Una parte della chiesa siciliana – segnatamente di Lentini, di Carlentini e di Francofonte, in provincia di Siracusa – prende posizione contro gli avvelenatori dell’ambiente chiedendo “perdono a Dio e alla Terra per come ogni giorno la maltrattiamo”, e rivolge un appello ai politici “di perseguire sempre il bene autentico con leggi e scelte che riguardino l’ambiente e gli esseri umani che lo abitano”. Un appello intenso e accorato – condiviso dal vescovo della diocesi di Siracusa Salvatore Pappalardo – che arriva dopo le aspre polemiche degli ultimi mesi legate alla realizzazione della nuova discarica che coinvolge i tre comuni.

Salvatore Pappalardo, Vescovo di Siracusa. Sopra: la discarica di Lentini
Una lettera letta durante la messa di ieri, rivolta ai fedeli per sensibilizzarli ai temi dell’ambiente. A precedere l’appello dei parroci è stato nei giorni scorsi lo stesso monsignor Pappalardo, che in una lettera pastorale aveva scritto: “Interpellati e preoccupati per la possibilità della presenza di una nuova discarica nel nostro territorio, non cessiamo di elevare il nostro ringraziamento a Dio per il dono della nostra madre terra. Nessuno si sottragga al dovere di seguire attivamente la vita politica della propria città così come di informarsi sui fatti perché possa, secondo coscienza, prendere posizione. Accogliendo l’invito di Papa Francesco – scrive ancora il presule – ci impegniamo ad operare quella conversione ecologica necessaria se non vogliamo continuare a fare del male alla nostra Madre Terra. Esprimiamo la nostra vicinanza a chi paga con la malattia i danni che abbiamo causato all’ambiente” (Ansa).
Dunque, dopo anni di silenzio su questa emergenza che sta devastando intere regioni, un pezzo di chiesa siciliana – seguendo l’esempio eroico e solitario di padre Palmiro Prisutto, che da decenni si batte contro gli inquinatori del polo petrolchimico di Augusta (Siracusa), e di qualche altro prete di frontiera – prende posizione e sensibilizza i fedeli.
In un caso del genere non sappiamo se dire “non è mai troppo tardi” o “è sempre troppo tardi”: un’emergenza del genere riguarda l’aria che respiriamo e la terra che coltiviamo e che mangiamo e che beviamo. Argomenti che non possono essere rimandati “sine die”: mentre c’è gente che muore o si ammala, c’è una Terra che soffre perché il veleno che la sta attraversando la sta uccidendo e sta uccidendo tutti noi, giorno per giorno (basta scorrere le cifre relative ai decessi causati da tumori e leucemie).

Padre Palmiro Prisutto
L’appello di ieri è un segnale. Non sappiamo se legato a una vera e propria presa di coscienza o a una emergenza legata alla realizzazione della nuova discarica. In ogni caso, prendiamo atto che c’è l’impegno di un pezzo di Chiesa, e questo ci induce a sperare che un appello del genere possa contaminare tutti, perché su questo nessuno può ritenersi escluso.
Certo, la presenza di questo Papa sta rivoluzionando molte coscienze, ma il Papa da solo non ce la può fare se non c’è l’impegno quotidiano di tutti noi.
Questo articolo esce nel giorno in cui questo giornale su occupa della Puglia: anche lì si lotta per il rispetto della Terra, che in fondo è il rispetto dell’essere umano. Finalmente dopo decenni in cui il progresso è stato scambiato con il consumo (spesso mal distribuito e dannoso) arrivano dei segnali di attaccamento alla vita. Adesso tocca a tutti noi seguire l’esempio.
Luciano Mirone
Questa lettera ha dimorato nella memoria del mio pc per moltissimi anni ed è stata aggiornata il 21 agosto 2016
La chiesa e la scelta preferenziale dei poveri
Eccellenza Reverendissima,
Reverendissimi Parroci e Sacerdoti,
Carissimi Fedeli,
Ci rivolgiamo a voi per sapere se nella vicenda riguardante il presente ed il futuro del petrolchimico Augusta, Melilli e Priolo, la Chiesa locale intenda prendere una posizione coerente con la sua dottrina e le sue posizioni morali su lavoro, dignità della persona, diritti umani e salvaguardia del creato.
Con Giovanni Paolo II la chiesa ha dichiarato, con voce “profetica” di aver fatto la “scelta preferenziale per i poveri”.
Vogliamo rivolgerci a voi, a nome di questi.
Non sono, però, i poveri del terzo o del quarto mondo;
sono i “poveri” che magari hanno due macchine e una villetta ma che hanno svenduto la loro vita, la loro salute e la loro libertà per un posto di lavoro nel petrolchimico;
sono gli operai e le famiglie di coloro lavorano nel polo petrolchimico di Augusta, Priolo e Melilli, ma sono anche quelli che ci vivono nei dintorni e che risentono degli effetti negativi del processo di industrializzazione, cioè la gran parte della popolazione che risiede nella zona a nord di Siracusa.
Riconosciuto ormai da tutte le istituzioni sanitarie locali, regionali, nazionali ed anche mondiali, in questo angolo di territorio, al di là della retorica o dell’allarmismo, sta accadendo – da decenni – qualcosa di grave e di preoccupante. I dati scientifici raccolti dai medici in quasi trent’anni non lasciano più adito a dubbi:
di inquinamento non si nasce; (ad Augusta una madre su due abortisce)
di inquinamento si resta marchiati nell’organismo, sin dalla nascita; (nascite malformate)
di inquinamento ci si ammala; (cancro e altre patologie correlate all’inquinamento)
di inquinamento si muore ed anche troppo e troppo presto; (ad Augusta un abitante su due o due su tre muore per cancro e la durata media della vita è di cinque-sei anni inferiore alla media nazionale).
Ma sulla pelle, sulla vita e sulla dignità dei cittadini e degli operai della zona indicata, in maniera cinica, si specula e si continua a speculare mettendo al primo posto il “diritto al profitto” dei grandi gruppi industriali, magari mascherato dalla “tutela” del posto di lavoro. Le stesse Istituzioni, che in ossequio alla Costituzione, dovrebbero intervenire a tutela della salute e della dignità della persona, sembrano lontane se non addirittura compromesse.
La prova più evidente di quanto appena affermato è costituita dal fatto che il cosiddetto “triangolo industriale” nonostante fosse stato dichiarato il 30 novembre 1990 dal governo italiano area ad alto rischio ambientale, non ha assolutamente visto migliorare o realizzare nulla, o quasi, di quanto stabilito da quel decreto in merito a indagini epidemiologiche, bonifiche, risanamenti, ecc.
Abbiamo pure assistito, nella terribile esperienza del terremoto di pochi giorni dopo, ad una serie di interventi istituzionali che hanno privilegiato e tutelato prioritariamente gli interessi dei gruppi industriali anziché i diritti dei cittadini colpiti dalla calamità.
Nel 2003 esplose, a livello internazionale, il caso dello smaltimento illegale del mercurio in mare, con l’arresto di un congruo gruppo di dirigenti di un’azienda del polo industriale.
Sappiamo, lo dice anche la Bibbia, che è possibile “comprare il povero per un paio di sandali” e che nei tribunali la giustizia può essere “parziale ed arbitraria” specie se una delle parti è il ricco.
Solitamente nei tribunali umani il povero è destinato a soccombere.
I cittadini e le associazioni del cosiddetto “triangolo industriale” conducono, dal punto di vista economico, una lotta impari contro i grandi colossi multinazionali della chimica: questi si possono permettere i migliori avvocati, possono comprare anche intere pagine dei giornali; possono anche “pilotare” l’informazione locale; i cittadini, invece, si devono autotassare per le loro campagne di informazione e per i ricorsi ai tribunali che una legge italiana, sicuramente iniqua, ha reso competenti quelli lontani geograficamente dal territorio in questione.
Basti ricordare che la competenza in materia ambientale, a livello nazionale, è stata affidata al TAR del Lazio. Per cui, anche i siciliani, per far valere i propri diritti dovrebbero (= si devono) rivolgersi ad un tribunale lontano, quasi irraggiungibile e costoso. In questo caso chi è destinato a scoraggiarsi e a soccombere di fronte alla potenza del denaro? La ERG, la ESSO, l’ENI, l’ENEL, la SASOL, LA LUKOIL, ecc. oppure il cittadino che si deve autotassare?
Già nel 2005, sprezzanti della gravissima situazione di degrado e di devastazione igienico-ambientale, benché su questo territorio insistevano già ben 18 impianti a rischio, se ne volevano aggiungere almeno altri sette, a grandissimo impatto ambientale, che avrebbero reso ancora più precarie le condizioni di sicurezza, di salute e di qualità della vita.
Indipendentemente da chi sta dietro le quinte di queste aziende, indipendentemente dal fatto che siano alcuni uomini politici al governo della Sicilia a stabilire che cosa debbono ancora impiantare ed aggiungere ad una zona gia abbondantemente martoriata in oltre sessanta anni di industrializzazione, le amministrazioni locali non sono state capaci di resistere o di opporsi ad ogni ulteriore insediamento, probabilmente perché le campagne elettorali hanno dei “costi” ed anche dei … “ricavi”.
In tutta questa vicenda anche i Sindacati locali, di qualunque colore politico, sono apparsi preoccupati solo della salvaguardia degli attuali livelli occupazionali e, forse per non perdere quel poco di potere che ancora resta loro per il ruolo che occupano, sono pronti ad accogliere e battere le mani anche all’ultimo imprenditore che viene qui a proporre qualche altro posto di lavoro in nuovi impianti, che magari da qualche altra parte hanno rifiutato, anche con vibrate proteste.
È vero che il “progresso” ha portato “ricchezza” e “posti di lavoro”, ma negli ultimi vent’anni il progresso volatilizzato, la ricchezza si è sgonfiata e, ai posti di lavoro si sono contrapposti i “viaggi della speranza” e l’allargamento dei cimiteri.
Nei cimiteri di Augusta e Melilli, ormai, i posti si esauriscono con grande rapidità ma non si ottengono con altrettanta rapidità né le autorizzazioni per costruire nuove tombe né i luoghi dove costruirle.
Non possiamo neanche accettare le due logiche perverse che qui, ormai, per paura, rassegnazione e disperazione si sono radicate: il ricatto occupazionale e la monetizzazione del rischio:
sono un oltraggio alla dignità umana; sono una forma di subdolo sfruttamento dei poveri, che continuano solo a subire.
Aggiungiamo anche il fatto che qui le Istituzioni forse sono più preoccupate dell’introito fiscale e del mantenimento dell’ordine pubblico per cui sono più impegnate a impedire lo scontro sociale e le manifestazioni di piazza, pronte a criminalizzare chi si batte per tutelare il diritto alla vita, alla salute, alla dignità della gente.
Chi resta, quindi, a difendere i poveri?
La Chiesa potrebbe essere l’ultima spiaggia, magari rinunziando a compiacenti donazioni o sponsorizzazioni di feste patronali.
Se anche la Chiesa, testimone della Verità, per vocazione, dovesse scendere a compromessi,
allora non perderebbe il diritto a parlare in difesa della vita e della dignità umana contro l’aborto, la fame, la droga, la violenza, ecc..
È un dovere morale “non accumulare ricchezza” specie se basata su “prezzo di sangue”;
è dovere etico pagare il “giusto salario” al lavoratore e garantirgli una vita “dignitosa”;
è un preciso dovere riparare il danno da parte di chi lo ha arrecato.
Bonifiche, risanamento e risarcimenti non sono né degli “optional” né atti di beneficenza: sono un atto di “giustizia” e non elemosine per sfuggire a eventuali condanne.
Le aziende che oltre da 60 anni si sono impiantate su questo territorio (Augusta-Melilli-Priolo), tutte, non solo una, perché tutte hanno contribuito ad inquinare, hanno questi precisi doveri e non si possono tirare indietro.
E neanche possono pensare di abbandonare questo territorio per “emigrare altrove” fra gli altri poveri, dove continuare a ripetere consapevolmente gli stessi errori, che, oggi, a livello scientifico non si possono più ritenere tali.
Secondo il principio ispiratore di alcune leggi italiane ed europee “chi inquina, deve pagare”.
In questo territorio, purtroppo, chi ha inquinato non ha ancora pagato; anzi vorrebbe caricare questi costi sulla collettività, sugli inquinati. Basti pensare alla vicenda della mancata bonifica del porto di Augusta dove, secondo gli esperti si sono accumulati ben 18 milioni di metri cubi di fanghi tossici, entrati già nella catena alimentare. E probabilmente gli inquinatori sarebbero già fuggiti se non fossero state emanate delle leggi che gli industriali cercano sempre e comunque di aggirare.
Come credenti, non possiamo accettare né l’idea che il profitto valga più della dignità dell’uomo, della sua vita, della sua salute né che al profitto si possa sacrificare impunemente l’ambiente.
Potremmo anche sfuggire al giudizio degli uomini ma non a quello di Dio.
Per questo chiediamo alla Chiesa Siracusana, al suo Pastore, ai Parroci, alle comunità cristiane di non restare insensibili di fronte a quel grido di dolore che si alza da questa terra.
Il lavoro è per la vita e per la dignità della persona, non per la sua oppressione.
Aspettiamo una risposta da parte vostra.
Augusta, ………