Un’Amministrazione comunale querela un giornalista, ma nel frattempo la legislatura scade e la Giunta viene sostituita. La nuova non si riconosce nelle posizioni della vecchia e decide di non costituirsi parte civile contro il giornalista. Il giorno del processo (lo scorso 7 aprile) l’ex sindaco si presenta in Tribunale e viene ammesso dal giudice come parte civile. Succede in Sicilia. Succede al Tribunale di Messina, dove il giornalista Antonio Mazzeo è sotto processo per diffamazione a causa di un articolo scritto nel 2012 sulle infiltrazioni mafiose presenti nella zona di Falcone, comune di mare a pochi chilometri da Tindari. Un paradosso nel paradosso – almeno per l’uomo della strada – per i motivi che vedremo.

“Nel marzo scorso – spiega Mazzeo – l’avvocato della passata Amministrazione chiede alla nuova se ritiene che bisogna costituirsi parte civile al processo che sarebbe partito ad aprile. Questa risponde dicendo che non lo ritiene, perché parzialmente condivide le mie denunce. Faccio presente che nella nuova Amministrazione ci sono alcuni degli ex consiglieri che alcuni anni fa hanno presentato le denunce sulla presenza di personaggi chiacchierati che fecero da galoppini elettorali”.

Il comune di Falcone. Sopra: Antonio Mazzeo

Ripercorriamo la vicenda. Nel 2012 vieni querelato dall’allora sindaco Santi Cirella e dalla Giunta comunale di Falcone.

“La vicenda nasce per una inchiesta che scrivo nel mio blog e ne ‘I Siciliani giovani’. In quell’occasione parlo delle vicende storiche che hanno interessato il comune di Falcone, al centro di un’area che storicamente è oggetto delle infiltrazioni della mafia barcellonese: parlo di un hinterland che si estende da Milazzo a Patti, e che comprende Mazzarà Sant’Andrea (con la presenza della mega discarica) fino alla zona dei Nebrodi. Falcone è una località turistica affacciata sul mare, che ha avuto uno sviluppo urbanistico disordinato, accanto a Portorosa che ha rappresentato la prima esperienza di grandi investimenti finanziari nel settore turistico da parte delle organizzazioni di Cosa nostra provenienti sia dal catanese che dal palermitano. Falcone non poteva essere estranea a queste infiltrazioni, quindi nell’articolo ricostruisco le vicende criminali che hanno interessato quella città e il suo hinterland. Nel pezzo parlo anche delle elezioni amministrative del 2011, quando le denunce da parte di deputati di centrodestra e di centrosinistra, nonché di candidati a sindaco e al Consiglio comunale di Falcone su persone vicine alle cosche mafiose che hanno raccolto voti per alcuni candidati, sono state oggettivamente riscontrate. A questo va aggiunto che l’ex parlamentare europeo Rita Borsellino ha posto il problema alla prefettura di Messina, e mi risulta che il deputato nazionale del M5S Francesco D’Uva, oltre ad aver presentato una lunga interrogazione sull’argomento, ha portato la vicenda in Commissione parlamentare antimafia. Quindi mi pare che l’ex sindaco Cirella, invece di prendere una posizione del genere, avrebbe potuto fare un’analisi molto più attenta delle problematiche sociali ed economiche di quel territorio, dove la mafia esiste, è stata potentissima, ed è potente. Su questo sottolineo la disattenzione degli organi istituzionali e delle forze dell’ordine in quella fase storica”.

Cosa lamentano l’ex sindaco e l’ex Giunta comunale di Falcone nei tuoi confronti?

“L’ex sindaco, dopo l’articolo, fece una lunga lettera aperta (che ospitai nel blog), in cui confutava tutto, ritenendo che il suo paese fosse assolutamente estraneo a qualsiasi tipo di condizionamento mafioso anche nel periodo delle elezioni amministrative, e aggiungendo che un articolo del genere, in piena estate, fosse causa di una perdita di immagine per una località turistica rappresentata come una specie di paradiso della provincia di Messina”.

L’ex sindaco nel tuo articolo è stato tirato in ballo?

Assolutamente no. Nel pezzo parlo della presenza di candidati legati familiarmente al boss più potente della zona, Salvatore Calcò Labruzzo, arrestato alla fine del 2012 con l’accusa di associazione mafiosa e detenuto al 41 bis. Non solo. In quel territorio hanno operato altri due potentissimi boss: Santi Gullo e Carmelo Bisognano, oggi collaboratori di giustizia”.

Santi Cirella, ex sindaco di Falcone

Che tipo di infiltrazioni ci sono state al Comune di Falcone?

“La campagna elettorale del 2011 è stata contrassegnata dalla presenza inquietante del boss Labruzzo. Questo è un dato di fatto”.

Per questa vicenda c’è un Pubblico ministero che chiede l’archiviazione della tua posizione, la presunta parte offesa (l’ex sindaco) che presenta opposizione, e il Gip che ti rinvia a giudizio.

“L’indagine è durata un paio d’anni. Chi ha svolto l’inchiesta ha ritenuto che non vi fossero gli estremi della diffamazione, anzi, nel dispositivo della richiesta di archiviazione riferisce che oggettivamente la descrizione storica, per quanto suggestiva, rappresenta un quadro sicuramente complesso e problematico della realtà, sostenendo di fatto che quella zona non poteva essere estranea al condizionamento mafioso. Il Gip ha deciso invece per il rinvio a giudizio. Il processo era stato iniziato a Patti, ma il mio legale Carmelo Picciotto, in quella sede, ha posto il problema che il luogo processuale non può essere scelto dal querelante, ma deve essere stabilito dal dato oggettivo che riguarda il posto nel quale è stato commesso l’eventuale reato. Siccome l’articolo è uscito sul mio blog (prima della pubblicazione su ‘I Siciliani giovani’) il processo è stato spostato a Messina, dove lo scorso 7 aprile è partito”.

Allora il sindaco ti querelò come rappresentante istituzionale o come Santi Cirella, o addirittura ti querelò la Giunta?

“La querela fu fatta con delibera della Giunta all’unanimità, con delega al sindaco di nominare un avvocato a tutela del comune di Falcone. Ci troviamo di fronte ad una situazione in cui parte un procedimento penale su denuncia di un’Amministrazione comunale, ossia di un ente pubblico. Questo ente pubblico, cinque anni dopo, ritiene che non esiste alcuna diffamazione per la città, la quale non si sente assolutamente offesa, ma il processo parte lo stesso, perché il sindaco di allora (oggi normale cittadino) pensa di sentirsi offeso e si costituisce parte civile”.

I cittadini di Falcone hanno protestato contro quell’articolo?

“Non c’è mai stato un solo falconese che mi abbia scritto o avvicinato dicendomi di essersi sentito offeso dalla ricostruzione storica che ho fatto”.

Qual è la morale di questa storia ? La legge tutela i giornalisti?

“La mia vicenda riguarda centinaia di operatori dell’informazione che sono vittime della libertà incondizionata di poter querelare come e quando si vuole. Oggi l’Italia è precipitata al settantasettesimo posto come libertà di stampa, dopo Paesi dove la violazione dei diritti umani è strutturale. Ci si dovrebbe chiedere perché in Italia i giornalisti sono minacciati, picchiati, intimiditi, o addirittura uccisi. L’Italia è a questo livello perché, invece di esserci libertà di informare, c’è libertà di querelare: una grande arma per condizionare l’informazione e per impedirle di scrivere. Quando questi procedimenti si trascinano per decine di anni e nel novantanove per cento si concludono con proscioglimenti o assoluzioni dei giornalisti. Penso che dovremmo seguire l’esempio dei Paesi del Nord Europa, dove la libertà di stampa è veramente un pilastro della democrazia: lì la libertà di querela è ben determinata dalla legge”.

Quali riforme andrebbero fatte?

“Limitare i tempi sulla possibilità di querela. Ma prima, obbligare i giornalisti che hanno commesso degli errori, a porre la rettifica entro trenta giorni. In caso di omessa rettifica dovrebbero partire i procedimenti in sede penale e civile. E però inserirei un tassello fondamentale che è stato posto da molte legislature a livello mondiale: se fai la querela, ti assumi la responsabilità che se questa viene dichiarata infondata, devi sostenere l’onere delle spese processuali. Oggi questo non succede: intasiamo i Tribunali con migliaia di querele, il costo viene addossato alla collettività o, peggio, sulle tasche dei giornalisti che devono pagare gli avvocati”.

Luciano Mirone