Il Pubblico ministero Nino Di Matteo lascerà Palermo per assumere l’incarico come sostituto ai vertici della Procura nazionale antimafia. Una notizia ventilata nei giorni scorsi, ma che stasera assume i toni dell’ufficialità. Dunque, dopo varie vicissitudini legate a questo trasferimento, il magistrato della Trattativa Stato-mafia (a Palermo da 18 anni) assumerà uno degli incarichi più prestigiosi grazie alla votazione unanime del plenum del Consiglio superiore della magistratura che ha deciso di nominare il Pm più scortato d’Italia alla Superprocura antimafia.

Lo stesso Csm, due anni fa, aveva bocciato la candidatura di Di Matteo per la stessa carica preferendogli altri tre colleghi, decisione che aveva causato la reazione del magistrato attraverso un ricorso al Tar.

Per correre ai ripari, Palazzo dei marescialli aveva proposto un trasferimento a Roma “per ragioni di sicurezza” (date le continue minacce di attentato) ma lo stesso Pubblico ministero aveva rifiutato, dichiarando che ai vertici della Superprocura antimafia voleva arrivarci come vincitore di concorso e non attraverso un’emergenza legata alla sua incolumità.

Con questa decisione, Di Matteo realizza il suo sogno: combattere Cosa nostra da un avamposto strategico come la Procura nazionale come sostituto procuratore: adesso collaborerà con il procuratore antimafia Franco Roberti.

Franco Roberti. Sopra: Antonino Di Matteo

Una decisione del genere – abbiamo scritto qualche settimana fa – arriva nel momento topico del processo Trattativa (che il Pm ha portato avanti tenacemente, assieme ai colleghi Del Bene e Tartaglia) ma anche in un momento in cui i clamori di un attentato nei suoi confronti appaiono sopiti, con un livello di attenzione che comunque rimane alto.

Da quando dal periodo successivo alle stragi, i vecchi boss sono stati arrestati, la mafia palermitana si è inabissata, decidendo di tornare alle sue attività tradizionali (estorsioni, traffico di stupefacenti, riciclaggio), ma senza fare “scrùsciu”, rumore, bandendo del tutto il delitto eccellente, azione che attualmente non avrebbe più la forza di compiere senza i “grandi boss”, allora impegnati in una interlocuzione con lo Stato e oggi sempre più disperati mentre si vedono marcire in carcere.

Ma il problema è capire cosa sta succedendo fuori dal carcere. Il problema è capire chi comanda. Già, chi ha preso le redini dei Santapaola, dei Riina, dei Provenzano?

Due su tutti: l’imprendibile boss di Castelvetrano Matteo Messina Denaro e l’ineffabile boss di Barcellona Pozzo di Gotto Rosario Pio Cattafi, entrambi dotati di buona cultura (Cattafi è addirittura avvocato, Messina Denaro legge Svetonio), ottimo eloquio, grandi legami con la massoneria e i servizi segreti deviati.

Se qualcuno vuole capire il vero volto della mafia targata 2017 deve comprendere gli affari portati avanti dal capomafia di Castelvetrano attraverso prestanome, villaggi turistici, banche e società fittizie, o fare un salto a Barcellona, dove Cattafi è un rispettato avvocato e soprattutto un uomo libero: il suo status di boss è stato provato fino all’inizio del Duemila: dopo è come se una cartina fumogena avesse avvolto molte cose, a partire dalla morte, nel 2004, dell’urologo Attilio Manca (attribuita a Cattafi dal collaboratore di giustizia Carmelo D’Amico, perché il medico sarebbe stato colpevole di aver scoperto la rete di alte protezioni eretta attorno a Bernardo Provenzano, operato nel 2003 a Marsiglia e curato in Italia proprio da Attilio Manca anche a Barcellona Pozzo di Gotto).

Per riprendere le fila di una Cosa nostra apparentemente finita bisogna indagare sulle trame imbastite da questi due raffinati strateghi del crimine che non puzzano di stalla come i predecessori.

Tutto questo Nino Di Matteo lo sa ed è uno dei pochi in Italia ad aver compreso dove mettere le mani.

Luciano Mirone

P.S.: Nella prima versione di questo articolo – pubblicata ieri – siamo incorsi involontariamente in un equivoco di cui facciamo ammenda: sia nell’articolo che nel sottotitolo dell’Ansa (fonte da cui abbiamo tratto la notizia) abbiamo letto: “Di Matteo sostituto di Roberti”, nel senso di “sostituto procuratore” presso la Procura nazionale antimafia al fianco di Roberti, e non in sostituzione di quest’ultimo, come erroneamente avevamo compreso ma che abbiamo provveduto prontamente a correggere. Dell’inconveniente ci scusiamo con gli interessati e con i lettori.