Le dichiarazioni del dottor Nino Di Matteo in merito al suo trasferimento alla Direzione nazionale antimafia di Roma (“A Palermo non mi hanno messo nelle migliori condizioni di lavorare sul processo Trattativa; in passato il mio passaggio alla Dna è stato ostacolato da alti vertici dello Stato”) sono di una gravità inaudita, perché confermano – a meno che Di Matteo non sia afflitto da manie di persecuzione, ipotesi da escludere  totalmente visto lo straordinario equilibrio con cui imposta i suoi ragionamenti e la sua vita – che mafia e Stato, spesso, sono la stessa cosa, anche se in Sicilia non si spara più, i giudici non saltano più in aria, c’è “una mafia senza la mafia”, secondo una definizione di Attilio Bolzoni, nel senso che la mafia c’è ma non si vede.

Quando andiamo nelle scuole per parlare di legalità, i ragazzi pongono sempre questa domanda: “Cos’è la mafia?”. Si tratta di un quesito apparentemente banale, che invece contiene una grande verità che mai nessuno (soprattutto la televisione, privata e di Stato, per vent’anni nelle mani di un presidente del Consiglio piduista) ha spiegato loro.

Angela Manca

Sì, perché molti ragazzi – in verità non solo loro – pensano: o che la mafia non esiste; oppure che esiste ma è solo coppola e lupara: ogni tanto spara, ma se ti fai i fatti tuoi campi cent’anni.

Ecco: noi pensiamo che per spiegare ai ragazzi cos’è Cosa nostra bisogna partire dalle dichiarazioni del Pm Di Matteo, che senza mezzi termini ha dichiarato: a) che uno dei processi più sconvolgenti del dopoguerra – quello appunto sulla trattativa Stato-mafia – ha subito delle interferenze politiche attraverso il tentativo di boicottaggio che sarebbe stato operato da alti vertici istituzionali (ma questo lo sapevamo grazie alle precedenti dichiarazioni di Antonio Ingroia, che con Di Matteo ha condotto quel processo, e che per questo, secondo quanto ha detto lui stesso, si è dovuto dimettere dalla magistratura per l’isolamento al quale era stato sottoposto); b) che perfino il trasferimento a Roma di Di Matteo era stato bloccato dall’alto con bizantinismi giuridici non proprio degni di uno Stato di diritto.

Dopodiché faremmo vedere ai ragazzi l’ultima intervista – facilmente scaricabile da You Tube – di Giuseppe Fava: “Bisogna sgombrare il campo da un equivoco: la mafia non è solo quella che spara o che impone la piccola taglia alla tua attività commerciale. Quelli sono degli scassapagghiara. I mafiosi stanno in Parlamento, nelle banche, in ben altre Assemblee. Io ho visto tanti funerali di Stato: spesso i mafiosi erano seduti nei banchi delle autorità”.

Luciana Alpi

Dopodiché leggeremmo l’ultimo grido di dolore che Angela Manca (madre dell’urologo Attilio Manca, secondo ben cinque collaboratori di giustizia ucciso dalla mafia e dai servizi segreti deviati, perché nel 2003 aveva assistito e operato di cancro alla prostata il boss Bernardo Provenzano – tutelato dallo Stato per oltre quarant’anni –  mentre secondo i magistrati di Viterbo, città dove il medico è stato trovato morto, è deceduto per un’overdose di eroina, malgrado la mancanza di prove, le omissioni e i falsi che hanno contraddistinto tutta l’indagine), dicevamo… leggeremmo l’ultimo grido di dolore che Angela Manca – in mancanza dei grandi giornali che hanno deciso di censurare il caso di suo figlio, e che giustamente vendono sempre meno copie – ha affidato ancora una volta a facebook. Un appello rivolto a Luciana Alpi, un’altra madre alla quale una figlia, ventitré anni fa, è stata strappata alla vita: la giornalista di Rai3 Ilaria Alpi, uccisa in Somalia dopo aver scoperto un traffico di armi e di rifiuti radioattivi con l’Italia, nell’ambito della cooperazione fra i due Paesi voluta dal governo italiano: “Luciana Alpi – scrive la signora Manca – dice basta: rinuncia, getta la spugna, distrutta dal muro sollevato sull’omicidio di sua figlia Ilaria. Al dolore si è aggiunta l’umiliazione di formali ossequi da chi ha operato sistematicamente per occultare la verità ed i proventi di traffici illeciti”.

Ilaria Alpi

Due storie, quella di Ilaria Alpi e quella di Attilio Manca, apparentemente diverse, lontane nel tempo, eppure legate dal filo invisibile dell’omertà di Stato. “Voglio rivolgere un appello accorato a Luciana”, dice ancora Angela. “Ti prego, non arrenderti ,continua a lottare; sto subendo quello che tu hai subito, con l’aggravante di veder distrutta la reputazione e l’onorabilità di mio figlio da parte di gente senza scrupoli, senza dignità. Luciana non smettere mai di lottare, arriverà il momento in cui in Italia ci saranno dei politici seri e responsabili ; arriverà il momento in cui i nostri adorati figli potranno avere giustizia!”.

Angela parla di “politici seri e responsabili” che “un giorno” metteranno questo Paese nelle condizioni di fare verità e giustizia sulla morte dei loro figli e di centinaia di figli, mariti, mogli, padri, madri, fratelli, sorelle che dopo tanti anni attendono un raggio di luce che possa illuminare le tenebre della menzogna e dell’impostura di Stato imposte dalla politica di oggi.

Dopodiché racconteremmo ai ragazzi che a Viterbo si sta celebrando uno dei processi più osceni della storia d’Italia. Un processo non finalizzato al raggiungimento di una verità ottenuta dall’esame serio di una tesi (quella dei magistrati) e di un’antitesi (quella della famiglia Manca), ma un processo sfacciatamente di parte, svuotato dell’antitesi (categoria filosofica che in diritto si chiama dibattimento fra le parti), perché la famiglia dell’urologo è stata estromessa dalla parte civile, col risultato che il processo lo stanno facendo al morto (con l’ammissione di testimoni “squalificati”, secondo il giudizio di altra magistratura, che parlano, anche loro senza lo straccio di una prova, della “tossicodipendenza” di Attilio) e non a mandanti ed esecutori, come i pentiti ripetono da anni. Ci chiediamo che processo sia un processo senza le deposizioni dei colleghi e della famiglia, senza le arringhe dei legali di quest’ultima, senza la testimonianza dei pentiti.

Il ministro della Giustizia, Andrea Orlando

Dopodiché sarebbe il caso di accennare ai ragazzi che – malgrado le diverse interrogazioni rivolte all’attuale ministro della Giustizia Andrea Orlando, imposto dall’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano quale titolare di quel dicastero al posto di un grande magistrato come Nicola Gratteri, interrogazioni che riguardano il caso Manca e l’inchiesta che i magistrati viterbesi hanno condotto – il suindicato ministro ha risposto laconicamente che il medico risulta deceduto per un’overdose di eroina, evitando di parlare di pentiti, di pista mafiosa, di operazione di Provenzano, di indagini e di autopsia condotte in modo approssimativo e depistante.

Dopodiché riteniamo che bisogna dire ai ragazzi che l’attuale ministro Andrea Orlando si sta presentando alle primarie del suo partito come esponente del “nuovo corso” del suo partito e della politica italiana. Ovviamente ci guarderemmo bene di fare del ministro Orlando il capro espiatorio dei mali che affliggono questo Paese. Tutt’al più spiegheremmo cos’è un paradigma e forse i ragazzi capiranno.

Però alla fine diremmo anche che – malgrado tutto – Di Matteo ce l’ha fatta ad andare a Roma, che il processo Trattativa continua, che comunque in questo Paese c’è ancora tanta gente che ci crede. È solo questione di tempo. E di fede.

Luciano Mirone