. Lo sappiamo, deve essere drammatico non avere una maggioranza in Consiglio comunale, così come siamo consapevoli che se sei a un passo dal sogno della tua vita (diventare sindaco della città che ami), alla fine ti butti, decidi di giocartela e come finisce finisce, magari accetti gli accordi con qualche vecchio oligarca, ma perdìo, almeno incidi un poco nei destini della tua città. Se ci fosse stato un confronto umano, sincero, umile, forse sarebbe finita lo stesso, o forse no, forse alcuni avrebbero capito, e allora quella convergenza fra realtà e narrazione avrebbe avuto un epilogo diverso.
Luciano Mirone
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